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Il No positivo, step 1: Sì! No. Sì?

di Chiara Lucchini

Direttore del Global Negotiation Project all’università di Harvard e mediatore da più di trent’anni in ambito aziendale e politico, nel libro Il No positivo William Ury mostra come dire No senza pagarne le conseguenze, anzi mantenendo positive le proprie relazioni, personali e professionali. Il cuore del No positivo sta nel dire No iniziando con un Sì e finendo con un altro Sì. Questo aiuta a evitare molte trappole, e a mantenere distacco ed equilibrio nelle emozioni.

A differenza di un No ordinario, che inizia con un No e finisce con un No, un No positivo inizia con Sì e finisce con Sì.

Questa la struttura di un No positivo: Sì! No. Sì? Il primo Sì esprime i nostri interessi, il No afferma il nostro potere, il secondo Sì asseconda il rapporto. Quindi un No positivo equilibra potere e rapporto al servizio dei nostri interessi.

Ci possono aiutare in questo alcuni strumenti particolari della comunicazione, come la 3K structure, le D.I.A.R., le B.A.T.N.A., le S.Y.A.Q. e le S.N.A.Q.

3K (Kiss-kick-kiss) o sandwich structure
Prima un bacio, poi un calcio, e poi un altro bacio. Come un sandwich: la fetta di formaggio, magari anche un po’ ammuffito, in mezzo a due fette di buon pane croccante. O come un po’ di zucchero intorno alla pillola, diceva Mary Poppins. È proprio la struttura per messaggi che possono avere un impatto negativo sul destinatario: una cattiva notizia, un diniego, un rifiuto, un parere negativo, una squalifica, o tutte le situazioni in cui vogliamo confinare la negatività nel contenuto e mantenere positiva la relazione.
Quello a cui bisogna stare attenti è non indorare troppo, perché se metto troppo zucchero c’è il rischio che il messaggio negativo non arrivi. Io devo assicurarmi che l’altro abbia capito che gli sto dicendo di No, altrimenti lo sto ingannando. Questo No è positivo, ma è comunque un No: non è un “ni” e neanche un “vediamo”.

D.I.A.R.
Le D.I.A.R. (domande a illusione di alternativa di risposta) sono domande che creano l’illusione che vi sia la possibilità di scelta tra due alternative opposte tra loro.
Per esempio, se io chiedo “Ci sentiamo stasera o domani mattina?”, lascio all’altro la sensazione di scegliere, ma gli trasmetto la certezza che ci sentiremo.
Un altro esempio classico è quello della madre che chiede al figlio: “Fai i compiti adesso o più tardi?”. Sembra che gli lasci la possibilità di scelta, ma prima o poi il figlio non potrà che fare ciò che la madre gli ha chiesto.
Sono, quindi, due domande chiuse nascoste in una domanda aperta. A volte accade che io offra al mio interlocutore due possibilità e lui me ne dia una terza: “Quest’estate, mare o montagna?”. Risposta: “E perché non un viaggio per capitali?”. Le D.I.A.R. sono utili con una persona che ha difficoltà a decidere.

B.A.T.N.A.
Best alternatives to the negotiating agreement. Tecnica negoziale, sono uno sviluppo delle D.I.A.R.: se devo dire di no a una proposta, non mi fermo al “no, punto”, ma propongo le mie alternative all’accordo negoziale.
Es. Un cliente mi chiede un appuntamento lunedì mattina alle 10. Io non posso. Invece di dirgli “No, lunedì alle 10 non posso”, gli dico: “Lunedì mattina sono a Bologna. Possiamo vederci martedì pomeriggio, oppure sentirci lunedì via Skype, o se preferisce lunedì alle 10 può parlare con il mio collaboratore che è in sede”. In questo modo gli offro una serie di alternative senza usare la parola “no”.

S.Y.A.Q. e S.N.A.Q.
S.Y.A.Q., Surely yes answered questions: domande che hanno sicuramente risposta positiva.
Es. (A una persona di cui conosco il nome) Francesca, giusto?
Es. Siamo sicuri che due più due faccia quattro?
S.N.A.Q., Surely no answered questions: domande che hanno sicuramente risposta negativa.
Es. Hai mai pensato quanti animali si saranno estinti fra un milione di anni?
Es. Hai mai pensato come sarebbe bello avere le ali?

