Da Platone alle quote rosa: eguaglianza e rappresentanza politica
di Chiara Lucchini
Dopo il recente dibattito parlamentare sulle quote rosa, una riflessione su eguaglianza e rappresentanza politica. Che cos’è l’eguaglianza? Un concetto che va “riempito” perché non rimanga solo una proclamazione, una dichiarazione di principio. Per avvicinarsi a quella che Platone definiva “la vera e ottima uguaglianza”, cioè l’eguaglianza sostanziale.
“Ci sono due specie di uguaglianza, hanno lo stesso nome, ma nei fatti sono quasi l’una contraria all’altra per molteplici ragioni. L’una può realizzarla ogni Stato e ogni legislatore, nella distribuzione delle cariche; è uguaglianza immediata per misura, peso, quantità, e nelle suddette distribuzioni può attuarsi anche con un sorteggio. L’altra, la vera e ottima uguaglianza, non a tutti è facile vederla. Il discernerla appartiene a Zeus, gli uomini la godono sempre in misura minima, ma per quanto sia piccola la misura in cui è presente negli stati e negli individui, è sempre fonte di ogni vantaggio. È dare di più a ciò che vale di più, di meno a ciò che vale di meno, dare a ciascuno ciò che gli spetta secondo il suo valore reale; così più grande onore a chi è migliore, il contrario a chi è nella condizione contraria per virtù ed educazione; a ciascuno il suo”.
Platone, Leggi, VI, 757 C-D
Due specie di eguaglianza. Hanno lo stesso nome, ma nei fatti sono quasi l’una contraria all’altra: Platone ha un’idea già molto chiara della distinzione tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale.
Eguaglianza formale significa che tutti siamo uguali, nonostante il fatto che siamo diversi. È questo il concetto che si è affermato nello stato di diritto liberale, ma che rischia di ridursi a una mera dichiarazione di principio, se non sono previsti rimedi e garanzie affinché tutti possano essere davvero uguali.
Eguaglianza sostanziale significa che, proprio in considerazione del fatto che siamo diversi, è necessario un intervento dello Stato affinché possano essere eliminate le diseguaglianze. Si passa così allo stato di diritto sociale, che ha il dovere di migliorare le condizioni dei cittadini, non solo di non peggiorarle: l’eguaglianza diventa allora anche un rimedio alle diseguaglianze di fatto, garantendo la protezione degli individui deboli.
Eguaglianza non significa identità: il concetto di eguaglianza comporta, necessariamente, il concetto di diversità. È un concetto relazionale, relativo rispetto a un parametro diverso da sé.
È per questo che ogni giudizio di eguaglianza ha sempre un certo grado di incertezza: siamo davanti a un concetto per sua natura fluido, dinamico.
Come scrive Norberto Bobbio in Eguaglianza ed egualitarismo, l’eguaglianza in sé è “un concetto generale e vuoto, che se non è specificato o riempito, non significa nulla”.
Il concetto di eguaglianza va quindi riempito, rispondendo alle domande: eguaglianza tra chi? eguaglianza rispetto a che cosa?, per andare al di là della proclamazione-base secondo cui “tutti gli uomini nascono eguali”, che riecheggia in tutte le carte dei diritti a partire dalla fine del Settecento.
È compito della Repubblica
È su questo dualismo tra eguaglianza formale e eguaglianza sostanziale che si fonda l’art. 3 della Costituzione italiana:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
L’eguaglianza è quindi sempre alla prova delle diversità: nell’elenco dei divieti di discriminazione emerge come il rispetto delle diversità diventi il fondamento dell’eguaglianza, in connessione con il libero sviluppo della personalità. Obiettivo dei padri costituenti era, appunto, quello di conciliare libertà ed eguaglianza. E l’eguaglianza può prendere due direzioni: eguaglianza come accettazione delle differenze o eguaglianza come rimozione delle cause che producono diseguaglianza.
Parità di genere nella rappresentanza politica
Arriviamo all’attualità. Le donne non sono una minoranza, non costituiscono un gruppo della società, ma la attraversano tutta: la differenza di genere è diversa dalle altre differenze, fa parte della stessa essenza umana. Nel recente dibattito parlamentare riguardo alle quote rosa, la presidente Boldrini ha affermato: «il 50% della popolazione è costituita da donne. Oggi abbiamo buoni motivi perché ci sia un’adeguata rappresentanza che ci restituisca il peso della democrazia come soggetto attivo».
Per realizzare una vera e propria democrazia paritaria, la rappresentanza politica dovrebbe tendere a un dualismo maschile-femminile.
Ma cosa sono le “quote rosa” di cui tanto si è parlato e si parla?
Se la mancanza di donne sulla scena politica è riconducibile agli “ostacoli di ordine economico e sociale” cui fa riferimento l’art. 3, allora sono doverose quelle azioni positive che mirano ad assicurare un’effettiva pari opportunità.
Bisogna però distinguere tra due tipi di azioni positive: quelle che promuovono l’eguaglianza di chance, quindi una eguaglianza di opportunità o dei punti di partenza, e quelle che attribuiscono direttamente il risultato, quindi una eguaglianza dei punti di arrivo.
Le prime sono non solo consentite, ma doverose per lo Stato: possiamo definirle come norme antidiscriminatorie o azioni positive atipiche, in quanto hanno una formulazione neutra, limitandosi a permettere ai cittadini di entrambi i sessi di partecipare alle elezioni, intervenendo sulle candidature, senza però garantire il risultato (in questo caso si attribuirebbe un privilegio e le norme sarebbero in contrasto con la Costituzione).
Dopo varie oscillazioni giurisprudenziali sul punto, la legge di revisione costituzionale n. 1/2003 ha aggiunto un periodo al comma 1 dell’art. 51 della Costituzione: “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
Una modifica costituzionale tesa a riaffermare i principi che avevano precedentemente subito un’interpretazione restrittiva.
Dopo tale modifica costituzionale, sono ancor più doverose le norme anti-discriminatorie, quelle che intervengono sulle candidature e che costituiscono lo strumento più efficace perché la parità di accesso diventi effettiva.
La modifica costituzionale richiede, però, un intervento del legislatore, il quale ne deve poi dare attuazione: intervenire sulle candidature è costituzionalmente legittimo, anzi doveroso.
Certo, non è facile. La “vera e ottima uguaglianza”, l’eguaglianza sostanziale, appartiene a Zeus. Ma, tornando a Platone, “per quanto sia piccola la misura in cui è presente negli stati e negli individui, è sempre fonte di ogni vantaggio”.
Se nessun effettivo passo in avanti viene compiuto verso l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica, le modifiche costituzionali si riducono a una conquista giuridica che rischia di restare una proclamazione, con danno per la democrazia.
Il concetto di eguaglianza va “riempito”. Per andare al di là delle parole. Per permettere che il diritto si avvicini alla realtà e intervenga su di essa per renderla migliore.
- On 9 Aprile 2014