Alfabeto del reclamo
di Alessandro Lucchini
“Re-clamare” significa gridare forte contro qualcuno.
Chi reclama grida per farsi ascoltare. E grida forte.
E grida ancora. Finché quel qualcuno non lo ascolta.
Concetti, parole e azioni chiave
per rispondere a chi scrive per lamentarsi.
Partendo da A, come ASCOLTO.
In questi anni diverse società – banche, assicurazioni, aziende informatiche, automobilistiche, colossi della distribuzione, e anche amministrazioni pubbliche – si interrogano su come rispondere per scritto ai reclami di clienti e cittadini. Alcune organizzano corsi di scrittura efficace tagliati in modo specifico sulle risposte ai reclami.
Destinatari: le persone impegnate nella gestione dei reclami, chi direttamente in prima linea, ad assemblare le forme della risposta, chi nelle retrovie a predisporne i contenuti tecnici.
Ho potuto condurre diversi di questi corsi, e quindi studiare i temi e le dinamiche più frequenti, i toni, gli stati d’animo, le azioni e le reazioni. Pur nelle specificità dei vari settori, emergono alcuni tratti caratteristici, che qui riassumo in un alfabeto.
Ma prima di tutto, sempre con il naso nel dizionario, andiamo a vedere cos’è un reclamo.
Lettera R. Re… Re…
Reclamo:
1) protesta, lamentela, spec. presentata per iscritto, con cui si rivendica un diritto, si lamenta un’ingiustizia, un torto subito, un’irregolarità in un servizio: fare r., a garanzia scaduta non si accettano reclami;
2) estens., il documento che reca tale protesta: presentare un r. in carta da bollo, avere una pila di reclami sulla scrivania;
3) termine specifico giuridico: richiesta di riesame di un’ordinanza o di un decreto presentata allo stesso ufficio giudiziario che li ha emanati o, nei casi di impugnativa dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, al giudice di grado superiore;
4) termine specifico sportivo: ricorso effettuato presso gli organi federali competenti contro l’esito di una gara già sanzionato da un arbitro, da una giuria o da un giudice.
E poi, re-clamare:
“gridare forte contro”, con prefisso intensivo re-. Protestare energicamente contro autorità o fornitori di servizi o di merci: chiedere con energia, esigere.
A > Ascolto. Un reclamo è una protesta, sì, ma prima ancora è una richiesta di attenzione. È un gridare forte contro qualcuno che non ascolta. O che ascolta, ma al reclamante pare di no. Se gliel’avessero data subito, l’attenzione, forse non si sarebbe innescata la protesta. Fondamentale, dunque, la tempestività della risposta. E soprattutto la stretta aderenza al reclamo (contenuto, sequenza delle informazioni, lunghezza, registro stilistico, tono…).
B > Begin positive. Iniziare in modo positivo. Gli americani iniziano spesso le frasi con “Well”. O con “Good”. Anche noi, a volte, iniziamo con “Bene”. Anche quando poi l’informazione è negativa. È un modo per far capire che abbiamo preso a cuore la situazione. Che ci siamo, che siamo intenzionati a risolvere il problema. Ed è anche un modo per ammorbidire l’impatto di una cattiva notizia. Senza prendere in giro l’interlocutore: al contrario, rispettandone lo stato d’animo, e invitandolo a una relazione positiva, anche di fronte a un eventuale diniego. Frasi come Nell’intento di risolvere in modo positivo la nostra relazione…, Per arrivare a una soluzione soddisfacente per entrambi…, Il nostro impegno è superare questo piccolo ostacolo e tornare a…, Anzitutto grazie per la pazienza…, aiutano proprio a indirizzare il rapporto verso un traguardo di soddisfazione reciproca.
C > CRG. Il metodo CRG – calibrazione, ricalco, guida – si ispira alle esperienze di buona relazione che ciascuno di noi ha di certo maturato nella comunicazione interpersonale. Obiettivo: ampliare l’effetto delle parole, acquisendo dimestichezza con la sfera paraverbale (tono, stile, fluidità, ritmo, punteggiatura…) e non verbale (grafica, formattazione, maiuscoli…) della scrittura.
