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Come un’orchestra Musica, leadership, politica: dall’apnea emozionale ai progetti d’uso.

Intervista a Cinzia Pennesi

di Alessandro Lucchini

Che poi, prima di iniziare l’intervista, c’è già un sacco di dubbi sulle parole.
Ci sarebbe da discutere su “direttore”, per cominciare.
Già, perché l’immaginario comune vuole il direttore d’orchestra maschio, scapigliato, anche un po’ accigliato, fino al burbero, con gesti sferzanti, e con il pugno chiuso di comando.
È il prototipo del capo assoluto. Anche se forse non è così, perché dovrebbe essere quello che fa dialogare tutti. Ma pensiamo al termine comandare a bacchetta: e come si muove, questa bacchetta, in mano a una donna, più esile, meno imponente? e come fa muovere gli altri?Sono i dubbi che son frullati nella testa appena ho conosciuto Cinzia Pennesi, direttore d’orchestra e di coro, assessore alla cultura della città di Matelica, nelle Marche.

È stato a Roma, l’anno scorso, all’evento di Microsoft La nuvola rosa. Io avevo appena finito di parlare di linguaggio. Sai quando tieni un discorso davanti a 250 ragazze. Mica uno scherzo. È il mio lavoro, ok, ma appena finito accusavo la fatica. Poi sale lei sul palco. Si accende una scritta: “musica è donna”. E subito capisco che non andrò a rilassarmi: ci sono frasi da ascoltare, spunti da cogliere, domande da fare.

Per esempio: che cos’hanno in comune la direzione d’orchestra, la leadership di un’azienda e la politica? Ora posso domandarglielo.

Cinzia, la tua professione ha un’immagine maschile. Com’è stato il tuo esordio?

Circondata da uomini, per tutto l’iter scolastico. Al conservatorio ero l’unica donna. Ora non è più così, ci sono molte donne direttrici d’orchestra. Ho cercato di imparare dai grandi della musica l’approccio giusto: la difficoltà è che non abbiamo nella storia un modello femminile, una role model si direbbe oggi, nella direzione d’orchestra. Non abbiamo un Toscanini al femminile. Questo ha stimolato in me una ricerca, sotto molti aspetti, a partire dalla gestualità, che è certamente diversa da quella maschile. Ricerca che è stata spesso accompagnata da molto scetticismo, e questo è uno dei problemi che ho dovuto affrontare. Più di volta, per esempio, scendendo da un aereo, dalle persone che venivano ad accogliermi mi sentivo chiedere «Scusi, dov’è il Direttore?».

Non ti disturba il fatto che si usi la parola direttore anziché direttrice?

Ma no, mi appare una disquisizione poco importante, che rischia di far perdere di vista la sostanza. Le donne ci sono, e sono tante. Il problema è che fa ancora notizia il fatto che in un gruppo così in vista, come un’orchestra, sia leader una donna. Forse, poi, noi donne dovremmo toglierci l’abitudine del dire «Sono l’unica donna che…», o «Sono la prima donna che…». Questo secondo me rafforza l’idea che siamo in poche, mentre invece ci sono tantissime donne impegnate e volutamente ignorate.

Parliamo di leadership. Quali sono i pilastri su cui si regge la metafora, o il paragone se preferisci, orchestra/squadra professionale, direttore/leader?

Il direttore d’orchestra ha la partitura davanti a sé, e nella partitura ci sono le parti di tutti. Per “parte” s’intende il cammino, sia melodico sia armonico: melodico è quello individuale; armonico è quello che fa incontrare e fondere ogni competenza, e crea un’altra cosa. Ciò che deve fare un direttore, prima di tutto, è ascoltare ogni singola parte; deve conoscere tutti gli strumenti per poter interagire con ognuno. Non necessariamente dev’essere un campione in ogni strumento, ma deve saper valorizzare ciascuno di loro.
Il direttore ha una grande responsabilità, e deve considerare se stesso un mezzo, e non un fine: colloquia con tutte le parti, e deve mettersi nelle condizioni di farsi intendere.
È una metafora molto bella: in un team di lavoro – organizzazione privata o pubblica – mi piace pensare che possano essere adottati sistemi di pensiero di ampio respiro.

Siamo già passati dalla musica all’azienda. Allarghiamo ancora la visuale. Come arriva la politica?

È stata la curiosità di capire perché alcune cose in Italia non funzionano; perché da noi la cultura non è considerata e gestita come dovrebbe, ovvero come un importante potenziale di sviluppo, anche economico; perché non riusciamo a vivere del nostro Paese, così meraviglioso; perché le arti performative sono ancora viste come una sorta di “saltimbancaggio”. I lavoratori dello spettacolo sono tantissimi, ma pochi hanno in questo momento la possibilità di vivere di arte. Noi perdiamo così una grande ricchezza.
Da tanti anni partecipo a tavoli di lavoro culturali, e cerco di portare la mia esperienza da dietro le quinte ai luoghi istituzionali.
Una decina di anni fa iniziai a parlare di “apnea emozionale”. Per esempio,
non si investe più per commissionare opere teatrali e altri beni immateriali, che nei secoli sono stati fonte di orgoglio della creatività italiana, oltre a essere prodotti sostenibili ed esportabili, e beni materiali come per esempio la costruzione di una bella piazza, che significa luogo e tempo di aggregazione, di scambio, di ri-creazione, di confronto, di senso di comunità.
Oltre al fatto che queste azioni sarebbero importanti anche per lasciare delle piccole orme del nostro passaggio su questo pianeta, una piazza piena di gente è sintomo di civiltà. Avere una città con delle persone che stanno lì a chiacchierare significa che c’è un tempo ritrovato.
Prendiamo le Marche, per esempio, la mia terra. Una terra che ha generato Rossini, Bramante, Raffaello, Spontini, Leopardi, giusto per dire.
Prendiamo Matelica, città che conosco molto bene perché da 25 anni vi dirigo un coro, e dove ora sono assessore alla cultura. È la città di Enrico Mattei; è la città che nel Cinquecento è stata la prima a stampare libri; è una città romana, con un museo archeologico molto fornito.
Sono stata per anni direttore artistico del teatro Piermarini, oggi di proprietà del Comune, ma che era stato costruito da mecenati che volevano stare insieme e coltivare le proprie passioni, ma anche offrirle a tutta la città sotto forma di spettacoli, concerti, opere. Questo luogo, come testimoniano i manifesti dell’epoca, era un luogo di grande aggregazione: gli appuntamenti erano anche veglioni, balli in maschera e cerimonie varie. Nel 1995 il teatro è stato restaurato. Ma il restauro non basta. Occorreva un progetto diverso. È qui che mi sto impegnando, insieme con la mia amministrazione.