Il No positivo: Sì! No. Sì? Come un albero

Un No positivo si può paragonare a un albero. Il tronco è il No: dritto e forte. Ma proprio come il tronco è solo la parte mediana di un albero, così il No è solo la parte mediana di un No positivo. Le radici dalle quali il tronco emerge sono il nostro primo Sì: un Sì agli interessi più profondi che ci sostengono. I rami e il fogliame che si dipartono dal tronco sono il nostro secondo Sì: un Sì che si spinge verso un possibile accordo o rapporto. Il frutto è l’esito positivo che cerchiamo.

Così si presenta un No positivo: un forte No, simile a un tronco, radicato in un Sì più profondo e che fiorisce in un Sì più ampio.

Vediamo come riempire questa struttura del Sì! No. Sì?

Nel primo Sì! compiamo questi primi passi:
– negoziamo per il Sì
– proponiamo il piano B
– comprendiamo
– riflettiamo e ascoltiamo, senza re-agire
– restiamo fedeli al Sì

Al momento di passare al No, invece:
– prendiamo tempo
– affermiamo il nostro No: quieto, profondo, fermo
– condividiamo il condivisibile
– affermiamo la nostra intenzione

Torniamo poi al Sì?:
– prepariamo il piano B
– manteniamo il nostro Sì, rispettando l’interlocutore
– scopriamo il nostro Sì (interessi, bisogni, valori)

È importante, inoltre, evitare la trappola delle tre A:
– Acquiescenza: diciamo Sì quando vorremmo dire No. Acquiescenza significa un Sì malsano che compra una falsa pace provvisoria.
Quando il capo ci chiede di lavorare nel fine settimana per il quale avevamo progettato un viaggetto con la nostra famiglia, noi digrigniamo i denti e cediamo, temendo di perdere la promozione che ci serve, anche se la nostra vita di famiglia ne soffrirà. Troppo spesso andiamo avanti per inerzia, anche se sappiamo che non si tratta della decisione giusta. Il nostro Sì è in realtà un Sì distruttivo, perché compromette i nostri interessi più autentici.
– Attacco: diciamo No malamente. Usiamo il nostro potere senza preoccuparci del rapporto. Se l’acquiescenza è guidata dal timore, l’attacco è guidato dall’ira. Istintivamente perdiamo il controllo e attacchiamo: diciamo No in un modo che è offensivo per l’altro e distruttivo per il nostro rapporto. Citando Ambrose Bierce: «Parlate in preda all’ira e farete il miglior discorso che potrete mai rimpiangere».
– Astensione: non diciamo assolutamente nulla, né Sì né No. L’astensione è oggi una risposta ai conflitti, nelle famiglie e nelle aziende, molto comune. Siccome abbiamo paura di offendere gli altri e di incorrere nella loro ira o disapprovazione, non diciamo nulla, sperando che il problema si risolva da solo, anche se sappiamo che non succederà.
L’astensione, in qualsiasi campo della vita, è fatale. Come disse una volta Martin Luther King, «le nostre vite incominciano a finire il giorno nel quale diventiamo silenziosi sulle cose che contano».

Quindi, quando dobbiamo dire No, attenzione all’errore di partire da un No. Un No positivo ci chiede di fare l’opposto: invece di partire da un No, partire da un Sì. Radicare il nostro No in un Sì più profondo: un Sì ai nostri interessi essenziali e a ciò che veramente conta per noi.

Quando diciamo un No, ricordiamoci sempre la differenza tra realtà e rappresentazione della realtà. La prima (R) è unica, oggettiva, sta fuori di noi, è uguale per tutti. La seconda (RR) è soggettiva, ognuno di noi ne ha una diversa: sono le idee, le opinioni, quello che pensiamo della realtà. Nel dire un No positivo dobbiamo sempre rispettare la soggettività dell’altro.

E poi, come ha spiegato Robert Dilts parlando dei livelli logici, teniamo sempre presente la differenza tra mondo dell’essere e mondo del fare. In un No positivo l’aspetto negativo deve rimanere confinato al mondo del fare (ambiente, comportamento, abilità), senza entrare nel mondo dell’essere (valori e convinzioni, identità, missione).