La calibrazione è lo studio dell’interlocutore, l’analisi del suo modo di comunicare. Più ancora che dal contenuto, conviene partire proprio dal modo: come scrive, che cosa vuole da noi, qual è il suo stato d’animo, quali scelte ce lo rivelano: scelte verbali (lessico: verbi, sostantivi, aggettivi, avverbi…); scelte paraverbali e non verbali, appunto; e tutte le altre caratteristiche del linguaggio: formule di saluto, lunghezza/complessità delle frasi, canali sensoriali sollecitati, verbi modali, uso dei tempi delle azioni…
Il ricalco è la fase in cui individuiamo quali caratteristiche dell’interlocutore ci conviene riprodurre per entrare in buona relazione (e anche quelle che non ci conviene riprodurre).
Se pensiamo che calibrazione e ricalco abbiano prodotto fiducia, possiamo passare alla fase di guida: teniamo ben presente l’obiettivo della relazione con il lettore e il messaggio che vogliamo dargli, e muoviamoci con lui in quella direzione. Attenzione: “muoviamoci insieme”, non “spingiamolo”; guidare significa andare per primo: il lettore deve sentirsi accompagnato.
D > Dizionario. Amico fidato di chi scrive. Dizionario d’italiano, d’inglese, dei sinonimi e dei contrari, raccolte di citazioni, proverbi, frasi celebri. Va usato non solo a scopo terapeutico, per trovare il significato oscuro, ma a scopo creativo, curiosandoci dentro come in un supermarket delle idee. Passarci su qualche mezz’ora, come un romanzo, magari scrivendo a margine i propri pensieri, dà risultati sorprendenti. Nelle risposte ai reclami, utilissimo individuare le parole chiave di chi scrive, e controllarne il significato, o i significati: siamo sicuri che chi scrive dia a quella parola lo stesso senso che diamo noi?
E > Elenchi. Numeri, lettere, trattini, pallotti, freccette, danno ritmo alla lettura. Gli occhi saltano volentieri sugli elenchi. Se abbiamo un periodo lungo e articolato, conviene dividerlo in punti: renderemo il pensiero più ordinato, chiaro ed efficace. Senza esagerare: trasformare più paragrafi della nostra lettera in un elenco di elenchi può raffreddare il messaggi, e farlo percepire come inutile e banale. Molto spesso i reclami vengono scanditi da elenchi, che segnano il ritmo della protesta: importantissimo rispettare l’ordine dell’esposizione, senza trucchi né omissioni.
F > Formule standard. Le usiamo soprattutto per iniziare e per concludere, ossia quando si concentra il nostro imbarazzo relazionale. Peccato, perché proprio come in un incontro personale è la prima impressione quella che conta, in una lettera è proprio il blocchetto delle prime righe il più delicato. Se saremo riusciti nelle prime righe ad avvicinare il lettore, egli starà con noi e leggerà il resto. Altrimenti finiremo nel cestino, o nel cassetto più turbolento del suo cuore. Ed è poi l’ultima riga quella che si fissa nella sua memoria, e può dare l’impronta allo sviluppo futuro della relazione.
Le più usate per aprire le risposte ai reclami: Abbiamo letto con massima attenzione la Sua del …, Con la presente desideriamo informarla che, Seguito colloqui telefonici intercorsi, Siamo a comunicarle che, In riferimento alla pregiata vostra del, Non ricevendo Suo riscontro alla nostra del…
E quelle per concludere: Certi di aver chiarito ogni dubbio, Sicuri di aver risposto puntualmente alle sue osservazioni, Fidando in una pronta e sollecita risposta le inviamo i nostri più distinti saluti, Ringraziamo per la cortese attenzione e cogliamo l’occasione per salutare cordialmente, L’occasione ci è gradita per porgerle i nostri ossequi, In attesa di un suo gradito cenno di riscontro, restiamo a sua disposizione per ogni ulteriore chiarimento…
Qualche sforzo di personalizzazione e di calore in più dà buoni frutti, specie quando partiamo da una situazione tesa, come appunto un reclamo.
G > Generalizzazioni. Sono i processi attraverso i quali le persone decontestualizzano un’esperienza specifica e le attribuiscono un significato universale: semplificazioni della realtà, con la quale creiamo categorie di riferimento per gestire al meglio situazioni simili ad altre passate.
Il guaio è che ci fanno imbestialire. Pensiamo a frasi come: Siete sempre in ritardo, È pericoloso fidarsi dei venditori, Voi non cercate mai di immedesimarvi nei vostri clienti…, Non sapete scegliere il momento opportuno per... Parole come: tutti, nessuno, sempre, mai, ogni volta che… tendono a uscire dal contesto e a fare di ogni erba un fascio: scelta di debolezza, che raramente aiuta a riconciliare una relazione. Certo, quando le leggiamo in una protesta non ci fanno piacere, ma occorre saper andare oltre l’espressione generica, e leggere il disagio specifico.
