Leggere e scrivere per far di conto. Raccontare, insieme, per imparare la matematica
di Marta Lucchini
Scrivere per far di conto
La matematica, una bestia nera per molti studenti. Soprattutto quelli italiani, a leggere i dati del Ministero. Urge quindi trovare nuovi metodi didattici per le discipline scientifiche, che permettano di affrontare le oggettive difficoltà di queste materie.
Già, ma dove? Quali alternative alla classica lezione frontale, quella per cui io spiego, quindi tu studente ascolti? E che si sta rivelando in gran parte fallimentare? Quali approcci possono rispondere all’immaginario sempre più misterioso degli adolescenti? E saranno davvero utili nella già complessa in sé attività di un insegnante di matematica e fisica?
Qualche idea ci è venuta (a noi, che ci stiamo preparando a diventare prof di mate e fisica), quando, durante il corso di formazione che stiamo seguendo (quello che si chiama TFA), ci è stato chiesto di usare la narrazione per ideare un progetto didattico.
All’inizio è stato il panico, o almeno l’imbarazzo.
Poi abbiamo trovato che il tema che avevamo scelto, la probabilità, offriva innumerevoli spunti narrativi.
Abbiamo rimuginato un po’ e ci sono venuti in mente nell’ordine 21, un film con Kevin Spacey, un romanzo come Novecento di Baricco. Ma abbiamo avuto il sospetto che forse molti altri temi, della matematica e della fisica, si potessero “raccontare”, più che esporre o spiegare.
E allora mi è scattato un click e mi sono messa a riflettere più in generale sull’efficacia della narrazione come strumento per insegnare non solo l’Epica, la Letteratura, la Geostoria, ma anche le materie scientifiche.
Efficace perché sfrutta l’attrazione che i ragazzi (e non solo loro) hanno per le storie. Tutte storie, cinema, teatro, canzoni, romanzi, ma anche la quotidianità, dalle quali non smettiamo mai di essere attratti.
Del resto, l’associazione tra narrazione e scienza dovrebbe essere del tutto naturale. La storia del pensiero scientifico è così ricca di eventi entusiasmanti: Leonardo, Galileo, Einstein, non sono gli eroi della nostra mitologia? Non hanno ispirato secoli di idee, e poi di progressi concreti nell’economia e nella società? E cinema, intrattenimento! Un film come A beautiful mind (c’è anche un sito dedicato, con giochi ed esercizi) non ha, tra gli altri, il merito di aver fatto conoscere al grande pubblico il genio di John Nash? O uno come Will Hunting genio ribelle non ha accreditato un’idea della matematica, anche se legata a una genialità al limite dell’emarginazione, comunque associabile a concetti come umanità, generosità, bellezza? E come interpretiamo i successi dei più recenti The imitation game (anche qui, sito interessante!), La teoria del tutto? O di fiction come Numbers?
Leggere in classe una storia legata a un concetto scientifico, mostrare spezzoni di film, che illustrino o che anche solo evochino un ragionamento, può attutire e modificare la sensazione che gli studenti a volte hanno della matematica e della fisica come materie aride, slegate dalla vita reale, respingenti.
La narrazione può anche avvicinare la didattica della matematica e fisica a quella delle discipline umanistiche, facendo capire ai ragazzi quanto strette, nella storia, sono le relazioni tra quei due mondi, rendendoli anche partecipi dell’interesse che le scienze pure hanno suscitato nella letteratura, nella filosofia, nell’arte e nella musica, e delle influenze reciproche.
Già, però, come fare? Lasciamo che gli studenti fruiscano a casa di film, musica, racconti, oppure li usiamo in classe? Quanto spazio lasciare all’innesto narrativo, in un ritmo didattico già così fitto d’impegni e di scadenze? dove collocarlo, solo nell’incipit di una lezione, per accendere l’attenzione o la fantasia, oppure usarlo per accompagnare in modo coerente un intero percorso?
