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La sera la piazza diventa ipnotica

di Maddalena Bertello

Giochiamo con le parole: un esercizio sui sistemi rappresentazionali

La prima volta che mi sono trovata a riordinare le idee e a mettere giù una traccia per spiegare in aula i sistemi rappresentazionali, ho cercato nella mia mente uno spunto efficace per poter rendere il concetto in maniera immediata e diretta (visibile, tangibile, percepibile, appunto…).

la sera la piazzaLa prima volta che mi sono trovata a riordinare le idee e a mettere giù una traccia per spiegare in aula i sistemi rappresentazionali, ho cercato nella mia mente uno spunto efficace per poter rendere il concetto in maniera immediata e diretta (visibile, tangibile, percepibile, appunto…).
E di colpo mi si è imposto, forte e deciso, il ricordo di quello che io ritengo il luogo multisensoriale per eccellenza. La piazza di Marrakech, la famosa Place Jeem el Fnaa, il cuore, l’anima della città vecchia che, alla sera, diventa teatro di mille suggestioni.
Era perfetta per lo scopo.
E allora l’idea di cimentarmi con una sua descrizione rappresentazionale ha preso forma.

Come ho proceduto?
Ho provato a fare questo esercizio in due modi differenti, o meglio, in due fasi successive.
Nella prima, mi sono limitata a seguire la logica reader focused, quindi ho pensato di scrivere per un visivo, un auditivo e così via. Mi sono concentrata cioè sull’immaginare l’effetto che quelle espressioni avrebbero potuto avere sul lettore, in relazione al suo sistema rappresentazionale dominante.
Il risultato era però piuttosto fiacco. Si poteva fare di meglio.

E allora ecco la seconda fase, quella nella quale ho provato a forzare il mio canale sensoriale predominante, cercando di vedere come un visivo, di ascoltare come un auditivo e di sentire come un cenestesico.

Può sembrare apparentemente qualcosa di molto simile, ma in realtà la differenza è immensa. Un conto è andare a pescare nella propria mente le espressioni, i verbi, gli aggettivi che sai che fanno breccia facilmente in un determinato canale sensoriale. Tutt’altra cosa è immaginare di scoprire quel luogo stando dentro all’osservare di un visivo, al sentire di un auditivo, al respirare di un cenestesico.

Entrambe le fasi sono state determinanti. La prima ha implicato una lucida analisi del rapporto fra mondo linguistico e percezioni sensoriali, per arrivare ad avere un primo quadro, anche se un po’ sbiadito. La seconda ha significato metterci dentro le emozioni, far scendere in campo anche l’emisfero destro, seppur soltanto a supporto di quello sinistro (che ha comunque dovuto governare), e da lì l’arricchimento del quadro iniziale con immagini-suoni-odori vissuti, che lo hanno reso più vivido e pulsante.

Questo esercizio, che ha rappresentato per me uno stimolo di analisi e di consapevolezza linguistica, credo possa essere uno spunto efficace, sia applicato come allenamento ad altre descrizioni (del resto Queuneau nei suoi Esercizi di stile va ben oltre ai sistemi rappresentazionali), sia come strumento per verificare una volta di più l’effetto delle parole sulle nostre percezioni.

Bene, non ci resta quindi che addentrarci nella piazza….

E allora eccola qua, la nostra piazza (o forse dovremmo dire le nostre tre piazze..)
La prima, una piazza tutta immagini e colori, dedicata ai visivi.
Un’altra, fatta di suoni e melodie, per la gioia degli auditivi.
E l’ultima, pensata per i cenestesici, carica di profumi e sensazioni.

V
La sera la piazza si accende di immagini magiche.
Una nuvola di fumo la avvolge e ogni figura perde i suoi contorni, diventa evanescente. Nell’aria immobile, le fronde delle palme bruciate dal sole si stagliano sul fondo scuro del cielo senza luna, penzolando indolenti, come braccia di una ballerina stanca.
In mezzo agli incantatori di serpenti, che con i loro flauti disegnano nell’aria affascinanti ricami, il bagliore delle fiaccole illumina due occhi scuri, bistrati di nero. Occhi misteriosi e luccicanti, occhi curiosi, che si mostrano un istante, per tornare subito dopo a inabissarsi nella spessa oscurità di un velo rosso cupo.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, nei tuoi occhi, lo scintillio di quello sguardo.

