Palestra di botta e risposta
Recensione del libro Palestra di botta e risposta – Per una formazione al dibattito, a cura di Adelino Cattani, Padova, Libreria Universitaria Edizioni, 2018.
di Chiara Lucchini
“Palestra di botta e risposta”
Nel 2001 all’Università di Padova viene attivato il primo insegnamento in Italia di Teoria dell’argomentazione, e da lì sono promossi molti progetti per diffondere una cultura e una metodologia del dibattito regolamentato.
In questo contesto, sempre a Padova nasce l’esperienza della “Palestra di botta e risposta”, che vede partecipare agli allenamenti gli studenti di molte scuole superiori. Nel 2010 nasce poi l’Associazione per una Cultura e la Promozione del Dibattito (ACPD).
L’esperienza, dal 2006 al 2018, di dodici tornei regionali e cinque nazionali, ha prodotto questo libro, “Palestra di botta e risposta – Per una formazione al dibattito”: una guida-invito al dibattito regolamentato, opera congiunta di un gruppo di docenti universitari e di scuola superiore, esperti di comunicazione e di crescita personale, pedagogisti esperti in valutazione, bibliotecari esperti in reperimento delle fonti e documentazione, linguisti, oratori Ted, blogger di retorica, allenatori della scrittura e di oratoria, e studenti protagonisti di campionati di dibattito.
Il dibattito: uno scambio sportivo, un ping pong
Spesso l’atto di aprire una discussione è visto con preoccupazione. Il dibattito è la forma d’interazione più tipicamente umana, ma sappiamo che non sempre prevale la tesi migliore, ma quella meglio argomentata; non il discorso giusto, ma quello più giustamente impostato; non l’opinione più ragionevole, ma quella più motivata.
Quante volte abbiamo sentito dire frasi come “la discussione è una guerra”? La discussione, invece, secondo Adelino Cattani, professore di Teoria dell’argomentazione all’Università di Padova, può e dovrebbe essere uno scambio sportivo, un ping pong. Un botta e risposta che serve da collaudo di idee. E afferma:
Scopo di una formazione al dibattito: creare “ragion-attori”
Cattani spiega gli scopi e i benefici di una formazione al dibattito regolamentato nelle scuole.
Chiarisce subito che lo scopo non è creare oratori, ma ragionatori, o meglio “ragion-attori”: protagonisti attivi, convincenti e credibili nel palcoscenico della discussione antagonistica.
Non tanto, quindi, formare campioni della parola, ma piuttosto:
- individui ragionanti
- “collaudatori di tesi”
- cittadini educati alla socialità e alla convivenza
- persone emancipate e autonome
- individui preparati all’alternanza scuola-vita
Un’educazione al dibattito può fornire, da un lato, strumenti per far fronte agli argomenti errati, nostri e altrui, e dall’altro regole minime di triplice natura: logico-argomentativa, dialettica e di convivenza.
Il senso del “convincere” è “vincere insieme”. Chi discute deve tenere conto di ciò che dice l’altro. Si discute contemporaneamente contro e con altri.
Imparare a dibattere e dibattere bene significa imparare a vivere e vivere bene.
Il dibattito crea spirito di gruppo. Per questo saper discutere è saper con-vivere, oltre che con-vincere.
Cattani cita poi la Retorica di Aristotele:
«Se è bene saper difendersi con il corpo, è meglio sapersi difendere con la parola che è più propria dell’uomo di quanto lo sia la forza, che possiedono anche gli animali.»
Il dialogo: che cosa non è, che cosa è
Ma che cos’è il dialogo? Giulio Zennaro pone alcuni punti. Dialogo che oggi sembra tramontare, ma non può essere abbandonato. Dialogo attuale e urgente, nella nostra epoca. Necessario, quindi, averne un’idea corretta.
Questo è quello che il dialogo non può essere.
a) Il dialogo non è (solo) una conversazione. La conversazione è piacevole, è un utile intrattenimento che non chiede un cambiamento di posizione e di mentalità. Il dialogo non lascia mai come si era prima: il punto di vista dell’altro ci lascia in un subbuglio interiore.
b) Il dialogo non è (solo) un monologo.
c) Il dialogo non è (solo) litigio, anche se contiene elementi di polemica e di giudizio.
d) Il dialogo non è (solo) uno show, uno spettacolo.
