
Alla ricerca dei buoni propositi
Vedere gli obiettivi e prendere decisioni
di Gabriella Rinaldi
Chiedersi dove vanno a finire i buoni propositi di inizio anno è un po’ come rispondere alla domanda: dove vanno a finire i calzini scomparsi in lavatrice?
Continuiamo a metterceli, sperando di recuperarli a fine lavaggio. Come facciamo con i propositi: quando inizia un nuovo anno, dopo un compleanno, una promozione sul lavoro, oppure quando iniziamo una dieta o un allenamento, abbiamo tutta la voglia di farci promesse e compilare liste di obiettivi ideali, sperando che almeno qualcuno possa diventare obiettivo reale e raggiunto.
Mangiare meglio, fare più sport, praticare l’assertività e la gentilezza, mettere più soldi da parte, ecc. Il pensiero di conquistare il palio dei buoni propositi è molto gratificante all’inizio e poi, per qualche motivo, si restringe e si fa piccolo piccolo. E fa la fine dei calzini.
VOLONTÀ E FUTURO Un proposito, secondo la Treccani, è la volontà deliberata di fare qualcosa che “è posto innanzi”, dal latino proponĕre. Con un piccolo sforzo d’immaginazione, possiamo pensare ad una linea retta che congiunge un punto A, che rappresenta il desiderio e la volontà di raggiungerlo nel presente, ad un punto B, cioè la meta desiderata e raggiunta in un futuro ideale. Cosa c’è nel mezzo del cammin? Di solito una selva oscura, fatta di stress, sensi di colpa e frustrazione.
LA FALLACIA DELLA META RAGGIUNTA Allora perché perseveriamo? Uno psicologo israeliano di Harvard, Tal-Ben-Shahar, parlato sul New York Times di fallacia della meta raggiunta. Secondo i suoi studi l’arrival fallacy è l’illusione che, una volta conseguito il risultato che desideriamo, saremo in una condizione di felicità duratura.
Tendiamo a sovrastimare l’impatto positivo che potrebbe avere un nuovo conseguimento. Riconosciamo razionalmente il beneficio che potrebbe derivare dal rendere concreto un proposito e ci entusiasmiamo con le nostre liste di inizio anno. Si attivano i centri cerebrali della ricompensa e della gratificazione a breve termine, così la meta ideale sembra a portata di mano. A quanto pare, siamo meno bravi a valutare cosa c’è nel mezzo, cioè cosa può comportare in termini di sforzo emotivo raggiungere la felicità di cui al punto B.
IDEALE vs REALE Secondo un’analisi dell’American Psychological Association, dal 1989 ad oggi sarebbe aumentata la ricerca della perfezione, specialmente tra i giovani. Complici le nuove forme di comunicazione e i modelli poco inclusivi che si sono sedimentati nella cultura, l’idea diffusa è quella di dover essere perfetti a lavoro, nel corpo e nella mente. Un obiettivo così irrealistico che implica necessariamente delusione, disillusione, amarezza e fallimento.
Il contro altare di questa ossessione è un circolo vizioso in cui più ci si affida a tecniche e metodi per pensare positivo, imporsi obiettivi stimolanti e sviluppare uno stile di vita sano, tanto più aumenta l’illusione di poter fare uno sprint verso una gratificazione finale ideale che mal si concilia con l’impegno reale richiesto. La vita, al contrario, è più realisticamente una maratona.
DISINNESCARE IL MECCANISMO DELLE (DIS)ILLUSIONI Smettere di fare propositi, dunque? Giammai, è sognare che ci aiuta a vivere e ci rende quel che siamo. Tuttavia una buona dose di consapevolezza ci può aiutare a vedere la realtà. Come Alfredo, il vecchio cieco che sa vedere, e Salvatore, il giovane ingenuo che deve ancora imparare a fare i conti con la realtà. In questa scena di Nuovo Cinema Paradiso, Alfredo racconta a Totò la storia della principessa e del soldato: un modo poetico di descrivere la dolcezza del meccanismo delle illusioni e il realismo delle scelte.
PRENDERE DECISIONI Lo psicologo Paul Watzlawick teorizza che il sistema di relazioni e interazioni fra persone e organizzazioni si esprima attraverso schemi di comportamento ripetuti che lo tengono in vita. Nei casi in cui il sistema è insoddisfacente o, addirittura, dannoso, questo non fa che accrescere insoddisfazione e frustrazione. Quand’è così, prendere decisioni controintuitive, che non vuol dire illogiche, può aprire nuovi scenari e ottenere effetti più efficaci in termini di cambiamento, anziché affidarsi a decisioni solo in apparenza più plausibili e lineari. Per esempio, è controintuitivo pensare di sentirsi più appagati e felici smettendo di fare buoni propositi. Eppure farlo può davvero essere un buon ancoraggio alla realtà, che disattiva quel meccanismo di perfezione ideale.
Come suggeriva Lucio Dalla: “L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale.”
VEDERE GLI OBIETTIVI “Vedremo, faremo e diremo, ma la barca non va senza remo”. È di un remo dunque che abbiamo bisogno per vedere il futuro, perché la magia si compia e il cambiamento avvenga davvero. E se quel remo fosse il linguaggio? Un metodo utile è quello della narrazione prefigurativa. Che significa? Narrare un cambiamento, personale oppure organizzativo, prima ancora che avvenga, e allenarsi a vedere tutti gli aspetti del cambiamento prima che si realizzi. La visualizzazione aiuta a mettere in conto sia i vantaggi che i rischi della trasformazione, per vivere e raccontarsi “in anteprima” ciò che accadrà e come.
Che tu possa guardare oltre il presente e vivere appieno la tua storia di (piccoli) grandi cambiamenti: buon anno!
- On 21 Gennaio 2022