Servizio 12 della Telecom
di Bianca Borriello
“Operatore-torino-ovest-numero-centosessanta”
La voce registrata mi risuona ancora nelle orecchie. Perfetta, immutata nel ricordo.
Come la lucetta rossa lampeggiante che annunciava la chiamata in ingresso, accompagnata da un fischio continuo: una tortura inimmaginabile, neanche ai prigionieri di Guantanamo riservano tanto.
Una telefonata ogni 47 secondi, per 6 ore al giorno, su turni di 24 ore per 7 giorni. La lucina e il fischio me li portavo a casa, e poi a letto, non smettevano mai.
Nei turni notturni prendevamo anche le chiamate in entrata dalla Val d’Aosta, ho imparato un sacco di insulti in dialetto “patoué” da quelli che si rifiutavano di sillabare il cognome che stavano cercando.
Intorno al 25 dicembre i bambini chiamavano per chiedere il numero di Babbo Natale.
Qualcuno pensava di parlare sempre con lo stesso operatore e attaccava chiamandomi Luisa e chiedendomi come stessero i miei figli.
Qualcuno cercava il numero di Ciro Esposito, a Napoli. E se chiedevo qualche informazione in più, che di Ciro Esposito a Napoli ne avevo 27.000, loro mi rispondevano: “questo è un tipo alto, senza capelli. Dovrebbe avere una quarantina d’anni”.
Qualcuno ansimava. Ma ansimava pure qualcuna. E solo in questi casi eravamo autorizzati a far cadere la linea.
Qualcuno faceva le pernacchie.
Qualcuno diceva che voleva morire e mi chiedeva di restare un po’ lì. A parlare.
Mi ricordo di un signore che aveva scritto un libro sulla sua vita. Chiamava tutti i giorni per leggermene un frammento. Magari non chiamava solo me.
Qualcuno chiedeva del Bennet di Pavone Canavese e nessun operatore ha mai scoperto quale numero avesse. M’è rimasta la curiosità di andare a cercarlo, il Bennet.
Quando il computer non ti dava una risposta ti alzavi e andavi a consultare l’elenco telefonico cartaceo, che per qualche motivo era più completo.
Avevamo due possibilità per turno di fare la pipì, ma potevamo metterci al massimo 4 minuti. Che andavano bene, se era pipì.
Timbravamo il cartellino e mi è capitato di trovare 3 minuti non retribuiti in busta paga. Ho capito allora il valore esatto della puntualità.
Era bello quando ci chiedevano di “fare il Telethon” perché stavamo in piedi tutta la notte ma ci pagavano di più e i dirigenti portavano le pizzette e le bibite.
Era bello quando, nella notte, un collega mi chiedeva di provare a interrogarlo perché stava preparando un esame per l’università.
Era bello quando qualcuno ti raccontava che un call center è un paradiso se prima facevi la cuoca su una nave da turismo.
Ho conosciuto persone interessanti e persone annientate dalla lucina rossa.
Sono passata anche da lì e sono contenta di ricordarmelo ancora.
La voce “call-center”, sul curriculum, dovrebbe contare come 7 anni di militare a Cuneo.
- On 13 Gennaio 2014