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Lessico familiare: perché le parole non feriscano

Il convegno a Milano “Le parole sono importanti: come dirlo e come scriverlo”.
Le condizioni degli accordi, le conclusioni degli atti, i provvedimenti:
quali responsabilità linguistiche per giudici e avvocati

 

di Elisa Pasolli

“Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.
Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori.
Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.”

Aleggiava questa frase, durante il convegno nell’aula magna dell’Ufficio del Giudice di Pace di Milano, lo scorso 11 novembre, e il pensiero del suo autore, Tullio De Mauro.
Organizzatori: la Camera Minorile di Milano, con l’Unione delle Camere Minorili Nazionali. Destinatari: i professionisti del diritto di famiglia e del minore.
Per Palestra c’era Alessandro Lucchini, con il compito di portare la sensibilità del linguista in un contesto giuridico di particolare delicatezza.

Scopo del convegno era infatti aumentare la consapevolezza di quanto il linguaggio, i toni, le modalità nel rivolgersi al giudice o all’altro, difensore o parte, sono rilevanti nei procedimenti di famiglia .
Partendo dalla riflessione di Silvia Veronesi, avvocato, vicepresidente della Camera Minorile di Milano, abbiamo compreso che il primo tra i doveri dei difensori è insegnare alle parti a comunicare tra loro, prima ancora d’iniziare a occuparsi della strategia difensiva: il linguaggio è determinante nella riduzione del contrasto e nell’inversione della spirale della conflittualità.

Nel marzo dello scorso anno sono state sottoscritte dalla Corte d’Appello di Milano, dal Tribunale e dall’Osservatorio della Giustizia Civile di Milano le Linee Guida per la redazione degli atti in materia di famiglia, che danno indicazioni uniformi circa il contenuto degli atti in questione.
L’allegazione dell’avvocato (è il testo con la prova addotta a sostegno di una tesi), che deve convincere il giudice di quanto sia intollerabile convivere o impossibile ricostruire la comunione materiale e spirituale, comporta l’entrare nel profondo della vita del nucleo famigliare, soffermandosi sugli aspetti che hanno portato alla crisi coniugale. È molto facile qui che le parole usate, proprio perché riguardanti le sfere più intime e delicate della persona, possano essere inadeguate.

Linguaggio rispettoso della dignità umana

Secondo Anna Cattaneo, magistrato, presidente sezione IX civile del Tribunale di Milano, le parole spese in giudizio, e prima ancora negli atti, devono farsi carico del rispetto della dignità umana. Le situazioni negative dentro il nucleo famigliare vanno descritte senza giudizi e offese gratuite, e in modo il più possibile oggettivo, come cronaca, senza effetti svalutativi. Ma cosa accade nella realtà? Al contrario, gli atti sono pieni di rancore, di rivendicazione, di svalutazione dell’altro, di rappresentazione della vita coniugale come un ammasso di fallimenti, enfatizzati da parole che feriscono. Spesso la conflittualità è amplificata dallo stesso difensore, che usa parole sproporzionate rispetto alla rappresentazione che la parte difesa ha di quegli stessi fatti. Le parole, con il loro suono e con il loro significato, devono essere ben calibrate in tutto il corso del giudizio, soprattutto nella fase iniziale, per aumentare la possibilità del magistrato di far trovare alle parti una conciliazione.

Le parole sono importanti non solo dal punto di vista della non offensività, ma anche per ciò che concerne il senso di verità. Sobrietà, pacatezza e completezza di contenuto, chiarezza del ragionamento, semplice elencazione dei fatti, con frasi brevi, chiare, essenziali ma complete, senza ripetizioni superflue. Questi i principi cardine cui l’avvocato deve fare riferimento.