Non reagire in preda all’ira

Un giorno, il samurai chiese al pescatore di saldargli un debito. «Spiacente», disse il pescatore, «ma ho avuto una pessima annata e mi duole doverle dire che non ho un soldo». Facile all’ira, il samurai sguainò la spada e si preparò a uccidere sull’istante il pescatore. Pronto di riflessi, il pescatore coraggiosamente disse: «Ho studiato arti marziali, e il mio maestro mi ha insegnato che non bisogna mai colpire in preda all’ira».
Il samurai lo guardò per un minuto, poi abbassò lentamente la spada. «Il tuo maestro è saggio», disse con calma. «Il mio maestro mi ha impartito la stessa lezione. A volte l’ira prende il sopravvento su di me. Ti darò un altro anno per ripagare il tuo debito, ma se mancherà anche un solo centesimo ti ucciderò senza fallo».
Il samurai tornò a casa, arrivandoci a tarda notte. Scivolò dentro in silenzio, per non svegliare sua moglie, ma fu colpito dal trovare nel suo letto due persone: sua moglie e un estraneo in abito da samurai. In un impeto di gelosia e di rabbia, alzò la spada per colpirli ambedue, ma improvvisamente si ricordò delle parole del pescatore: «Non colpire in preda all’ira». Il samurai si fermò un istante, respirò profondamente e poi, deliberatamente, fece un forte rumore. Di colpo la moglie si svegliò, e così fece anche l’“estraneo”, che si scoprì essere sua madre.
«Che significa tutto questo?», urlò. «Stavo per uccidervi entrambe!».
«Avevamo paura dei briganti», spiegò la moglie. «Così ho fatto indossare a tua madre il tuo vestito da samurai per tenerli lontani».
Passò un anno, e il pescatore si presentò al samurai. «Ho avuto un’ottima annata», disse tutto giulivo, «e così questi sono i soldi che le devo, con tanto di interessi».
«Tieni pure i tuoi soldi», replicò il samurai. «Mi hai già ripagato tanto tempo fa».

Da questa storia capiamo che il maggior impedimento a dire No con successo non è l’altro: siamo noi stessi. È la nostra umanissima tendenza a reagire, ad agire con intensa emotività ma senza un chiaro obiettivo.

Quando vogliamo dire No, ricordiamo la lezione del samurai: non reagiamo in preda all’ira, e nemmeno sotto l’effetto di qualsiasi altra emozione negativa, come la paura o il senso di colpa. Passiamo dall’essere reattivi e concentrati sul No a essere attivi in modo positivo e concentrati sul Sì.

Andare in galleria

L’ira può accecare, la paura paralizzare, il senso di colpa indebolire.

Fermarsi e fare una pausa è importante perché interrompe la nostra reazione naturale, ci fa guadagnare tempo per riflettere, e così ci consente di svelare il nostro Sì. Ciò che conta è fermarsi e dare un’occhiata alla situazione prima di procedere con il nostro No.
Ury usa la metafora “andare in galleria”. La galleria implica prospettiva, calma, chiarezza. Da quel punto di osservazione è molto più facile scoprire il Sì dietro il vostro No.

Ury racconta di aver potuto veramente apprezzare questa lezione quando gli venne chiesto di intervenire in una difficile discussione a metà degli anni Novanta tra dirigenti russi e ceceni su come concludere la tragica guerra in Cecenia.
La discussione si svolse al Palazzo della Pace dell’Aja, proprio nella stessa sala delle riunioni usata dal tribunale internazionale sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Il vicepresidente ceceno aprì il suo lungo discorso con una serie di accuse altisonanti contro i russi, dicendo che avrebbero fatto bene a fermarsi in quella sala, visto che presto sarebbero stati anche loro processati per crimini di guerra. Poi si girò verso Ury e, guardandolo fisso negli occhi, incominciò ad attaccare: «Voi americani avete appoggiato i russi nei loro crimini di guerra! E per di più violate il diritto di autodeterminazione del popolo portoricano!». Come se ne fu uscito con queste accuse, gli altri intorno a quel tavolo guardarono Ury per vedere come avrebbe risposto. Avrebbe detto No a quella bordata di accuse?
Ury si sentiva sconvolto e sulla difensiva. Pensava: «Non mi piace la piega che questa conversazione sta prendendo. Perché attacca me? Io sto solo cercando di aiutare. Portorico? Che ne so io di Portorico?». Si sentiva reattivo. Doveva accettare quel modo di essere trattato? Doveva rispondergli per le rime? Doveva tacere?
Fortunatamente, il tempo necessario per la traduzione gli diede il tempo per “andare in galleria”. Tirò un profondo respiro e cercò di calmarsi. Il loro scopo, si rammentò, era cercare di portare la pace al popolo in Cecenia e in Russia. Quello era il suo Sì. Su tale base, era pronto a dire No a quella valanga di accuse che non li avrebbe portati da nessuna parte.
Quando venne il suo turno di rispondere, Ury disse semplicemente al vicepresidente ceceno: «Ho udito la sua critica al mio paese e la prendo come un segno che siamo fra amici e ci possiamo parlare fuori dai denti. So che il suo popolo ha sofferto in modo terribile. Ciò che dobbiamo fare in questa sede è trovare un modo per fermare le sofferenze e lo spargimento di sangue in Cecenia. Cerchiamo di venir fuori con qualche provvedimento pratico che si possa prendere oggi».
La discussione rientrò in carreggiata. L’essere andato in galleria gli aveva fatto scoprire il suo Sì.

