IL MONDO DIETRO (E DENTRO)
di Lorenzo Carpanè
Va bene lamentarsi dello stato presente della lingua italiana, ma serve anche valorizzare la libertà con cui possiamo usare oggi la lingua. Per renderla ancora più creativa e immaginativa.
La storia di copertina di “Sette” del “Corriere della Sera” del 21 febbraio è tutta dedicata alla Lingua.
Severgnini e Mastrantonio sguazzano (è il caso di dirlo) tra le acque poco chete della lingua italiana d’oggi. I paragrafi dell’inchiesta hanno dei sottotitoli che ci dicono molto: “Scendi il cane”, #escile. I sovversivi”; “Il popolo, il popolo! La retorica”; “Barchette e barchini. I diminutivi”; “Plurilaureati. Gli esagerati”; “Burattino sarà lei. Gli insultanti”; “Wow!!! Gli esclamanti”. I riferimenti sono molto chiari.
Lettura, quella proposta dai due giornalisti, molto più in chiave socio-politica che linguistica in senso proprio. Però la loro analisi tocca quelle che i linguisti puri (se esistono) chiamerebbero le cinque funzioni del linguaggio: persuasiva (ti voglio convincere), informativa (ti voglio informare), poetica (ti voglio far godere della bellezza della lingua), metalinguistica (ci rifletti sulla lingua?), fàtica (ti ascolto, lo sai?).
Tutto questi usi (e abusi) riguardano dunque nella lingua italiana oggi? Negli usi considerati e sconsiderati che se ne fanno da parte della ggente? Pare proprio di sì: e lo si comprende non solo analizzando, come fanno di due giornalisti l’andazzo tra politica e comunicazione social, ma lo si può notare anche se si considera la comunicazione professionale d’oggi. Che sia questo lo Zeitgeist, lo spirito del tempo?
Mala tempora currunt. Verrebbe da dire (e più d’uno pensa). E però, forse, dietro (e dentro) c’è qualcosa di più che una pur necessaria lamentela sullo stato presente della lingua degli italiani.
Mettiamola così: c’è un grande bisogno di libertà, di invenzione, di creatività, di immaginazione (copyright Leopardi). La nostra lingua italiana è stata per molto tempo, lo sappiamo, solo lingua scritta, lingua letteraria. Poi, molto poi, è diventata lingua di una nazione, quando questa nazione è nata (1861); poi, molto poi, si è andata affermando come lingua degli italiani, grazie a radio, televisione, scuola, burocrazia (sì, anche quella!) e perfino guerra (pure!).
Ora, forse, finalmente, la lingua è patrimonio di quasi tutti, superata anche la fase (ce lo ricordiamo vero? Non è di molti anni fa) in cui qualcuno voleva avviare scuole in dialetto.
Quindi ci sta che in questa fase ci sia più movimento, considerata anche la velocità di trasmissione dei messaggi linguistici (scritti, orali) grazie ai nuovi media.
Insomma, dietro la lingua ci siamo noi, c’è il nostro desiderio di libertà. Un po’ di casino (licenza poetica) è necessario. Almeno un po’: per smuovere le acque e ritrovarci un italiano un po’ sciacquato dalle incrostazioni. Dobbiamo anche noi passare per l’Arno, anche se un Arno diverso (Manzoni ce lo ricordiamo, no?).
Insomma 2: va bene mettere alla berlina errori, sciatteria, banalità: ma è necessario dare una veste più moderna all’italiano, perché sia capace di rappresentare il presente in tutte le sue sfaccettature, anche quelle che ci piacciono un po’ meno.
- On 25 Febbraio 2019