Dubbi che potrebbero essere ricomposti, se non sciolti, pur con le note difficoltà organizzative, attraverso un dialogo più aperto e una maggiore disponibilità alla cooperazione con gli insegnanti di Lettere: un dialogo più intenso tra le due famiglie di saperi potrebbe infatti portare molti frutti alla fatica che ovviamente comporterebbe.
Scrivere insieme
La parola cooperazione, poi, accende un altro pensiero sull’approccio didattico delle materie scientifiche: l’apprendimento cooperativo (c’è una bella iniziativa a Torino, val la pena dare un’occhiata!). È anche questo un approccio naturale, autentico, pienamente in linea con il progredire delle scienze, che raramente è stato una conquista individuale. Un approccio che riflette lo stile vero della ricerca e dello studio delle scienze, e che potenzialmente ha grande efficacia didattica perché favorisce lo sviluppo di competenze non solo scientifiche, ma trasversali.
L’attitudine al confronto con gli altri, con i diversi stili di pensiero, avvia quell’interscambio di saperi così necessario nella scuola contemporanea. E così premiato, tra l’altro, in tanti settori professionali, dove si tende oggi a valorizzare, più che la verticalità delle specializzazioni, proprio la capacità di fondere insieme diverse esperienze.
Qualità così importanti dentro e fuori la scuola, perché favoriscono la collaborazione, la creatività, la messa a frutto delle passioni, il dialogo interculturale (e la gioia di vivere.)
L’apprendimento cooperativo, inoltre, in quanto collaborazione tra pari, è spesso molto più efficace della lezione dell’insegnante di fronte alla classe intera.
Alcuni anni fa uno scienziato indiano, Sugata Mitra, avviò un progetto dal titolo Sole, Self Organized Learning Environment. Mise dei computer a disposizione di bambini e ragazzi di varie età. E non in prestigiosi quartieri cittadini, ma negli slum, le baraccopoli indiane. L’obiettivo era registrare i progressi che gli studenti avrebbero fatto imparando dalla rete e tra di loro, senza insegnanti. Questo non certo per screditare il ruolo degli insegnanti, ma per dimostrare che i giovani imparano facilmente gli uni dagli altri, aiutandosi e divertendosi, qualunque materia: dall’inglese all’uso di internet, dalla musica ai fondamenti della biogenetica. Tutto questo, con un rapporto innovativo con i docenti, che s’impegnavano a fornire loro spunti, domande curiose, capaci di far venir voglia di trovare le risposte.
Talvolta erano i ragazzi stessi a chiedere spiegazioni, approfondimenti, narrazioni, e a quel punto anche un approccio frontale poteva essere giustificato e accettato.
Se colleghiamo queste scoperte con la teoria dei neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti, capiamo come gli studenti sono condizionati dagli adulti, ma nel comportamento quotidiano imparano molto più dai coetanei. Tecnologia, neurologia, pedagogia, teoria dell’educazione, dunque, sembrano deporre a favore del cooperative learning.
Né è difficile perseguire questa strategia nella didattica concreta della matematica e della fisica. Tutti i temi di queste discipline possono trovare un avvio o un’evoluzione più significativa, se introdotti da una situazione problematica, di soluzione non univoca o non immediata, che i ragazzi possono essere chiamati a discutere prima in piccoli gruppi, per poi condividere le proposte con la classe intera e l’insegnante.
Certo, ci possono essere delle difficoltà: la possibile dilatazione dei tempi – per impostare i lavori di gruppo, per spiegare le consegne, per consentire la discussione nel gruppo e per la condivisione dei risultati; e i rischi di fallimento: gruppi che non sanno interagire, che si scoraggiano, che abbandonano. Situazioni che possono risultare difficilmente gestibili per l’insegnante, per la loro imprevedibilità. E che, allo stesso tempo, possono essere un’esperienza di arricchimento impareggiabile.
- On 19 Giugno 2015