Tagliare aggettivi, avverbi, dettagli inutili

Quando tocchiamo argomenti così carichi di emotività, dunque, bisogna rimanere attaccati a dati di realtà e usare un linguaggio composto e pacato. Ma come si fa a togliere giudizio nelle dichiarazioni, mantenendo sobrietà e pacatezza? Un consiglio pratico di Alessandro è ridurre al minimo gli aggettivi e gli avverbi, che inevitabilmente rimandano alla sfera della soggettività e delle percezioni.
Altro aspetto centrale è la sintesi. Diceva Voltaire: «Vi scrivo una lettera lunga perché non ho il tempo di scriverne una breve». Significa che per comunicare efficacemente tutti dobbiamo prenderci il tempo per stendere un testo, articolo o atto che sia, e poi dedicare altro tempo a togliere tutto ciò che è superfluo. Scrivere o parlare in modo sintetico è molto faticoso: occorre padroneggiare la materia a tal punto da riuscire a estirparne ogni aspetto non essenziale.

Specie con le persone fragili

L’incontro ha poi cambiato contesto, passando dai procedimenti contenziosi a quelli di tutela e protezione delle persone fragili. Con Laura Cosmai, magistrato con una lunga esperienza alla sezione IX civile del Tribunale di Milano, ora giudice tutelare alla sezione VIII, abbiamo compreso come il giudice tutelare entri in contatto con soggetti fragili: fragili perché anziani, malati, deboli, limitati nelle loro capacità cognitive. La fatica risiede allora nel tradurre concetti complicati in espressioni semplici: se il giudice rivolge domande con un linguaggio tecnico, nell’80% dei casi non verrà compreso e probabilmente riceverà risposte sbagliate. A una persona cognitivamente fragile non si può chiedere se ha “cespiti immobiliari”, ma si dovrà trovare una perifrasi comprensibile. La semplificazione del pensiero e della lingua, insieme con il rispetto della vita delle persone, sono valori altrettanto importanti quanto la funzione dell’atto che il giurista sta scrivendo.

“Avvocato” o “curatore”?

Importante anche il punto di vista del curatore speciale e difensore del minore, offerto da Grazia Cesaro, avvocato, presidente dell’Unione Nazionale delle Camere Minorili. Ci troviamo ad affrontare un passaggio epocale, che riguarda il ruolo di avvocato del minore, ora individuato come curatore. La differenza è marcata: curatore deriva da curo, chi si prende cura, mentre avvocato da advocatus, chi è chiamato a difendere. Il significato di curatore appartiene alla sfera dell’essere, significa che in questo ruolo viene attribuita agli avvocati una vera cura della persona, sono difensori dell’essere. E come curatori, sono portatori di una responsabilità sociale che consiste nell’attribuire voce a chi non ne ha. Nell’individuare le strategie comunicative più proficue, il Manifesto della comunicazione non ostile rappresenta un vademecum e un’occasione per discutere anche sulla comunicazione in ambito di diritto di famiglia e minorile. Le parole sono ponti: gli insulti e gli attacchi non sono argomenti, nel nostro modo di esprimerci dobbiamo ridurre le distanze. Gli avvocati minorili, e in generale gli avvocati che si occupano di relazioni famigliari, sono tenuti a mettere al centro l’interesse e il benessere del minore: è bene ricordarlo sempre, quando si predispongono le condizioni di un accordo o si formulano le conclusioni di un atto, proprio anche sotto il profilo linguistico.

Secondo Maria Grazia Monegat, avvocato, co-referente del settore civile dell’Unione Nazionale delle Camere Civili, la riflessione deve partire proprio dal ragionamento sulle parole, dalla precisione formale, dal lessico. I magistrati e soprattutto gli avvocati hanno un’importante responsabilità in questo: una parola scritta male, una parola malintesa, cioè intesa per il verso contrario, può determinare gravi danni a una relazione. In altre parole, gli avvocati esperti in diritto di famiglia e del minore sono gli avvocati delle relazioni, per eccellenza.

Parlare è anche essere.
Il gesto e la parola sono il pensiero dell’uomo.
Non si deve parlare invano.

Dal romanzo Eva Luna di Isabel Allende

Maggiori informazioni:
• la locandina del convegno
• la Camera minorile di Milano
• per un approfondimento sul linguaggio giuridico c’è il nostro Scrivere diritto

“Le parole sono importanti!”

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