Questi i punti fermi positivi del dialogo.
a) Il dialogo deve avere sempre un fondamentale rapporto con la verità e con un assetto valoriale.
b) Il dialogo è sempre in rapporto profondo con un’identità: non c’è dialogo se non c’è un io in azione.
c) Il dialogo è sempre l’incontro con qualcosa d’altro da sé: è la conoscenza della diversità.
d) Il dialogo propone sempre.
e) Il dialogo vero avviene sempre in una gradualità e in un’approssimazione progressiva: è sempre un esperimento, un tentativo.
f) Il dialogo vero è il risultato concreto di un’esperienza.
g) Il dialogo è lo strumento fondamentale dell’inclusione, della vera valorizzazione di ognuno: è la base della democrazia.
h) Il vero dialogo è una positività di metodo contro alcuni virus dell’umanità e della convivenza civile: il relativismo, il nichilismo, il dogmatismo, il fanatismo, l’ideologismo.
La nostra intelligenza retorica
Cattani affronta il grande tema del rapporto tra etica e retorica: spesso la retorica è vista come arte amorale. Avvertita come un pericolo, una minaccia, considerata come l’opposto della sincerità, dell’onestà, della verità.
C’è, però, anche un’altra immagine della retorica. Dal punto di vista cognitivo gli schemi argomentativi sono strumenti validi e idonei a cogliere le molteplici sfaccettature del reale. Dal punto di vista metodologico la retorica è strettamente connessa con apertura critica, problematicità, antiautoritarismo. Dal punto di vista sociale sarebbe una salvaguardia contro tutti i fondamentalismi. Dal punto di vista etico o morale ha valore formativo: è associata a prudenza e promuove decisioni assunte dopo un dibattito in cui ci sono state divergenze.
La retorica è ripresa nel contributo di Lucian Berescu, che riporta alcune definizioni, a partire da quella di Aristotele: «la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto».
Duemila anni dopo, Jay Heinrichs afferma: «la retorica è l’arte più sociale dell’uomo».
E Olivier Reboul: «non si ha cultura senza una formazione retorica e imparare l’arte del “dire” significa già imparare a “essere”».
Secondo Berescu, tutti noi possediamo una forma di intelligenza che possiamo chiamare intelligenza retorica: è la capacità di formulare messaggi adeguati all’interlocutore, in funzione del contesto e dell’obiettivo discorsivo da raggiungere. Nell’intelligenza retorica confluiscono pragmatismo e buon senso, consapevolezza e creatività, obiettivi e strategie. E questa apre le finestre verso il vertiginoso abisso dell’autoconoscenza.
Sono utili quelli che Berescu definisce i “tre magnifici megastrumenti retorici” da usare sia in attacco sia in difesa:
– ethos è l’argomento fondato sul carattere, concerne la personalità di chi deve persuadere, la sua reputazione e la capacità di ispirare fiducia, e si basa sulla credibilità;
– pathos è l’argomento fondato sull’emozione;
– logos è l’argomento fondato sulla logica e si basa sulla dimostrazione. È il razionale della questione dibattuta.
Mentre l’ethos pensa al locutore e il pathos si occupa dell’interlocutore, il logos sorveglia il messaggio.
La retorica, quindi, ci aiuta a fare buon uso del più potente strumento che l’umanità abbia mai avuto a disposizione: la parola. Chi usa bene le parole, parla meno. E parla meglio.
Riccardo Agostini ricorda poi la struttura del “discorso perfetto”:
1. Introduzione (dirò): anticipa il messaggio, stabilendo il tema e i punti che lo supporteranno;
2. Corpo (dico): consegna il messaggio diviso per punti;
3. Conclusione (ho detto): ripete il messaggio riassumendo i tre punti del corpo e chiamando all’azione.
Cicerone suddivideva il suo discorso in: 1. Exordium, 2. Narratio et argumentatio, 3. Peroratio.
E gli americani insegnano: 1. say what you’re going to say, 2. say it, 3. say it once again.
Le fallacie
Una classificazione pentapartita delle fallacie era già presente nel libro 50 discorsi ingannevoli di Cattani (2011).