A
La sera la piazza eccheggia di melodie ipnotiche.
Un universo sonoro di musiche e rumori amalgamati nella spessa cortina di fumo che attutisce ogni suono. Gli incantatori di serpenti, che rincorrono le note con i loro flauti penetranti, accompagnano come un sottofondo le voci profonde dei narratori di storie, che avvolgono chi li ascolta nel ritmo cadenzato delle loro parole. E, in mezzo al tintinnio dei campanelli dei venditori d’acqua, dal minareto si leva la nenia del muetzin, che scandisce il momento della preghiera.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, nella tua mente, l’eco di quei suoni.

K
La sera la piazza si riempie di profumi.
Fragranze e aromi talmente intensi da rendere l’atmosfera palpabile.
Il fumo denso che si sprigiona dai kebab scatena la voglia prepotente di assaporare quel cibo sconosciuto. Tutto lì intorno porta con sé la promessa di invitanti piaceri. Sei lì in mezzo, schiacciato da mille corpi sudati, e respiri con avidità quell’aria arroventata dalla calura del tramonto, carica di spezie e umanità. E quell’aria ti ubriaca l’anima e ti accende i sensi.
In quell’assetata arsura, la freschezza della coppa di rame che ti porge il vecchio venditore d’acqua ti scende dentro come un balsamo.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, sulla tua pelle, la carezza di quelle sensazioni.

(se l’esercizio è stato ben realizzato, ora il lettore dovrebbe essere lì ad arrovellarsi per capire quale sia il sistema rappresentazionale dell’autore…)

Bene, arrivati a questo punto, l’esercizio non può fermarsi qui. Ora si tratta di dimostrare altrettanto concretamente come e quanto una scrittura che contenga le chiavi di accesso a tutti i sistemi rappresentazioni possa rendere più efficace il linguaggio.
Ed ecco quindi una descrizione sinestesica, nella quale vanno a confluire le tre descrizioni iniziali, arricchendone la portata evocativa.

La sera la piazza diventa ipnotica.
Una nuvola di fumo carico di odori la avvolge, attutendo i suoni e sfumando i contorni delle immagini.
Lontana, l’eco della nenia del muetzin annuncia l’inizio della notte.
Il bagliore delle fiaccole illumina misteriosi occhi scuri, che si mostrano per un istante, per poi tornare rapidi a nascondersi dietro ai veli colorati.
Carni speziate sfrigolano sui kebab, e diffondono un profumo invitante, mentre il tintinnio dei campanelli del venditore d’acqua scivola dentro di te ancor prima che la freschezza della coppa di rame raggiunga le tue mani.
L’incantatore di serpenti intesse col suo flauto ondulate melodie che accompagnano, come un sottofondo, le voci profonde dei narratori di storie, che incatenano chi li ascolta nel ritmo cadenzato delle loro parole.

E tu sei lì, schiacciato in mezzo a quei corpi accaldati, stordito dal frastuono vitale e accecato dall’esplosione di colori che ti circonda. Sei lì, e respiri con avidità quell’aria arroventata dalla calura del tramonto, carica di spezie e umanità.
Quando lascerai quel luogo, sai che porterai via con te, forse per sempre, lo scintillio di quegli sguardi, l’eco di quei suoni, la carezza di quelle sensazioni.

Bene, se queste poche righe avranno esercitato su chi ancora quella piazza non la conosce un richiamo potente e, perché no, anche un po’ di nostalgia in coloro che quella piazza l’hanno già vissuta, allora significherà che abbiamo sperimentato la potenza della scrittura sinestesica.

Che, insieme, abbiamo sfiorato la magia della scrittura.

(se volete un assaggio*, guardate qui Place Jeem el Fnaa)

(*) non posso lasciarvi senza confessare, se ancora ce ne fosse bisogno, che la mia piazza è la terza, ovviamente….

  • On 16 Ottobre 2012
Tags: filosofia
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