H > High touch. Nell’era dell’high tech, chi scrive deve riscoprire l’high touch, il contatto umano, in particolare il valore delle emozioni: la personalità di ogni scrittore è determinata più dalla sua sfera emotiva che da quella razionale.
I > Inconsapevole competenza. Che senso ha studiare le tecniche di scrittura efficace quando abbiamo trenta, quaranta, cinquant’anni, o più? Avremo ben imparato a scrivere!
Ma riflettiamo sulle fasi dell’apprendimento. Per esempio, un bambino di un anno non sa guidare l’auto, ma non sa neanche di non saper guidare l’auto; è nella fase I.I., inconsapevole incompetenza. Poi, verso i 3, 4 o 5 anni, si rende conto che lui non sa guidare, ma la mamma e il papà sì, perciò fa un sacco di domande: entra nella fase di C.I., consapevole incompetenza. A 18 anni, con il foglio rosa, entra nella fase di C.C., consapevole competenza: ha molte conoscenze, ma solo nella testa, non ancora nella pelle; ogni gesto che fa, lo deve prima pensare, gli mancano gli automatismi. È poi con la pratica della guida che si stabilizza nella fase di I.C., inconsapevole competenza: lì è l’esperienza.
Uguale nella scrittura: fermarsi qualche momento a ripensare, da adulti, ai fondamentali della scrittura, e più in generale della comunicazione, e tornare qualche passo indietro nella consapevolezza di ogni scelta, rende le nostre scelte più mature e meglio gestibili.
J > Jeans. Sì, ok, questa può sembrare tirata un po’ per i capelli. Eppure un senso ce l’ha. Alcuni lettori potrebbero obiettare, leggendo fin qui, che questi pensieri sono molto americaneggianti: il marketing, la pubblicità, le tecniche di persuasione e di manipolazione… Ma prendiamo i jeans: anche quelli sono nati in Italia. Fabbricati a Genova (si chiamavano “blu genes”, ossia stoffa blu di Genova), sono stati poi esportati negli Usa. Un caso? Forse no. È un italiano a scoprire l’America; un altro italiano a darle il nome. I legami tra Italia e America sono molti e antichi. Val la pena di scoprirli, anche nello scrivere: conviene studiare le tecniche della cultura americana, così dirette ed efficaci, arricchendole con la profondità della cultura italiana.
K, 3K > KISS-KICK-KISS: un calcio fra due baci. È uno dei metodi per comunicare una cattiva notizia, e si richiama al modello della “sandwich structure”, il panino: good news-bad news-good news. Una notizia cattiva fra due buone: “indorare la pillola”. Comunicare una cattiva notizia è una grana che prima o poi capita a tutti; a chi risponde ai reclami, ahimé, capita spesso. Maggiore è la nostra sensibilità, più delicato sarà il tono della lettera. Spesso cadiamo nelle formule sbrigative: “Spiacenti di comunicarle che…, Nostro malgrado dobbiamo informarla che…”. Espressioni standard che non riducono l`impatto negativo sul lettore. Anzi.
Nel comunicare un messaggio sgradito, l’obiettivo è attutire l’impatto della cattiva notizia e conservare una buona relazione con il lettore. Un’apertura garbata, che introduce al secondo paragrafo con la notizia chiara, senza fronzoli e ben motivata, oggettiva, accettabile; e una chiusura che lasci sperare nel futuro. Mettersi nei panni del lettore ha un ottimo effetto sulla scrittura: ricevere un no secco, in una lettera scritta con fretta, con poco rispetto per lo stato d’animo del lettore, è poco piacevole. Un po’ di riguardo, e il risultato sarà tutto diverso.
L > Leggere. Leggere resta uno dei modi più efficaci per scrivere bene. Letture professionali (quotidiani, riviste, manuali); ma soprattutto romanzi. Accendono l’immaginazione. La creatività nasce dalla sedimentazione, assimilazione e rielaborazione di ciò che abbiamo letto.
