Stereofonia del mondo Arte visiva e narrazione: una promessa d’incontro
di Nicola Favaro
Hai mai visto, in una sconosciuta, gli occhi umidi di tue parole?
Non a molti scrittori è data l’occasione di assistere in diretta al dispiegarsi di un’emozione. Non so il nome di quella ragazza e non so nemmeno se si sia resa conto, uscendo da quella piccola stanza in cui soggiornava l’opera “Caffè forte”, di qualcosa di più del suo imbarazzo per essere stata scoperta ad asciugarsi una lacrima.
Né so quale punto di quell’opera abbia fatto contatto con quel suo meccanismo interno. So solo che avrei voluto raccogliere quelle lacrime e tenerle con me come un totem. E invece sono rimasto fermo, il respiro trattenuto, frastornato a mia volta da un’emozione senza parole, gioendo di quella fortuna concessa a pochissimi scrittori. Un mese fa ha chiuso a Torino la mostra Incontri di visi. Stradario di geografia umana. Nata dall’incontro tra le mie parole e l’arte di Sarah Bowyer, mi ha permesso di vedere i miei testi esposti in un contesto del tutto inaspettato: uno spazio d’arte, la galleria dei Bagni Pubblici di via Agliè.
In ogni mostra c’è, per quanto breve, una parte scritta e in ogni racconto c’è – non foss’altro per il font e per l’impaginazione – una parte visiva. Non è poi infrequente che ci siano immagini a illustrazione di racconti; o testi a didascalia di opere d’arte. Nella nostra mostra, Sarah e io abbiamo cercato di andare ancora oltre questo rapporto ancillare e immaginare opere che fossero il frutto di una vera simbiosi tra arte e parole.
Ciascuna opera accoglieva lo spettatore con un testo e una parte visiva: dipinti, sculture, video o installazioni. Al visitatore era lasciato il compito di ricomporre l’opera, passando dalla dimensione testuale a quella rappresentativa, in una lettura stereofonica funzionale a una fruizione personale e interpretativa.
Nella costruzione della mostra siamo partiti a volte da un mio racconto e a volte da un’opera di Sarah, e siamo andati poi modificando le nostre parti includendo nell’una spazi di contatto con l’altra. A distanza di un mese, ripercorrere le tappe del mio lavoro mi permette di portare a galla alcune notazioni di metodo che spero possano essere utili come spunto.
1. Prosa d’arte.
Quando mi sono trovato a dover scrivere il contrappunto a un’opera di Sarah, mi si è posta una sfida per me nuova. Avevo già, in qualche rivista, osservato danzare insieme opere d’arte e poesia, ma non ricordavo di aver mai visto un simile ballo con un racconto in prosa. La poesia è astratta, immediata, ritmica: condivide molto con il visivo di Sarah. Ma non era quella la sfida: dovevo scrivere in prosa, raccontando ogni volta una storia di incontri a Torino, il tema della mostra.
Mi sono seduto di fronte all’opera e ho lavorato per libere associazioni, basandomi sulle fusioni sensoriali, con un metodo di progettazione testuale molto simile a quello proposto da Palestra della scrittura, anche nel nuovo libro Futuro anteriore: il clustering. Davanti alle opere di Sarah è difficile non rimanere coinvolti: i sensi e l’animo si riempiono di stimoli. Il mio non è stato un approccio scientifico – non ne avrei avuto le conoscenze – ma, rileggendolo ora, mi rendo conto che, nei casi meglio riusciti di amalgama tra i due mondi, lo strumento che mi ha permesso di creare il legame è stato il coinvolgimento dei sensi: da un quadro ho tirato fuori un fischio, da un altro un gusto di amaro, da un altro ancora la sensazione della polvere. È stata la chiave per creare un passaggio tra un racconto e l’opera.
2. Dai sensi al senso.
Trovata la chiave, mi sono spostato di piano e ho cercato un clima emotivo. Sempre per seguire i tre esempi di cui sopra, la gioia spensierata con il fischio, l’amarezza della sconfitta con quel sapor di bile, la serenità venata di tristezza della polvere che tutto inghiotte. Sensazione, mood… ritmo: un andante con brio, un crescendo wagneriano, un notturno di Chopin. (A proposito delle connessioni stimolate dal ritmo, utile vedere anche qui)
Ricostruendo il processo mi accorgo che, se dovessi distinguere tra i racconti che ho scritto a partire da una pagina bianca e quelli che ho lasciato venire fuori da un’opera di Sarah, essi divergono in primo luogo perché i primi partono da un contenuto, i secondi da una forma.