1. Fallacie formali. L’errore sta nella forma logica, nel mancato rispetto delle regole dell’inferenza sillogistica.
2. Fallacie linguistiche. L’errore è dovuto a un uso improprio o non abbastanza preciso del linguaggio.
3. Fallacie di pertinenza per omissione di dati rilevanti.
4. Fallacie di pertinenza per inclusione di dati irrilevanti.
5. Fallacie di inconsistenza. Vizi dovuti a presenza di assunzioni che non consentono di fondare la verità della conclusione.
E certo, l’ascolto
E sì, ci siamo anche noi, Alessandro Lucchini e Chiara Lucchini, con un contributo sull’importanza dell’ascolto.
“Se gli dei ci hanno dato due orecchie e una bocca sola”, diceva un filosofo, un motivo ci sarà. Eppure studiamo come scrivere e come parlare in pubblico. E pensiamo che per ascoltare basti stare lì. Ascoltare a fondo l’interlocutore, invece, è una fatica.
Possiamo però alleviarla con sette allenamenti utili:
1. Ascolta per ascoltare, non per rispondere/giudicare
2. ascolti Solo parole?
3. ascolta soprattutto Certe parole
4. ascolti la realtà O la tua rappresentazione (della rappresentazione)?
5. ascolta le strutture Logiche
6. ascolta anche Tra le parole: il potere delle buone domande
7. emit a nopu ecnO
Il linguaggio non verbale
Per sottolineare l’importanza del linguaggio non verbale nelle nostre comunicazioni, Paolo Boschi apre citando le parole di Dario Fo, in una sua lezione di teatro: «noi (…) stiamo attenti a quello che pronunciamo (…) come usiamo il condizionale (…) inorridiamo per gli sfondoni (…) E invece dei gesti con i quali accompagnamo un discorso non ci curiamo, eppure potrebbero apparire altrettanto rozzi, sguaiati e ineleganti (…) Questa dimensione ce l’hanno inculcata a partire dalla scuola (…) ci hanno corretto la pronuncia, mai il gesto» (1987).
Lo conferma il primo assioma della comunicazione umana della scuola di Palo Alto (Watzlawick, Beavin, Jakcson 1978): “non si può non comunicare”.
La disputa, la controversia e la ricerca della verità
Roberto Falduti riprende una definizione di disputa di Franca D’Agostini: Si ha una disputa «quando A e B difendono rispettivamente p e non-p ed entrambi mirano ad avere ragione»; si ha invece una «controversia quando A e B cercano di prevalere, convincendo uno o più terzi che l’altro contendente ha torto. La controversia è dunque una disputa a tre termini, con due opponenti e un terzo giudicante».
Vi è quindi un terzo giudicante, una giuria formata da esperti, chiamati a valutare la qualità, quantità, pertinenza e fondatezza delle argomentazioni: quello che si dice e come lo si dice.
Il quesito è: nella valutazione a caldo, quanto la giuria si fa influenzare dalla persuasività dell’argomento e quanto dalla sua correttezza?
Ne potrebbe nascere non solo l’affermazione di una tesi, ma qualcosa di nuovo, che metta tutti in una condizione nuova di conoscenza dell’altro e di ammirazione per ciò che ci unisce. Che è qualcosa di più sorprendente e commovente della scoperta delle proprie capacità di emergere e di vincere.
L’ultima parola, insieme
Conclude Cattani con le parole di Alice Fontana, una giovane studentessa toscana, vincitrice con la sua squadra Philia del Quarto Torneo Nazionale di Palestra di Botta e risposta: «In un dibattito, così come nella vita di ogni giorno, tentiamo di avere l’ultima parola. In realtà, però, non possiamo avere la certezza di averla raggiunta, di possederla davvero. Ciò che è certo è che con il dibattito possiamo fare passi avanti, anche se piccoli e lenti, verso quell’ultima parola che, se esiste, abbiamo il dovere di trovare o, almeno, di provarci. Insieme».
Per approfondire:
Il prof. Adelino Cattani presenta la Palestra di botta e risposta
La presentazione del nostro libro Due orecchie, una bocca agli studenti del prof. Adelino Cattani (Padova, 20/12/2017)
- On 15 Gennaio 2019