Io sono la mia storia
di Lia Giovanelli
Una giovane donna siriana, Aya, sul volo Alitalia da Istanbul a Roma, si toglie l’hijab, il velo delle donne musulmane, per la prima volta della sua vita in presenza di altre persone.
Con questo gesto liberatorio ha l’impressione che le si apra davvero una nuova vita, lontano dall’orrore del suo Paese, accanto all’uomo che ama e che ha sposato da pochi giorni. Poco importa che sia malata, forse anche gravemente, di un brutto sarcoma nel calcagno sinistro che in Siria, rischiando l’amputazione del piede, le hanno operato. Lei ora sta arrivando a Roma, la città eterna, che da sempre desidera visitare, con i suoi monumenti, la sua cultura. Vuole trascorrere, come tantissime altre donne, la sua luna di miele libera e felice.
Fady è accanto a lei, le tiene la mano e cerca di non pensare a quei duemila euro spesi per il passaporto falso comperato per la sua giovane moglie. L’ha amata dal primo sguardo ed è tornato dalla Svezia, dove si era rifugiato nel 2013, scappando da Homs, luogo simbolo della carneficina siriana, per ritrovarla. Ha provato con altri mezzi a farla arrivare da lui in Svezia. Ha provato con il ricongiungimento familiare, ma servono da sei mesi a un anno. Ha anche chiesto all’ambasciata in Libano un visto per cure mediche, ma il visto è stato negato per ragioni burocratiche.
Lui sa che la donna che ama e che vuole sposare è in pericolo, non solo per la guerra, ma anche per il possibile progredire della malattia. Nella corsa contro il tempo e contro il tumore, Fady decide così di rischiare il tutto per tutto. Aya e Fady si incontrano in Libano. Si sposano. Arrivano viaggiando per terra in Turchia e ripartono dalla Turchia con il passaporto falso per lei. Nel viaggio verso la Svezia decidono di fare scalo a Roma.
Il volo da Istanbul è uno di quelli considerati a rischio d’immigrazione illegale dalla polizia di frontiera di Fiumicino. L’aeroporto di Roma è uno degli accessi all’area Schengen più a sud d’Europa, una porta per i popoli del Mediterraneo. Così gli agenti si preparano a controllare i passeggeri già all’atterraggio, molto prima del controllo passaporti.
Quando la coppia atterra, i poliziotti in borghese fanno i controlli sotto l’aereo. Vedono quella ragazza, che nella foto sul passaporto porta l’hijab, mentre lì davanti a loro non lo porta. Tutti e due vengono così condotti negli uffici del controllo passaporti. Gli agenti trovano nello zaino di Fady il vero passaporto della donna, quello siriano. Fady prova a spiegare che Aya è sua moglie, ma il certificato di matrimonio è in arabo e non gli credono. Prova a dire loro che è una donna malata, ma non serve.
Tolgono loro il telefono e il passaporto. Per lui si aprono le porte del carcere di Civitavecchia, con l’accusa di essere un trafficante. Lei viene costretta a salire sul primo volo per Istanbul. Prima di partire, riesce a lasciare un biglietto con il numero di telefono della sorella che vive in Germania a un algerino in attesa di essere respinto. Quando la sorella di Aya e suo marito ricevono la chiamata, si mettono subito in marcia verso Roma. Guideranno per 15 ore, verso Fiumicino.
Nei due giorni che passa in carcere, Fady pensa sempre a sua moglie. Quando esce dal carcere cerca un modo per raggiungerla. Chiede agli agenti di poter fare una telefonata, ma non gli viene concesso. Non ha un soldo. Non vuole prendere un treno senza biglietto, per timore dei controlli. Non gli resta che andare a piedi fino a Fiumicino: 70 chilometri. Dopo diciotto ore di cammino, arriva a Fiumicino e apprende dalla polizia che Aya è stata davvero rimandata in Turchia. All’aeroporto di Istanbul la ragazza ha rischiato di essere rispedita in Siria.
Pericolo scampato per un soffio, grazie alla sorella che dall’Europa le ha comprato un biglietto aereo Istanbul – Beirut. Così Aya si ferma in Libano. Riesce incredibilmente a rientrare in Italia un mese dopo, con un permesso per cure mediche, grazie all’intervento decisivo del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, allertato da una rete di attivisti e dalla giornalista dell’Ansa Marinella Fiaschi. Manconi ha tenuto le fila tra il Ministero dell’Interno, l’Ambasciata italiana in Libano, la famiglia e l’ospedale San Camillo, dove Aya viene presa in cura dal professor Santoro, chirurgo oncologo.
La coppia di sposi si riabbraccia in aeroporto. Grazie a una biopsia, si scopre poi che la diagnosi dei medici siriani era sbagliata: le masse presenti nel calcagno non sono tumorali, per il momento. Aya deve sottoporsi a controlli periodici e continuare a monitorare la situazione. Fady è stato nel frattempo condannato a un anno e mezzo di carcere, ma è libero con la condizionale.
Le pratiche per il ricongiungimento familiare sono state avviate dall’ambasciata svedese in Italia. Non si sa quanto tempo ci vorrà. A Roma, la coppia si sostiene grazie alla solidarietà ricevuta da Marinella Fiaschi, che li ha ospitati in casa, poi ha attivato una colletta per pagare le spese legali e per prender loro un appartamento in affitto. Migliaia di euro sono ancora necessari per la parcella dell’avvocato.
«I soldi possono darteli tutti, l’amore no. L’amore è molto più costoso. – dice Fady – Marinella per me è come una seconda madre italiana. L’affetto che tutte queste persone ci hanno dato in Italia è straordinario. Ora sappiamo che a Fiumicino l’errore è stato commesso da un funzionario, non da tutto un Paese».
Parole di un uomo che conosce bene il prezzo dell’amore. In fuga e in lotta contro le frontiere e i tribunali per strappare alla morte la donna che ha sposato.
- On 4 Maggio 2015