Nairobi 2025. Futuro molto anteriore. Uno sguardo postdigitale tra fantasia, geopolitica e i fondamenti dell’umanità
di Francesca Folda
Sono sul volo Milano-Nairobi e sono davvero emozionata. Quando la prossima settimana si sarà firmato al Palazzo dei Congressi Equatoriale l’accordo tra Unione Europea e Unione Africana tutto il mio lavoro degli ultimi 5 anni avrà finalmente trovato un senso compiuto.
Tutti quei voli e quegli arrivederci. Gli amici trovati e persi nella vita da espatriata, quel senso di precarietà permanente perché non sapevo dove avrei vissuto nei successivi sei mesi…
Certo, dopo tanti anni di vita da pendolare transcontinentale mi sono via via abituata a tante cose e quando è stato lanciato il volo diretto bisettimanale da Roma e Milano per Nairobi, Kigali e Città del Capo, la vita di tutta la mia famiglia è molto migliorata. Con sole 4 ore di aereo torno dai miei genitori una volta al mese, senza contare le volte che viaggio in Europa per riunioni di lavoro. Le chiamate in realtà virtuale non restituiscono ancora il calore di un abbraccio.
Ma la prossima settimana sarà raggiunto il vero punto di svolta.
Turkhansa e le altre
Non appena avremo firmato l’accordo bilateriale, Flyjet e EastAfrican potranno aprire subito i collegamenti quotidiani tra le capitali europee e ben 55 nuove metropoli subsahariane.
Turkhansa (la compagnia nata dalla fusione di Turkish airline e Lufthansa, entrambe in crisi dopo essere sopravvissute a tutte le altre compagnie aeree europee) finora ne ha servite 35 ed è stata la meglio posizionata. Safarilink, nata in Kenya 20 anni fa come compagnia turistica, con una flotta di piccoli Cessna che potevano atterrare sulle airstrip più remote nei parchi naturali, è ormai la linea executive globale per eccellenza. La sua unicità è la flotta di jet elettrici 12 posti , con la cabina trasparente per una visione a 360 gradi durante il volo, che gli imprenditori kenyioti hanno messo assieme con una sorta di Airb&b dei cieli, e di lusso.
Ma per un mercato meno esclusivo, accessibile non solo ai ricchi africani, sarà importante avere finalmente le rotte delle compagnie generaliste. Molte città europee come Lipsia, Palermo, Lisbona premono per essere servite, ma dovranno aspettare ancora: i trafficatissimi aeroporti africani stanno mettendo dei limiti all’espansione con l’Europa perché sono molto più interessati alle rotte asiatiche.
Dove i giovani imprenditori hanno meno di 20 anni
Con l’accordo che sarà firmato si riapre anche una opportunità per le antiche università ormai alla disperata ricerca di iscritti e modelli educativi. Agli studenti europei non basta più il miraggio del nuovo Erasmus allargato all’Africa: troppi pochi posti disponibili, a fronte di centinaia di migliaia di richieste.
La Sorbona e Oxford hanno già annunciato il piano di studi congiunto con le Università di New Nairobi, Città del Capo e Karibu Town. Dopo l’accordo, gli studenti potranno preparare e dare gli esami indifferentemente nei due continenti, scegliendo docenti dall’una o dall’altra, e il titolo di studi europeo sarà riconosciuto anche a sud dell’Equatore. L’università di Mark Zuckerberg ha annunciato nuove sedi transcontinentali a cavallo del Mediterraneo.
Amani Institute, per cui lavoravo qualche anno fa, ha già sviluppato curriculum per il diploma in Interconnected Diversity Innovation per i Governi tedesco, svedese e turco: anticipare questi temi alla scuola superiore ha già dimostrato in Africa come imprenditori 18enni abbiano molta più flessibilità, coraggio e passione per lanciare nuovi business globali rispetto alla tradizionale stanca imprenditorialità europea.
Con questo accordo per la libera circolazione delle merci e delle persone a Nord e a Sud del Mediteranneo, con l’abolizione dei visti, gli accordi universitari, i nuovi collegamenti aerei, tutto sarà dunque possibile. La politica ha raccolto le preghiere degli imprenditori e dei giovani europei.