Emozioni negative da caricare positivamente

Non ci sono emozioni intrinsecamente negative, ma solo emozioni caricate negativamente, che hanno il potenziale di caricarsi positivamente.
Venezuela, 2003, al culmine delle tensioni politiche: Ury viene invitato dalle Nazioni Unite a moderare un incontro della durata di un giorno tra esponenti della popolazione civile che includevano tanto ardenti sostenitori quanto acerrimi avversari del presidente Hugo Chàvez.
L’incontro era aperto a tutti. Si presentarono quasi mille persone e la Guardia nazionale venne mobilitata per timore che la violenza potesse esplodere tra i gruppi rivali. Il clima nella sala era carico di paura e di tensione. Dopo i discorsi introduttivi di diversi alti dignatari internazionali, Ury venne chiamato alla tribuna per moderare l’incontro.
D’intuito, chiese ai partecipanti di raffigurarsi immagini concrete della distruttività del conflitto: qualcuno che conoscevano che fosse stato ucciso o ferito, un posto di lavoro perso, la rottura di un’amicizia o di un legame di famiglia, l’incubo di un bambino, qualunque cosa fosse per loro. Poi chiese: «Quale parola della lingua spagnola usereste per dire No alla violenza politica?». La parola che numerosi membri del pubblico suggerirono fu «Basta!». Allora Ury disse: «Okay. E adesso vi chiedo un favore. Mi piacerebbe sentire per un attimo la voce del popolo venezuelano, una voce che finora è stata zittita, la voce del buonsenso. Avendo bene in mente la vostra personale immagine del conflitto, mi piacerebbe chiedervi di gridare tutti insieme Basta con tutta l’emozione che provate. Farete questo per me?». Essi annuirono. Dopo che Ury ebbe contato fino a tre, un forte Basta! spazzò la sala. Era potente. Ury si accorse che alcuni si trattenevano, forse per timidezza; perciò chiese che per favore lo ripetessero. Lo fecero, e fu fortissimo. Chiese loro una replica finale, e con quel terzo Basta! l’intero teatro tremò fino al tetto.
In quel momento il clima nella sala cambiò. Le emozioni di paura e di rabbia caricate negativamente si trasformarono in un intento positivo di adoperarsi per porre fine alla confusione distruttiva del conflitto. Quasi a conferma di ciò, quello stesso pomeriggio in quel teatro i partecipanti elessero un comitato per lavorare insieme alla pace nel Venezuela.

Quindi: possiamo usare le nostre emozioni per mobilitarci a dire No ed ergerci a difesa di ciò che conta per noi. Ansia, paura e ira ci portano il dono dell’energia trasformatrice. Se siamo capaci di ascoltarle invece di lasciarle agire in modo distruttivo, tali emozioni possono diventare nostri amici e alleati. Ci possono dare il coraggio per dire No. Un No corposo, viscerale, sonoro.

PER APPROFONDIRE:
Il No positivo di William Ury
Il nostro corso sul no positivo

  • On 22 Ottobre 2018
Tags: Chiara Lucchini, Comunicazione, Il no positivo, le parole del diritto riflessione n 1, negoziazione
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Il No positivo, step 2: sottolineare il nostro No e arrivare al Sì

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