Si fa presto a dare del “mona”
di Lorenzo Carpané
Non si può non discuterne. Il tema è serio, molto serio. Degno di prima pagina del “Giornale” di giovedì 3 aprile 2014. Oddio, poi, come sempre, bisogna vedere in che senso. E il senso, almeno per me, non è esattamente quello del “Giornale”.
E nemmeno il problema, secondo me, è quello del “Giornale”. Perché sul giudizio relativo a quelli là (quelli della ruspa trasformato in tanko), ha già scritto satis et abundanter Merlo su Repubblica.
Insomma, il vero problema è: ma cosa vuol dire ‘mona’? Checché se ne dica, mica tutti lo sanno cosa vuol dire. D’altronde, mica tutti son veneti de soca (che non è latino, e vuol dire ‘di ceppo’) e quindi non tutti sono tenuti a conoscerne la prammatica. Ma ben pochi, anche tra i detti Veneti, sono sicuro, ne saprebbero indicare con esattezza filologica ed etimologica la vera natura.
Atteso e considerato l’uso, se ne possono elencare due significati:
1) organo sessuale femminile;
2) persona un po’ scema, di scarso intelletto, detto a volte bonariamente, a volte meno bonariamente, a seconda dei casi.
Del primo non ce ne cale punto (toscanismo). Del secondo invece sì. E per capirlo ci viene in soccorso un libro (sì, proprio un libro), dal titolo Un’esperienza etimologica veneta. Storia di ‘mona’ (Padova, Esedra, 2011), di Luca D’Onghia, ricercatore normalista (della Normale di Pisa).
Giusta tanta scienza, la parola, nell’un senso come nell’altro verrebbe dall’arabismo “maimun”, che vuol dire scimmia che è diffuso in molte lingue. Di nuovo, sul perché del primo senso non mi dilungo. Ma, invece, sul fare il “mona” sì: vorrebbe dire fare come la scimmia, cioè aprire la bocca per non fare uscire nessun suono, come si vedeva fare alle scimmie.
Illuminazione! In fondo il “Giornale” ha ragione: ’sti qua (quelli del tanko) aprono la bocca per niente. E così le loro presunte bocche da fuoco: anche quelle sono da “maimun”.
- On 4 Aprile 2014