Aikido: dalla via dell’armonia al linguaggio dell’accordo
di Rosanna Meazza
Quando ti trovi per la prima volta sul tatami e intraprendi la via dell’aikido, ti rendi conto che quello che impari va al di là dell’aspetto marziale, di forma e dei rituali tipici di quest’arte.
Si sperimentano veri e propri combattimenti, ma non si impara a combattere.
Si imparano tecniche efficaci per difendersi, ma il vero scopo non è la difesa personale.
Il significato dell’aikido, quello più nobile e profondo, è racchiuso interamente nell’interpretazione dei tre ideogrammi che ne compongono il nome, Ai – Ki – Do: armonia – spirito – via.
Nella definizione più estesa è “la Via che conduce all’armonia con l’energia vitale e lo spirito” o anche “la via dello spirito armonioso”.
Il vero scopo, voluto dal fondatore Morihei Ueshiba, è la ricerca dell’armonia, della pace e dell’accordo con il preciso obiettivo di fermare il conflitto e giungere alla pace. L’aspetto più singolare dell’aikido, infatti, base della sua filosofia, ė l’idea di cercare l’armonia con gli avversari, piuttosto che entrare in conflitto con loro.
Non si tratta di restare immobili e subire o di fuggire al confronto: al contrario, l’idea è di reagire a un attacco al fine di proteggersi, controllare la situazione e ribaltarla cercando di immobilizzare l’aggressore senza, però, recargli un danno permanente. La pratica è straordinariamente efficace nell’intento di neutralizzare l’avversario e del tutto non violenta: non si contrasta la forza dell’avversario, ma ci si adegua a quella forza, rendendo l’attacco inefficace.
Come a volerci unire a lui, più che a batterlo, per farne un alleato.
Praticare aikido significa intraprendere un vero e proprio percorso di vita al quale dedicarsi con passione e dedizione, sotto la guida attenta di un maestro che ci trasmette la “tecnica”. La continua pratica diviene poi comportamento e atteggiamento interiore.
Dal tatami alla vita reale
Dal tatami, la materassina su cui ci si allena, alla vita reale. Le aggressioni che subiamo nel quotidiano sono molto diverse da quelle allenate nel dojo, il luogo di pratica.
L’attitudine acquisita e sviluppata con la pratica dell’aikido, però, trova grande applicazione nella vita di tutti i giorni, soprattutto nel modo di essere e porsi verso gli altri.
Nei momenti di possibile conflitto, aiuta a non perdere il controllo così da non lasciarsi trascinare nel rispondere, contrapponendo forza contro forza e alimentando reazioni sempre più violente.
Poi, spinge alla ricerca di un accordo con l’interlocutore, anziché della vittoria.
I princìpi che entrano in gioco anche quando non siamo sul tatami sono molto simili: controllo di se stessi, studio delle tecniche da applicare, calibrazione del nostro interlocutore, scelta e applicazione dello stratagemma giusto per la situazione, scelta di tempo nell’azione, obiettivo che “unisce” rivolto alla ricerca di una vittoria e di un miglioramento comuni.
Valori fuori dal comune? Forse, ma proviamo a metterli in pratica.
Diceva Gandhi:
Siano positive le mie parole: le parole diventano il mio comportamento.
Siano positivi i miei comportamenti: i comportamenti diventano le mie abitudini.
Siano positive le mie abitudini: le abitudini diventano i miei valori.
Siano positivi i miei valori: i valori diventano il mio destino.
L’aikido verbale
L’aikido si può applicare anche in un colloquio verbale? Nell’uso delle parole?
Da un Maestro di eccellenza, il Buddha in persona, ecco un esempio, raccontato da Gian Paolo Terravecchia.
“Un uomo, saputo della reputazione di Buddha, venne da lontano per mettere questi alla prova. Arrivato, gli si avvicinò e cominciò a gridargli ogni sorta di insulto: «Chi ti credi di essere per insegnare agli altri? Sei stupido come loro, non sei nient’altro che un impostore!». L’uomo continuò a riversare su Buddha insulti, ma questi rimase immobile.
Quando l’attacco cominciò a scemare, Buddha finalmente disse: «Posso farti una domanda?». L’uomo assentì, dicendo: «Beh, cosa?». «Se qualcuno ti offre un dono e tu lo declini, a chi appartiene quel dono?». L’uomo pensò per un secondo, poi rispose: «Beh, in tal caso esso appartiene alla persona che l’ha offerto». «Giusto – continuò lui – così, se hai cercato di darmi qualcosa che ho rifiutato, a chi dunque appartiene?». L’uomo se ne andò.
Come si può imparare tutto questo? Tecnica, pratica, allenamento, insegnanti onesti ed esperti, e grande convinzione e passione.
Ecco il percorso che ti proponiamo:
– per le tecniche di linguaggio rivolte alla negoziazione > Il linguaggio dell’accordo
– per riprendere gli insegnamenti del tatami in chiave relazionale > Budo e business
– per raccontare storie come agenti d’innovazione > Narrazione e cambiamento
– per ristrutturare situazioni complesse con un sorriso > Umorismo e benessere
– per usare la musica come metafora dell’armonia relazionale > Ritmo e business
- On 30 Giugno 2014