M > Maluma/Takete. Le parole hanno una forma, un suono. E una carica emotiva. Persino quando prive di significato, trasmettono sensazioni, e influenzano a livello inconscio il gradimento del lettore. Per questo nella linguistica si distinguono parole “maluma” e parole “takete”, ossia parole morbide e avvolgenti, e parole dure e spigolose. L’emisfero destro (emozionale) del nostro cervello associa la consonante labiale (m) e la liquida (l) di “maluma” ai toni morbidi, e le dentali (t) e la gutturale (k) di “takete” a quelli rigidi. Così percepiamo parole tenere o aspre, carezzevoli o taglienti. Parole dure piene di t e r. Parole veloci piene di z, s, tr. Zang tumb tumb: così è la guerra per Marinetti, caposcuola del Futurismo. Parole morbide piene di m, n, p, b: mamma, nonna, papà, babbo, regine del linguaggio infantile. Famoso l’esempio di Coccolino, l’ammorbidente che deve la propria fortuna al copywriter che ne ha ideato il nome: evocativo di coccole, morbide appunto. Forse non dovremo essere esperti di naming (il settore della pubblicità che studia i nomi dei prodotti), ma possiamo diventare più sensibili agli effetti inconsci delle parole.
N > No, non; ma, però, tuttavia. Parole da ridurre all’indispensabile.
Le negazioni, soprattutto: invece di affermare un qualcosa, spesso neghiamo il suo contrario (non va dimenticato che…), o giriamo al negativo inviti, consigli e altre intenzioni positive (non esiti a contattarci, non è da escludere che): così portiamo il lettore a soffermarsi proprio su ciò che neghiamo. La negazione è un concetto matematico che viene recepito solo dall’emisfero sinistro (logico-razionale), quindi in ritardo; per l’emisfero destro (istintivo-emotivo) essa non esiste. (Es. “Non fumare”: al cervello prima arriva “fumare”, poi “non”.)
Rispondendo a un reclamo, meglio evitare frasi come Non mettiamo certo in dubbio la sua versione…, Non vogliamo certo entrare in polemica…, Non dipende dalla nostra volontà…, Il regolamento non prevede la possibilità di…, Con il nuovo prodotto non avrà più inconvenienti…, Non abbia timore di…, Non dubiti…
Ma, però e tuttavia sono congiunzioni: collegano periodi o parti di un testo, guidandone l’interpretazione. Ma sono congiunzioni avversative: hanno un valore emotivo che trascende la funzione sintattica. Es. Le crediamo, ma verificheremo. Lei sostiene questa versione, però i fatti la contraddicono. Il destinatario legge il messaggio e si concentra su ciò che viene dopo il ma o il però. Vi legge un’accusa, una rettifica, e sfuma quanto ha letto poco prima. Per ridurre l’attrito, possiamo usare la congiunzione copulativa e, che unisce, anziché disgiungere, o ricorrere a due versatili segni di punteggiatura, la virgola o i due punti: Le crediamo, e verificheremo; Le crediamo, verificheremo; Le crediamo: verificheremo.
O > Operatori modali. Sono i verbi detti servili e fraseologici: volere, potere, dovere, sapere, avere bisogno/necessità di, avere intenzione di. Sono chiamati operatori modali perché indicano il modo dell`azione, non l`azione in sé.
Aggiungono al verbo principale una particolare modalità che indica volontà, possibilità, vincoli e competenze correlate all`azione descritta. Ha infatti implicazioni molto diverse dire che il tale fa/non fa qualcosa, oppure che vuole/non vuole fare qualcosa, o che deve/non deve fare qualcosa. Gli operatori modali rendono universale un enunciato sotto il vincolo della necessità o della volontà. In questo modo, consentono a chi legge di individuare regole o limiti nel sistema di pensiero di chi scrive. Per esempio, dovremo costruire sottintende un’azione futura data per certa; vorremmo utilizzare indicaun’azione condizionata dall’esterno. C`è la necessità di esprime invece la mancanza di alternative.
P > Parlare. Parlare e scrivere sembrano attitudini opposte: chi ama scrivere spesso non ama parlare. Invece abituarsi a parlare in pubblico, in gruppo, al telefono, districarsi nella conversazione fa bene anche allo scrittore: confrontare le proprie idee con gli altri rafforza le capacità di dialogo e di convinzione. Inoltre, avvicinare la parola parlata a quella scritta dona a quest’ultima una freschezza quasi introvabile nei manuali di scrittura. Da qui il motto Write the way you speak, scrivi come parli. Valido in particolare nelle risposte ai reclami: se il reclamante ascolta il tono della nostra voce, mentre legge le nostre parole, facile che ci senta più vicini.
