
L’emozione non ha voce…ah no?
7 consigli per passare dalla quantità alla qualità dello scambio
di Gabriella Rinaldi
L’emozione non ha voce, cantava Celentano. Non sarebbero d’accordo gli autori di InsideOut, il fortunato film di animazione Disney Pixar che attribuisce a ciascuna delle principali emozioni una voce e una personalità ben precisa.
Se fino a qualche tempo fa pensavamo a noi esclusivamente come esseri logici e razionali, ultimamente abbiamo iniziato a valutare positivamente il ruolo delle emozioni nella nostra vita quotidiana e nella comunicazione. Nella ricerca di un contatto più reale col reale, stiamo imparando ad ascoltarci di più e a riconoscere che ciascuna delle emozioni possiede una voce tutta sua che ci fa interagire col mondo.
Un processo di comunicazione efficace, ad esempio una pubblicità che ci colpisce, riesce ad attingere sia alle motivazioni razionali che a quelle emozionali: fornisce dati, informazioni rilevanti e caratteristiche concrete, ma è anche in grado di trasmettere qualcosa in più e di gestire i principali pregiudizi (bias) cognitivi che influenzano il nostro atteggiamento.
Pensiamo anche alla rappresentazione dei dati (data visualization). Tendenzialmente, se non siamo specialisti, ci riesce difficile decodificare il dato per inserirlo in un contesto di riferimento. Oggi, invece, con l’aggiunta di elementi grafici il dato diventa accessibile, rilevante e di facile comprensione per tutti. Un esempio virtuoso su tutti è quello di Giorgia Lupi, la designer delle informazioni che con espedienti grafici semplici e immediati ci fa innamorare delle sue rappresentazioni e ci guida nella comprensione di fenomeni complessi.
Non è un caso se al marketing si sta affiancando il neuromarketing che, attraverso lo studio dell’attività cerebrale consente di cogliere gli impulsi inconsci e irrazionali che guidano il processo di acquisto, oppure i processi intrinseci che stimolano l’idea positiva di un brand e lo rendono rilevante.
In altre parole, le emozioni modificano le risposte nel presente e completano il quadro di motivazioni che ci spingono ad agire, a comprendere.
L’aggiunta della componente qualitativa a quella quantitativa trasforma la fredda transazione di informazioni un vero e proprio scambio di valore, cioè la condivisione di un dono così com’è inteso nell’etimologia della parola comunicazione (cum+munus).
Come? Ecco sette consigli per passare dalla quantità alla qualità dello scambio:
1. prendersi un momento per ascoltare le nostre emozioni e dare loro un nome
2. riconoscere cosa prova chi ci ascolta per instaurare una comunicazione “accordata”
3. imparare a fare le domande giuste
4. adeguare lo stile di comunicazione in base alle situazioni e ai clienti
5. reagire in modo misurato e proattivo a seguito di uno scontro con amici, colleghi e clienti
6. offrire il proprio contributo alla crescita delle persone coinvolte nello scambio
7. fare anche un po’ di più del dovuto con gratuità e generosità
Riformulo: ecco sette consigli per creare relazione, quella vera che mette in moto le cose e se ne prende cura.
Volete saperne di più su come creare relazione nello scambio?
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I percorsi che proponiamo variano da quelli classici, che potete trovare qui, a quelli progettati sulle esigenze specifiche, cioè sulla definizione dell’obiettivo finale e dell’intero percorso.
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- On 14 Luglio 2020