Plain Italian. Che ne sanno i giudici di Cassazione? Una sentenza che fa riflettere sul linguaggio chiaro, semplice, efficace.
di Lorenzo Carpanè
Scrivere in “plain italian” serve in tutti i contesti della vita pubblica. Una nostra nuova ricerca per dare consulenza e servizi ad aziende, enti pubblici, istituzioni.
Cesare fui e son Iustiniano
Che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
D’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano
Dante Paradiso, VI, 10-12
Togliere peso
Per Dante, insomma, il Corpus iuris civilis era un modello di chiarezza, trasparenza, semplicità? Non so se aveva tutte e tre insieme queste qualità, ma certo un modello di equilibrio per Dante lo era eccome.
Di certo, ancora, non possiamo proporre Giustiano a giuristi e futuri giuristi – che pure lo studiano – come modello di scrittura.
Ma quell’idea di togliere, di sottrarre peso alla scrittura, come scrisse anche Italo Calvino, quello sì può essere un motto da perseguire. Per eliminare ogni “inutile farraginosità” alla lingua. Parole sacrosante scolpite, si fa per dire, dalla Cassazione nella sentenza 9996 del 28 maggio 2020, con cui rigetta un ricorso che le era stato presentato. Aggiungendo una serie davvero stimolante di considerazioni sul linguaggio del proponente.
Oltre Don Raffaè
Sulla questione è tornata Valentina Mattei senior associate di Deloitte Legal con un articolo pubblicato sul suo profilo LinkedIn. Con una qualche elegante ironia: a chi è peraltro appassionato di De Andrè, è già un titolo di merito ricordarne il Don Raffaè: “chill’ha fatto cinquanta concorsi novanta domande e duecento ricorsi”.
Ma ancor di più di merito è l’esortazione finale:
“perché il funzionamento del sistema giudiziario passa sicuramente da una magistratura più efficiente e da un legislatore illuminato, ma anche da avvocati che facciano il gioco di parte, per definizione il loro lavoro, adottando la migliore delle strategie, nel rispetto delle regole di un sistema democratico e moderno che utilizza la lingua e la comunicazione per includere e non per escludere. E così il processo”.
Un problema solo degli avvocati? E l’INPS?
Certo che no. Basta leggere l’avviso pubblicato a maggio di quest’anno sul sito INPS per il contributo di 600 euro:
“Le indennità hanno importo pari a 600 euro, non sono soggette ad imposizione fiscale, non sono tra esse cumulabili e non sono riconosciute ai percettori di reddito di cittadinanza. Tali indennità sono compatibili e cumulabili, invece, con le erogazioni monetarie derivanti da borse lavoro, stage e tirocini professionali, nonché i premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale, con i premi ed i compensi conseguiti per lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica, nonché con le prestazioni di lavoro occasionale – di cui all’art. 54 bis del decreto-legge n. 50 del 2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 96 del 2017 – nei limiti di compensi di importo non superiore a 5.000 euro per anno civile”.
A proposito appunto di chiarezza, non per avvocati o giudici, ma per comuni cittadini: un periodo, il secondo, di 88 parole; una sequenza di “nonché”; gli incisi; le citazioni di legge all’interno del testo. Tutti fattori di complicazione inutile.
E il Governo?
“Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche agli atti di cui all’articolo 9, commi da 3-bis a 3-sexies, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, e alle ingiunzioni di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 emesse dagli enti territoriali, nonché agli atti di cui all’articolo 1, comma 792, della legge 27 dicembre 2019, n. 160”
Questo l’art. 68 comma 2 del recente Decreto “Cura Italia”, citato a questo proposito da Sergio Rizzo su “Repubblica” del 20 maggio scorso. A parte la facile ironia su un regio decreto del 1910, c’è da chiedersi:
– accettata la complessità della materia, un cittadino comune, dotato di buona conoscenza della lingua italiana, con un discreta cultura, ha il diritto di capire? E qui ci riesce?
– perché per capire una norma è necessario consultare serie di Gazzette Ufficiali o ricorrere a una ricerca seriale sul web?
– è davvero impossibile scrivere in un linguaggio chiaro, trasparente, semplice?
– può essere che una legge scritta male sia una cattiva legge? (e viceversa?)
Sono le domande che si pone anche l’Ombudsman (Mediatore) Europeo. In un articolo dal titolo “Un linguaggio chiaro significa un governo migliore?, Emily O’Reily si chiede:
“Firstly: Is poor communication undermining trust in government? YES. Secondly: because government is a complex business, can we reasonably expect to be kept informed in clear language? YES”
“Primo: la comunicazione povera sta minando la fiducia nei governi? SÌ. Secondo: poiché governare è una questione complessa, possiamo ragionevolmente aspettarci di essere tenuti informati con un linguaggio chiaro? SÌ.
Domande nette, risposte chiare.
“Plain italian”?
È davvero il tempo, anzi sarebbe anche tardi, per costruire un modello concreto di “plain italian”. D’accordo, sono due parole inglesi e fa specie usarle per spiegare come dovrebbe essere l’italiano. È che gli anglosassoni ci sono arrivato un po’ prima di noi (anni ’70) a fondare un movimento che spingeva le pubbliche amministrazioni e il mondo legale a usare un linguaggio “piano”, cioè semplice e chiaro. Il “plain language” o “plain English” è da tempo un dato acquisito.
Basterebbe andare a prendere, tanto per fare un esempio, una polizza assicurativa inglese e fare il confronto con quelle – pur migliorate – italiane.
Basterebbe però anche ricordarsi di come è scritta la nostra Costituzione, dove su 1357 lemmi solo 355 sono estranei al vocabolario di base, come ricorda Francesco Caringella in un recentissimo volume (Scrivere per vincere. I segreti della scrittura giuridica, Dike Giuridica), che verrà presto presentato da Deloitte Legal con il nostro Alessandro Lucchini. Insomma, se vogliamo abbiano anche esempi positivi a casa nostra. Esempi, ma non una pratica comune e diffusa.
Si può fare?
Si può cioè far partire un movimento che anche in Italia induca tutte le parti coinvolte a scrivere in modo chiaro, semplice, trasparente?
La speranza c’è se ci si muove tutti insieme. Il passo in avanti proposto da Valentina Mattei è importante. In ordine sparso anche altri si stanno attrezzando: nella Pubblica Amministrazione, specie e a livello periferico, alcune Compagnie assicurative o Istituti bancari. Occorre raggiungere forse una “massa critica” di opinioni. Che è ciò che anche noi ci proponiamo e con le attività di formazione e di consulenza nei nostri corsi dedicati al linguaggio giuridico.
Quindi si può fare? Sì, è la semplice risposta.
Alcune parole chiave.
Ricerca in primo luogo: studio di casi, metodologie, esperienze all’estero.
Processo. Per individuare le modalità più efficaci per raggiungere l’obiettivo.
Misura. È necessario definire i parametri per misurare la comprensibilità di un testo.
Servizio. A disposizione per aziende, professionisti, istituzioni che vogliono a loro volta migliorare il proprio servizio ai clienti e ai cittadini.
Palestra. La Palestra della Scrittura è un “continuo imparare”. Chi ha voglia di dare il suo contributo di idee:
lorenzo.carpane@palestradellascrittura.it
Per chi ha voglia di approfondire.
Un libro, il nostro Scrivere diritto.
I nostri corsi dedicati alla semplificazione del linguaggio giuridico e amministrativo.
Il nostro contatto: mara.lombardi@palestradellascrittura.it
- On 9 Luglio 2020