Q > Questioning. È l’arte di porre le domande per ottenere le risposte. Fondamentale per ogni comunicatore. Nella scrittura, la domanda apre la relazione con il lettore, sposta il centro dell’attenzione su di lui, lo invita a rispondere. Una domanda in apertura della lettera, o nel post-scriptum, ottiene dal lettore attenzione e disponibilità.
A volte anche riformulare certe affermazioni in chiave interrogativa aiuta a smorzarne la durezza. Es. Sono deluso dal vostro servizio. > Può dirci in che cosa, in particolare, lei è rimasto deluso dal nostro servizio? Oppure Avevo fiducia della vostra marca, ora sto pensando di cambiare. > Vuole offrirci un’altra possibilità per dimostrare che la sua fiducia è ben riposta?
R > Respons-abilità. Sempre dal dizionario: responsabilità = consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze, e relativa possibilità di prevedere, scegliere e correggere il proprio comportamento. Nel nostro contesto, possiamo mettere un trattino in mezzo alla parola e leggerla come la respons-abilità, ossia l’abilità di dare la risposta migliore a chi ci fa una domanda, o l’abilità di ottenere la risposta se siamo noi a fare la domanda. Inutile dire: “non mi ha risposto”; meglio chiedersi ho fatto la domanda nel modo migliore?
S > Scuse. A una sincera richiesta di scuse, in genere le aggressioni verbali si ammorbidiscono. Ma per chi deve scriverle, le scuse, il compito è difficile. Un disservizio, un’incomprensione, una promessa non rispettata, sono preziose occasioni di relazione che spesso si spengono sull’orgoglio o sull’incapacità di chiedere scusa. Di fonte a un reclamo, poi, siamo tesi, irritati; non ammettiamo il torto, e ci chiudiamo in difesa. Più che altro pensiamo a giustificarci, ad alleggerire la nostra colpa o a scaricarla su altri. In questo modo irritiamo ulteriormente il lettore: Nonostante il nostro costante controllo delle merci in viaggio, un guasto alla rete informatica non ci consente l’individuazione del vostro plico.
Meglio chiedere scusa, subito, senza giri di parole, contenendo gli aspetti negativi e facendo risaltare i meriti, se ci sono. Con un tono personale: Chiediamo scusa per l’interruzione della rete informatica, che non ci permette di individuare la posizione del plico da voi spedito il 3 novembre. La riparazione richiede 24 ore: poi vi forniremo subito l’informazione.
Chiedere scusa conviene anche quando non siamo del tutto colpevoli: se il cliente ci ha percepito così, forse abbiamo sbagliato qualcosa, almeno nella comunicazione. Un tono sobrio eliminerà il rischio di apparire stucchevoli.
Qualche volta possiamo anche scusarci in prima persona (Le chiedo scusa), anziché con il noi aziendale (Ci scusiamo…): l’effetto è più dolce, disarmante. È vero che è l’istituzione-azienda che si scusa, ma si perdona più volentieri una persona che un’azienda.
T > Timeline. Prima di essere tradotto in parole, il tempo è una percezione. Già Aristotele ne ha esplorato la dimensione soggettiva e lo ha descritto in termini di un “prima” e un “dopo”, marcati dalle nostre azioni ed emozioni. In neurolinguistica si parla di timeline, linea del tempo: è il modo con cui percepiamo immagini, suoni, sensazioni, e li disponiamo nel nostro passato, presente, futuro. Un uso accurato dei tempi verbali può sfumare un problema, spostandolo nel passato (Sto attraversando un momento difficile > Lei ha attraversato un momento difficile). O rinvigorire una speranza, collocandola in un futuro prossimo (Non so se tornerò a fornirmi da voi > Lei può tornare a fornirsi da noi perché può coglierne subito il vantaggio). È molto utile porre attenzione ai suggerimenti inconsci delle parole, in particolare quelli legati ai tempi delle azioni descritte (Avevo fiducia della vostra marca, ora sto pensando di cambiare fornitore. > Forse lei ha pensato di cambiare perché ha colto un segnale di disattenzione; le chiedo un’altra possibilità per dimostrare che la sua fiducia è ben riposta).