3. Forma o contenuto?
Capita spesso di trovarsi di fronte a un bivio, soprattutto nella scrittura professionale, non sempre è possibile trovare il modo di salvaguardare appieno il contenuto senza mortificare la forma. Dopo quattro settimane di esposizione delle opere mie e di Sarah, registro come io abbia una percezione del tutto differente, su questo tema, rispetto a quella che avevo prima.
Nella fase creativa, soprattutto quando a “partire” era un mio testo, mi trovavo tra le mani un messaggio forte, spesso intimo, legato a un aspetto della mia vita. L’esigenza di comunicarlo era la molla che faceva scattare le dita sui tasti. Partire dal contenuto, a testa bassa, ha fatto spesso slittare verso una scrittura writer focused, che è tale proprio perché perde di vista prima di tutto la forma. È stato poi il lavoro di editing a recuperare in parte leggerezza e ritmo, ma non in tutti i testi penso di essere riuscito altrettanto bene che se li avessi da subito scritti con una differente impostazione mentale.
(Sul concetto di writer focusing o reader focusing, utile vedere il libro Business writing a pagina 128. Scaricabile gratis)
4. Una W fondamentale.
Da quando mi sono avvicinato al mondo delle parole, ho sempre avuto una particolare predilezione per tutto ciò che sembra modificare il campo di forza che le circonda. Non tutto è spiegabile, soprattutto nella scrittura. C’è una parte tecnica che è definibile, studiabile, riproducibile; e una che non si afferra se non per gli effetti che riproduce.
Sarà forse nota la teoria delle 5 W, ossia la struttura della notiza secondo la scuola giornalistica anglosassone (who-what-when-where-why, le cinque domande che debbono trovare risposta nell’inizio un articolo: chi ha fatto che cosa, quando, dove e perché).
Uno degli agganci che ho sfruttato nello scrivere i testi di questa mostra è il legame con un luogo, con un where riconosciuto e riconoscibile, che aiutasse l’identificazione degli spettatori della mostra, ossia i veri protagonisti del messaggio (who). Ho cercato di associare a ogni racconto un angolo di Torino che avesse per me un significato particolare. Zone intime ma riconoscibili, che sono servite – i feedback sono stati tanti e positivi – a creare un legame con chi leggeva il testo.
5. Il palcoscenico giusto.
Ma oltre che nel testo, il “where” è stato importante per il contesto: abbiamo scelto per l’esposizione un luogo parlante, rappresentativo dell’universo di senso contenuto nella mostra. I Bagni Pubblici di via Agliè sono un luogo vivo, al centro di un quartiere in piena trasformazione: costruiti per i primi migranti (italiani), oggi sono stati restaurati e servono da docce per chi non ha un bagno in casa, i nuovi migranti. Il piano terra è stato ristrutturato e adibito a galleria d’arte e luogo d’incontro, le vecchie docce sono diventate piccole stanze perfette per racchiudere tra mura opere come le nostre. Nella stamperia abbiamo inserito “Peperone giallo”, opera composta da un breve testo e da una incisione su lineoleum. Nella piccola sartoria era esposta “Lo spazio tra i fili”, opera composta da un brevissimo testo e da una tela cucita.
Tutto questo per dire che al lettore può essere lanciato un ulteriore gancio utilizzando il contesto in cui verrà fruita (letta, osservata, toccata) un’opera. Lo sa bene chi scrive per il teatro: il luogo in cui verrà messo in scena un testo può diventare esso stesso parte del testo, rafforzativo del messaggio. Non per nulla le fiabe di paura si raccontano meglio di notte, davanti al fuoco, quando ogni parola sembra guizzare assieme alle ombre sul viso del narratore. E non per nulla una mostra sugli incontri, di visi e di strade, è stata fatta a Torino, città in cui, stradario alla mano, è impossibile non incontrarsi.
Fin qui la storia di giusto ieri. E domani?
Certo, gli incontri di visi sono ovunque. Lo stradario è sterminato, le geografie umane senza limiti. Da Chivasso a New York, da Napoli a Mumbai. Chissà.
E il futuro, quello si sa, è anteriore. Quindi, anche lui, infinito.
Info:
Nicola Favaro, nicola.favaro@me.com
www.facebook.com/nicola.favaro2
https://www.facebook.com/Incontri-di-visi-Stradario-di-geografia-umana-137440019942342/
- On 12 Dicembre 2015