Quindi si è costruito un progetto per far vivere il teatro e renderlo vivibile dalla comunità?

Abbiamo cercato sinergie. Abbiamo ristrutturato il foyer, portandovi l’enoteca comunale, e valorizzando con un progetto apposito la degustazione del Verdicchio. Oggi il teatro è visitabile, aperto 7 giorni su 7, pieno di turisti e di amanti del vino.

Che cosa? L’enoteca nel foyer del teatro? Qualcuno urlerà al sacrilegio.

Ma figuriamoci! Tutto questo crea una grande sinergia con lo spettacolo. E offre spazi anche ai giovani, dopo cena. E al mattino teniamo concerti per i bambini, che possono perfino venire sotto le gambe dei musicisti. C’è insomma un progetto d’uso, e così riusciamo a tenerlo aperto con costi davvero ridotti al minimo.

Questo incrementa anche il senso di comunità?

Certo. Il senso di comunità e di positività. Un elemento indispensabile per superare la crisi di questi anni è vincere l’alienazione che fa vedere tutto nero. Allacciare sinergie, sfruttare gli interessi della comunità, creare vantaggi per il maggior numero di persone.
Subito dopo le elezioni, per esempio, non avendo soldi per illuminare gli alberi di Natale, abbiamo fatto costruire un albero in piazza, e poi, a un’azienda che produce attrezzature ginniche abbiamo chiesto di darci due biciclette. Abbiamo organizzato un calendario: ogni giorno un’associazione attiva nel nostro territorio si occupava di pedalare per illuminare la città. È stato un grande successo di comunità, che ci rende orgogliosi di questo senso di appartenenza. Un valore, anche a livello simbolico: far fatica per costruire qualcosa insieme. È stato faticoso, certo, ma molto bello.

Nella logica del “Futuro anteriore”, Cinzia, proiettiamoci in avanti di 25 anni. È il 2040. Cos’hai imparato nei recenti 25 anni della tua vita?

Ho capito perché la gente, anni fa (sto nel metodo, giusto?), era disgustata da una politica urlata, fatta di disinibizione, di battutine e di sarcasmi. Non era un buon modello per i giovani.
Ho imparato a non accettare certe demagogie, come quella secondo cui è sufficiente rinunciare alle indennità per essere considerato un buon politico, o un amministratore che sa far bene il proprio lavoro. La mia indennità di assessore, per esempio, 25 anni fa (ehi, ci sto riuscendo), era esigua, ma era giusto averla. Per la mia città lavoravo tantissimo. Un amministratore, un sindaco, deve dedicarcisi tantissimo. Non è un lavoro che si può fare a tempo perso, così, solo per passione. Per passione si gioca a scacchi, si collezionano francobolli. In un Comune si lavora tantissimo, ogni giorno.
Rispetto a 25 anni fa, ancora, come donna, sono felice che il mio pensiero sia semplicemente accolto come diverso, e che il mondo apprezzi di sentire un’altra versione dei fatti, quella femminile.
E sono felice che sia stata finalmente rivalutata l’etica di comunità. L’esempio del cittadino che pedala, quella volta, è stato per noi una presa di coscienza: ha dimostrato che l’albero che s’illumina interessa tutti. Un senso di comunità e di appartenenza. Come un’orchestra.

 

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Cinzia Pennesi
Nata a Tolentino (MC). Direttore d’orchestra e di coro, pianista, compositrice, svolge attività concertistica in Italia e in tutto il mondo. Si dedica da anni al teatro musicale, dirigendo e preparando vocalmente gli interpreti, con opere di diversi epoche e stili. Ha diretto più di quaranta titoli, i più recenti dei quali nel repertorio del novecento e contemporaneo. È autrice di molti lavori per il teatro, dei quali ha diretto le prime rappresentazioni.
Ha diretto l’Orchestra Accademia della Libellula nelle dirette su Rai Uno del programma “Tutte donne tranne me” condotto da Massimo Ranieri, curandone gli arrangiamenti musicali.
Dal 1990 dirige ed è preparatore vocale del Coro Polifonico “A. Antonelli” di Matelica.

  • On 13 Dicembre 2015
Tags: Alessandro Lucchini, come un’orchestra musica, leadership, Palestra della Scrittura, politica: dall’apnea emozionale ai progetti d’uso intervista a cinzia pennesi
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