Raccontare per stare nella storia (e non scappare)
di Lorenzo Carpanè
Perché la rivoluzione digitale sta cambiando il mondo? Per tante ragioni, ma proviamo ad aggiungerne qualcuna, con relative conseguenze.
La prima rivoluzione comunicativa nella storia umana è stata l’invenzione della scrittura: come qualcuno forse si ricorda, non da tutti esaltata, perché uno come Platone, non un pirla qualsiasi, pensava che essa avrebbe provocato grandi danni, per la perdita dell’uso delle capacità mnemoniche. Quando si scriveva a mano e solo a mano (cioè fino alla metà del XV secolo), chi scriveva (o trascriveva) realizzava un oggetto unico, irripetibile, che veniva goduto direttamente dal lettore, in un processo tipicamente artigianale. L’autore che scrive sa che il pubblico dei lettori è necessariamente limitato, che per raggiungerli occorre un tempo lungo, molto lungo.
Quando è stata inventata la stampa, l’oggetto realizzato è diventato in realtà un multiplo alla enne: tutte le copie (più o meno) sono uguali, cioè sono lo stesso libro. In più, in mezzo tra l’autore e il lettore si mette il processo capitalistico di produzione, che controlla, sorveglia, seleziona. L’autore diventa consapevole che ciò che scrive può raggiungere infiniti lettori, in un tempo sostanzialmente ridotto, anche se mediato dalla produzione.
Con la rivoluzione del web, ogni autore in piena autonomia, senza più mediazione (“immediatamente”), senza nessun intervallo di tempo, semplicemente con un “click” comunica all’intero universo.
In poche parole, stiamo assistendo a quella che si può chiamare una vera e propria rivoluzione antropologica, perché cambia la percezione di sé di ciascuno di noi nel tempo e (quindi) nello spazio. Il tempo della comunicazione e il tempo della vita si sono separate.
Discorso complicato, all’apparenza. E complicato anche decidere che fare. Far finta di nulla? Resistere? O magari cercare di governare il processo? Senza andare troppo per le lunghe e semplificando, si può cercare l’unica strada che la modernizzazione continua della storia umana ci indica: accompagnare criticamente il cambiamento. E come?
Una possibilità è tornare all’antico: recuperare cioè quella capacità di narrazione che apparteneva all’umanità prima della scrittura. Perché? Perché la narrazione richiede tempo, nel farla e nel fruirne, solo raccontando ci si può rieducare a vivere il tempo e lo spazio nella dimensione reale, attraverso il realismo del racconto.
Il che vuol dire: reimparare a raccontare, a scrivere, a usare i tempi verbali, a scegliere il lessico e i connettivi logici e temporali.
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P.S. A volte il racconto può anche essere “profetico”. Può arrivare prima, cioè, di un cambiamento. E, in buona misura, può ispirarlo, quel cambiamento (I have a dream).
Su questo si concentra la vivace ricerca di questi anni sullo storytelling, e sulla narrazione organizzativa, come di chiave di leadership e di comunicazione, in diversi contesti (politica, vendita, management, medicina, didattica…).
Vedi il nostro corso (pre)raccontare il cambiamento
Info > eleonora.saladino@palestradellascrittura.it
- On 30 Gennaio 2015