Francesco Francica: appunti di viaggio e di triage
Storie di vita e di relazioni umane, raccontate da un infermiere professionista.
di Lorenzo Carpané
Complessità, organizzazione, priorità, umanità, precisione, fatalità… Concetti, astrazioni, definizioni. Crediamo di poter affrontare così la vita, cercando ogni volta di spiegarla; e cerchiamo di farlo anche per il lavoro, definendo procedure, obiettivi e metodi, schede e moduli. E va bene: possiamo farlo, lo facciamo tutti perché razionalizzare è uno dei modi che noi esseri umani abbiamo per capire il mondo, la vita, il lavoro. Ma non è l’unico.
Perché, banalmente, la vita è fatta anche di altro: di emozioni e di sentimenti, di relazioni. E tutto questo, in un trattato, in un saggio, in un mansionario non può uscire: esce solo quando ci si mette in gioco, quando si racconta e ci si racconta. Tanto più in situazioni in cui l’umanità è vissuta nei momenti più difficili, insieme più intimi e più esibiti, quando massimo è il bisogno degli altri, quando massimo è il bisogno di sentirsi addosso l’affetto altrui: e questo succede quando si sta male e si va al pronto soccorso.
Bene o male, almeno una volta nella vita l’abbiamo provato tutti di trovarci nel bisogno di un immediato soccorso; bene o male tutti siamo stati almeno una volta pazienti o malati bisognosi di cura e sappiamo cosa voglia dire. E tutti abbiamo almeno una storia da raccontare: la nostra o di un nostro caro.
Ma la nostra storia si può vedere anche da un altro punto di vista, quello di chi sta la di là del vetro dell’accettazione, di chi ci ascolta quando arriviamo magari impauriti e tesi, oltre che doloranti, al pronto soccorso. Quando ascoltarci e mettersi in relazione con noi può non essere facile: ce lo raccontano sempre tutti coloro che partecipano ai nostri corsi sulla comunicazione in pronto soccorso.
In quelle occasioni escono sempre storie di vita, di relazioni umane, escono sempre racconti che ci toccano, ci fanno commuovere, a volte ci fanno anche sorridere, oppure anche arrabbiare. Ci muovono; non ci lasciano indifferenti.
E tutto questo si legge anche nei racconti che Francesco ha scritto, mettendo nero su bianco le sue esperienze di infermiere al pronto soccorso. Racconti pieni di umanità: la sua, che osserva, recepisce, sente; e quella delle persone che la vita catapulta al pronto soccorso. E con le quali, tutte, cerca di trovare una sintonia, che prima di tutto agisce sul linguaggio. Ci viene facile dire: l’avevamo detto che era importante! Ci abbiamo fatto pure un libro sul Linguaggio della salute.
E lo stiamo dicendo e praticando che la narrazione è un veicolo fondamentale di comunicazione.
Francesco ha fatto tutto questo, non da narratore professionista, ma da professionista che vede, ascolta e soprattutto «sente» dentro di sé: e quindi narra. E narrando ci trasmette anche il senso profondo dell’umanità che soffre ma che anche gioisce.
Francesco è pur sempre un professionista, un infermiere: dentro i suoi racconti noi possiamo leggere anche delle indicazioni di metodo, procedure, obiettivi… Perché appunto dentro la narrazione c’è spazio anche per la razionalità, c’è spazio per la comprensione e la spiegazione delle cose.
E c’è spazio non solo per capire il presente o il passato, ma per progettare e immaginare il futuro. Quando entro dentro le storie Giovanni, di Anna, di Vincenzo e di tutti gli altri personaggi di questi racconti, io vedo non solo la loro storia, ma anche la storia ideale della loro vita e del pronto soccorso.
Insomma, queste storie di Francesco, che nascono dalla vita, alla vita ci riconducono: alla vita a tutto tondo, con le sue contraddizioni, con le sue debolezze con i punti di forza. E dopo che le abbiamo lette ci danno l’idea di avere capito qualcosa di più di noi, di come siamo, di come comunichiamo; di come possiamo essere e come possiamo comunicare.
- On 21 Settembre 2012