Con la popolazione in drammatico calo e l’economia stagnante dall’inizio del secolo, la Vecchia Europa avrebbe avuto bisogno da tempo di aprire le proprie frontiere per arricchirsi (anche letteralmente) di nuova linfa.
D’altra parte tutti vogliono venire a vivere nelle nuove città sorte intorno al 2020 sui freschi altopiani ai confine della Rift Valley.
Qui è nato l’uomo, e qui vuole tornare. Io stessa, quando non sono in Italia, vivo in una di queste città pensata nell’era postdigitale, dell’energia solare e eolica, del co-working che ha azzerato il commuting, del welfare costruito a colpi di percorsi ginnici e pedonali e orti condivisi. In Africa le chiamano città rinascimentali, perché segnano una rinascita delle comunità che le abitano all’insegna della multidisciplinarietà e della solidarietà.
Ma si sa, il cambiamento fa paura se non ci si allena a una mentalità aperta. C’è voluto un cambio generazionale prima che davvero fosse possibile afferrarlo anche in Europa. A quel punto è stata l’Africa dal Pil in costante crescita a chiuderci le porte in faccia. Ora che i Salvini e le Marine Le Pen sono andati in pensione, che le associazioni di imprenditori, gli intellettuali, le autorità religiose di ogni confessione lo chiedono a gran voce, finalmente si è trovato l’accordo per facilitare l’asse Nord-Sud. E pensare che il primo a prefigurarlo, un decennio fa, fu Papa Francesco nella prima delle sue numerose visite in Africa, nel 2015.
We are the world: Africa for Europe
Infine, fortunatamente, le autorità dei Paesi sub-sahariani più ricchi hanno deciso di aderire dopo che, per esempio, solo un anno fa, all’Italia era stato negato l’accesso all’Unione Africana per mancanza di alcuni requisiti minimi: un adeguato livello di innovazione, una percentuale sufficiente di cittadini in grado di comunicare in inglese, un tasso di imprese sociali e sostenibili in linea con quello dei Paesi dell’Unione Africana. Così a noi italiani non è rimasto che aspettare che tutto il Vecchio Continente fosse pronto a chiedere aiuto all’Africa.
Quando l’accordo sarà firmato saranno passati dieci anni da quando qualcuno, timidamente, in Italia e in Europa, proponeva una diversa politica dei visti per favorire l’immigrazione legale dei profughi siriani, afghani, e di tutti quei paesi che oggi trainano l’economia mondiale. Erano gli anni dei naufragi di cui persino la stampa sembrava stanca di tenere il conto. D’altra parte, anche quel modello di giornalismo stava naufragando e, cercando di rimanere semplicemente a galla, dimenticava di guardare dove si stesse muovendo il pianeta. L’emozione (e l’illusione di poter cambiare subito qualcosa) era cresciuta una volta, per la foto del corpo di un bambino siriano depositato dalle onde su una spiaggia per turisti. Ma si era dimenticata in fretta con gli attentati terroristici di quello che allora si proclamava Stato Islamico.
Dalle Alpi alle Piramidi?
Ora che quella stagione di terrore non è finita, ma l’Europa la affronta più da vicino, accorgendosi che nasce sul proprio suolo; ora che l’immigrazione clandestina viaggia in senso inverso, non sui gommoni, ma con visti turistici che ormai costano un occhio della testa, con europei privi di permesso di lavoro che cercano in Africa spazi per le loro idee e le loro imprese; ora che università e aziende europee cercano disperatamente di accrescere la varietà di background dei loro studenti e dipendenti per conquistare i mercati più rilevanti… Ecco, ora arriva la firma dell’accordo per cui ho tanto lavorato.
E pensare che l’idea mi era venuta leggendo un libro intitolato Futuro Anteriore, dieci anni fa.
La prossima settimana sarà cosa fatta. Credo che mi concederò una bella vacanza. Magari sulle Alpi, là dove molti anni fa andavo a sciare. Le mie ginocchia non tengono più, ma ormai senza neve posso godermi una passeggiata tra le margherite. In fondo, di acacie ed elefanti non ne posso più.
- On 31 Gennaio 2016