
Così fan tutti. Contratti alla Da Ponte (per Mozart)? Anche no, grazie!
di Lorenzo Carpanè
Contratto.
Parola chiave, sembrerebbe, nella vita politica di questi mesi.
Parola chiave delle relazioni professionali, anche, come si sa.
Parola che deriva dal latino, come quasi tutte le parole italiane. Nello specifico da contractus, a sua volta derivato dal verbo contrahere. Tanto in latino che in italiano, il verbo ha grosso modo due ‘campi’ di significato: unire, legare (esempio: contrarre un mutuo); procurarsi, causare a sé (esempio: contrarre una malattia).
Come aggettivo e sostantivo ‘contratto’ prende uno dei due significato. Come aggettivo quello di ’ristretto’, ‘rattrappito’, come sostantivo quello di ‘patto’.
Va bene, dirà il lettore: e mo’ che cce famo?
Proviamo a fare un gioco e pensare di mettere insieme sostantivo e aggettivo: fare cioè un ‘contratto’ ‘contratto’, cioè un patto ‘ristretto’, non rattrappito, ma nel senso più nobile di ‘sintetico’.
E qui sta il bello: che anche “sintesi” ha significato molto simile, se non identico, questa volta dal greco syn (con) e tithemi (porre).
Di nuovo: e mo’?
Il punto è questo: che un contratto, per essere tale, deve essere il più possibile ‘sintetico’: cioè deve contenere il massimo delle informazioni nel modo meno dispersivo possibile, cioè evitando tutte le trappole dell’amplificazione retorica, delle parole vuote, delle formule che sono solo formule. Insomma, bisognerebbe evitare di fare ciò che canta Despina nel Così fan tutte (atto II, scena 17) di Mozart (libretto di Lorenzo Da Ponte)
Augurandovi ogni bene
Il notaio Beccavivi
Coll’usata a voi sen viene
Notarile dignità.
E il contratto stipulato
Colle regole ordinarie
Nelle forme giudiziarie,
Pria tossendo, poi sedendo,
Clara voce leggerà.
(primi 48 secondi)
- On 30 Aprile 2019