Parole in affitto
di Titti Soncini
Mattina in redazione, mille mail, tutte urgenti, facebook da aggiornare, un paio di casini da risolvere e intanto arriva la chiamata: «Ragazze c’è da pubblicare un bando: cerchiamo appartamenti in affitto da dare alle famiglie in difficoltà».
«Bellooooo manda subito, precedenza assoluta!»
In un attimo arriva il file, titolo del bando:
AVVISO PUBBLICO A MANIFESTARE INTERESSE PER LA RICERCA DI ALLOGGI DA ASSUMERE IN LOCAZIONE SUL MERCATO PRIVATO E DESTINATI A NUCLEI FAMILIARI IN EMERGENZA ABITATIVA E/ O SOCIALE
Ahia! Ci prendiamo tre minuti di interpretazione per valutare se è lo stesso bando di cui abbiamo parlato al telefono…
È proprio lui 🙁
Eppure ci eravamo detti di appartamenti, affitto, famiglie…
Perché quando scriviamo dobbiamo diventare burocrati e altisonanti? Perché non ce la sentiamo di chiamare le cose con il loro nome? Di cosa abbiamo paura? Perdere decoro, decenza e dignità?
Calvino, il maestro, chiamava antilingua lo stile della burocrazia: «dove trionfa l’antilingua – diceva – l’italiano di chi non sa dire “ho fatto”, ma deve dire “ho effettuato”, la lingua viene uccisa».
Eh no! Io non voglio uccider nessuno, non oggi poi, con questo bel sole!
Chiamo il mio collega.
«So che te la sparo grossa, ma se provassimo a riscrivere il testo del bando? Qui in redazione, nessun impegno per voi. Solo rileggerlo alla fine e dirci se abbiamo capito tutto. Se non vi piace buttiamo via, se vi piace, ok. Ok?»
«Ok, si prova.»
Parte la riscrittura, la nostra lotta all’antilingua! Che poi a dirla tutta è moooooolto più difficile della scrittura, ma tanto affascinante.
Prima regola: mettersi dall’altra parte, quella del lettore e scrivere per lui, perché ci possa capire. Quelli che parlano bene la chiamano reader focused writing. Vedi su questo il libro Business writing, in free download, ops… scaricabile gratis, soprattutto le pagine 128 e segg.
È un cambio di prospettiva totale, un meraviglioso e spietato colpo di scena, dove tutto è diverso.
Perché, diciamoci la verità, quando pensi che il bando lo deve leggere la mitica sciura Maria mica puoi essere ancora sicuro di volerle chiedere: «Scusi lei ha un alloggio da assumere in locazione sul mercato privato?».
Minimo minimo la te manda a ciapà i rat che lei non assume nessuno, né privato, né pubblico. E al mercato ci va, senza la locazione, dumà a far’ la spesa!
E così, in redazione, matita in mano, lettore in testa, si comincia:
– frasi semplici: soggetto-verbo-complemento oggetto, pochi pochissimi incisi, che tanto poi chi legge li salta
– frasi brevi: massimo 25 parole
– frasi chiare: un concetto per ogni frase
– verbi in forma attiva: che si capisca subito chi fa che cosa
– punti elenco: che fanno tanto bene alla vista e alla comprensione
– parole semplici e concrete: quelle del vocabolario di base di Tullio De Mauro. Le parole sono chiavi per aprire menti e cuori. Come dice Benigni, bisogna innamorarsi delle parole, sceglierle con il massimo rispetto, per chi le dovrà leggere.
Risultato?
Tre persone al lavoro per una giornata intera! Tanta tanta riscrittura e tanta tanta rilettura, perché quasi mai, purtroppo, è “buona la prima”.
I colleghi del bando felici
E noi più di loro, perché nella faticosa riscrittura sta tutto il valore etico del nostro lavoro, e prende vita la magia della comunicazione che, come per incanto, accorcia le distanze.
P.S. Dimenticavo, il nuovo titolo del bando è “Hai un appartamento da affittare al Comune?”
Una domanda, 7 parole facili facili, che quasi quasi se avessi un appartamento in più glielo darei io.
P.P.S. “appartamento” poteva trasformarsi in “casa”, parola più calda e semplice. Sarà per la prossima riscrittura 😉
- On 30 Giugno 2014