U > Umanesimo. Conviene emanciparci dall’eredità degli anni Ottanta, che ha riempito la comunicazione di account supervisor, decision maker, progetti integrati, scelte vincenti di grande impatto emotivo, e poi di competenze distintive, di feed-back, di leadership, di mission/vision/value, di skills, di step, di target, di task force e di team building. Il lettore non si lascia più blandire così. Al centro c’è la persona, che sceglie, che lavora, che comunica; che parla, se non proprio come mangia, come pensa. In sostanza, come è.
V > VAK, ovvero: visivo (V), auditivo (A), cenestesico (K). Sono i sistemi rappresentazionali. Indicano l’organo sensoriale privilegiato nel raccogliere ed elaborare le informazioni percepite da vista (V), udito (A), e tatto-gusto-olfatto (K). Questa inclinazione comporta una scelta – inconsapevole, ma accurata – delle parole. Il visivo userà vedere, osservare, chiarire, focalizzare; chiaro, limpido, oscuro, torbido; quadro, scenario, schema; curerà la scelta del carattere, la formattazione, i colori, gli elementi decorativi. L’auditivo preferirà ascoltare, sentire, parlare, dire, spiegare, suonare; acuto, stridulo, forte, piano; sintonia, dissonanza, campanello d’allarme; sarà attento a ritmo, pause, allitterazioni, assonanze, metrica, lunghezza delle parole e delle frasi. Il cenestesico sceglierà provare, fiutare, toccare; freddo, concreto, ruvido, gustoso; contatto, sensazione, attrazione; esprimerà emozioni e stati d’animo. Adeguarsi al sistema rappresentazionale del lettore aiuta a meritarne la fiducia.
Se il cliente scrive Non vedo ragione per…, ci conviene rispondere È evidente che… potrà chiarire ogni dubbio… Le sue indicazioni…
Se scrive La sua collega mi ha detto che…, noi rispondiamo Abbiamo chiesto alla direzione… Le sue parole ci fanno pensare che… Può chiamarci quando vuole…
Se lui Mi aspetto un segno tangibile…, noi Eccole un’opportunità concreta… Ci contatti pure…
W > Wonder. Lettera-simbolo, la w, nella scrittura: dal verbo to write al www di internet. Ma qui ci serve richiamare il valore della meraviglia: wonder. In una libreria dell’università di Harvard c’è uno striscione che dice “To wonder is to know”: meravigliarsi è conoscere. Lo diceva già Metastasio: “la meraviglia dell’ignoranza è figlia e madre del saper”. Il concetto di meraviglia, un po’ svilito in comunicazione (potevamo stupirvi con effetti speciali), va rivalutato. Chi sa meravigliare sa farsi conoscere e apprezzare.
X > X. È il simbolo dell’errore. Vedi una croce su un tuo testo, e leggi subito “sbagliato”. E parte la frustrazione. Scrivere, però, è sbagliare continuamente. Solo gli errori, le approssimazioni, i tentativi, ci portano al risultato. Liberiamo l’errore dal senso di colpa, accogliamolo con favore: ci si rivelerà come la più preziosa fonte di conoscenza. E quale migliore occasione abbiamo per imparare, e quindi per migliorare, che le segnalazioni di chi ci ha scelto, e magari reclamando ci dimostra proprio che vorrebbe sceglierci ancora in futuro?
Y > You style. Meglio scrivere al tu (prova, guarda) o al più formale lei? o un lei di rispetto che però sottende una complicità da tu? o invece un lei che fa sentire l’intenzione di tenere le distanze, quasi un voi? meglio il noi confidenziale, che fa spirito di squadra, o il si impersonale? o meglio la responsabilità dell’io? Inutili le scelte di principio. Lo stile va tagliato su misura sul lettore.
Z > Zibaldone. Non suoneranno, queste righe, come uno zibaldone, una raccolta di buoni pensieri sullo scrivere? Il loro auspicio è un altro: invogliare a scrivere, senza pensare troppo alle regole. Nella scrittura le regole s’imparano dopo averle applicate. E solo con la fatica propria.
Buon lavoro.
P.S. mi vien quasi voglia di ricominciare da capo, e mi scappa un’altra A.
Allenamento. Nulla die sine linea, diceva Plinio il Vecchio. Neanche un giorno senza scrivere una riga. Come nello sport, o nella musica, più del genio conta la disciplina. Più si scrive, meglio si scrive. Appunti di viaggi, d’incontri, racconti, poesie, diari. Sempre con umiltà: diceva Hemingway, dopo una vita sulla tastiera, “We are all apprentices”, siamo tutti principianti.
Il corso: La seduzione del reclamo
- On 17 Ottobre 2012