
Frammentazione semantica
di Silvia Sacchelli
illustrazione di @seb_agresti x medium
Capitale semantico vs unanimità
Un team di neuroscienziati del MIT ha osservato cosa accade nella nostra mente quando scriviamo con o senza il supporto dell’intelligenza artificiale [Il Corriere].
Tre gruppi, tre modi di scrivere: a mano libera, con Google, con ChatGPT. I risultati sono inequivocabili: più è avanzato il supporto, più si spegne l’attività cerebrale.
Chi ha usato solo il proprio pensiero ha attivato aree legate alla creatività, al controllo, alla costruzione del senso. Chi ha usato il motore di ricerca ha visto decrescere fino al 48% l’attività del cervello. Infine, chi ha usato l’IA ha prodotto testi più omogenei, apparentemente corretti, ma con un’attivazione cerebrale minore del 55%; nella quasi totalità dei casi, i partecipanti non riuscivano a ricordare le frasi che avevano “scritto” appena pochi minuti prima. Come se le parole non fossero davvero passate da loro.
Lo studio parla di debito cognitivo, ma si potrebbe dire anche: debito semantico. Scrivere senza pensare, parlare senza essere presenti, usare le parole come involucri ben formati, ma vuoti. Tutto questo non solo affatica meno il cervello e quindi lo impigrisce, ma erode il nostro legame con ciò che comunichiamo.
Ed è qui che inizia la frammentazione semantica: quando il linguaggio funziona, ma non significa più nulla per chi lo usa.
Il risultato è che produciamo testi meno capaci di creare sintonia.
Ma come ci siamo arrivati?
Leggi la newsletter completa: Pocherighe #198 – Frammentazione semantica
Una nuova Babele
Uno strumento come ChatGPT ci restituisce parole in perfetto ordine sintattico, ma senza il peso dell’esperienza, senza la fatica del dubbio, senza la fragilità dell’intenzione. E noi, a forza di affidarci a una lingua che sa tutto, ma non ha vissuto niente, rischiamo di diventare simili a lei: lucidi, efficienti, ma vuoti.
Quella che abitiamo oggi è una Babele chiassosa. Parole dappertutto. Non ci serve più una torre per provare a raggiungere il cielo, ci basta un prompt. Ma quanto più in alto arriviamo con la tecnologia, tanto meno sembriamo capaci di costruire qualcosa insieme, qui a terra.
E se la torre non si spezza, sono il senso, il significato e l’etica a svanire lungo la salita.
In questa Babele ipertecnologica, capirsi non è più un punto di partenza, ma una decisione attiva da prendere. Possiamo scrivere, parlare, ascoltare, non per produrre più contenuti, ma per costruire più senso. Ogni parola che scegliamo è una presa di posizione sulla realtà che vogliamo abitare, è un atto di distruzione verticale e ricostruzione orizzontale.
Scrivere è un atto politico e poetico insieme.
E la dice lunga sul tipo di relazione che vogliamo ancora poter costruire con l’altro.
Parole sentite per relazioni di valore.
- On 4 Luglio 2025