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L’essenziale è invisibile agli occhi

di Lia Giovanelli

Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore.

L’essenziale è invisibile agli occhi.
Voici mon secret. Il est très simple: on ne voit bien qu’avec le cœur.
L’essentiel est invisible pour les yeux.
Il piccolo principe, cap. XXI

Chi non ha mai utilizzato, o non ha mai pensato di utilizzare, questa frase, tra le più famose di questo famosissimo libro?

Il 31 luglio 1944, settant’anni fa, l’aereo del Capitano Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, meglio conosciuto semplicemente come Antoine de Saint-Exupéry, non ritornò più alla base di Borgo, in Corsica, da cui era partito, come molte altre volte, per una missione di ricognizione.
Nessuno, all’epoca, si rassegna all’idea della sua morte, non si rassegnano gli amici intellettuali parigini, non si rassegna la madre, che negli anni a venire continua ad aspettare il suo ritorno, e non ci siamo rassegnati neppure noi, convinti che Antoine abbia trovato nel cielo la via per raggiungere l’asteroide B612, sul quale abita solo lui, tre vulcani di cui uno inattivo, e una piccola rosa, molto vanitosa, che lui cura e ama.

La stampa francese in realtà ha riportato con grande evidenza, nel 2004, la notizia del ritrovamento, al largo dell’Île de Riou (nella zona di mare dove avvenne la tragedia), dei rottami dell’aereo su cui si trovava, cercando così di mettere fine alla leggenda, ma dell’aereo poco ci importa, si può vagare nello spazio in tanti modi.
E il mito di Antoine continua: la sua effige è stata perfino su una banconota da 50 franchi, come dire, nel cuore e nel portafoglio dei francesi, e da alcuni anni l’aeroporto di Lione gli è stato intitolato.

Il nostro Antoine comunque non si fa mancare nulla, perfetto esempio di grandeur francese, e non teme rivali: nasce in una famiglia nobile e ricca, figlio del visconte Jean de Saint-Exupéry e di Marie Boyer de Fonscolombe, cresce in un castello, frequenta ottime scuole gesuite, è fantasioso, prepotente e malinconico. Sale su un aereo a 12 anni, e non scenderà più, se non per brevi e tormentati momenti.
Una vita avventurosa, un indissolubile intreccio di aeroplani, scrittura e donne.

 

Antoine scrive e vola, vola e ama.
Nei primi decenni del Novecento l’aeroplano è un mito, un insieme di tecnologia e avventura, e Antoine ne fa un simbolo, lo stile della sua vita. Diventa pilota di linea, direttore dell’aeropostale prima in nord Africa e poi a Buenos Aires, partecipa a missioni di guerra, ha quattro incidenti di volo, ma continua a cercare in cielo “il senso della vita… voglio potermi allontanare dalle città dove gli uomini erigono barriere contro i venti, le maree e le stelle”.
Che romantico eroe.

E le donne?
Ce ne furono molte, troppe visto dalla nostra parte.
La prima, bellissima e libertina, Luise de Vilmorine, amò tanti uomini ma non lui, che prendeva bonariamente in giro per la calvizie. Poi a seguire molte altre, anche se le donne della sua vita furono in realtà due, banalmente, e come da copione, la madre e la moglie.
Con la moglie, una pittrice (come la madre!) salvadoregna, bella e fiera, è uno scontro continuo e una convivenza difficile, anche per i lunghi periodi di assenza e le sue, di lui, relazioni extraconiugali.
Ed è proprio durante un turbolento periodo matrimoniale newyorchese che viene scritto, tra il ’42 e il ’43, di notte, tra caffè, sigarette e coca cola, Il piccolo principe.
Non tutti si accorsero, allora, che si trattava di un capolavoro, oggi tradotto in oltre duecentocinquanta lingue e dialetti e, pare, terzo libro più letto al mondo dopo la Bibbia e Il Capitale.

Ed è anche tra i libri più psicanalizzati
E forse non a torto, così pieno di simboli, di personaggi strani che insegnano sempre qualcosa al piccolo principe, oltre che qualche cosa dell’animo dell’autore… la sua unica rosa, scorbutica, ma che ha tanto bisogno di cure: “è lei e solo lei che ascolto quando si lamenta o si vanta o, perfino, quanto tace”, la volpe che vuole farsi addomesticare… “Che cosa vuol dire ‘addomesticare’? È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami.”
Ma il piccolo principe, che vive sul suo asteroide come nel chiuso della sua fantasia, sa che creare dei legami vuol dire assumersi delle responsabilità, e responsabilità significa entrare nel mondo dei grandi.

Antoine dichiara in una sua lettera “C’è una cosa che mi rattristerà sempre, ed è di essere diventato grande”.
Nella magia un po’ misteriosa, seducente e tanto, tanto malinconica della favola del piccolo principe, ritroviamo tutti l’eterno bambino che ognuno di noi spera di aver conservato, ben protetto, in fondo al suo animo.

È comunque vero che ancora dopo tanti anni, leggendo Il piccolo principe, le stelle continuano a ridere per migliaia di bambini e di innamorati, trasformando la notte in una allegra sonagliera.

********* ********* *********

Incipit de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry.

Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato “Storie vissute della natura”, vidi un magnifico disegno.
Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale.
Eccovi la copia del disegno.
C’era scritto: “I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla.
Dopo di che non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede”.
Meditai a lungo sulle avventure della jungla.
E a mia volta riuscii a tracciare il mio primo disegno. Il mio disegno numero uno.
Era così:

 

 

 

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava.
Ma mi risposero: “Spaventare? Perché mai uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?”.
Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.
Affinche’ vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa.
Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.
Il mio disegno numero due si presentava così:

 

 

 

Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica.
Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore.
Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disarmato.
I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta.

********* ********* *********

N.B. Sul tema della narrazione come chiave di cambiamento vedi anche:

  • (Pre)raccontare il cambiamento: visualizzare e narrare la storia prima che accada, ossia la narrazione organizzativa secondo la Palestra

I corsi:

  • Storywriting, scrivere di sè
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  • On 7 Novembre 2014
Tags: l’essenziale e invisibile agli occhi, lia giovanelli, Palestra della Scrittura
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