
Il gioco del silenzio, poi quello dell’ascolto
Intervista a Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer Glickon
di Alessandro Lucchini
Il gioco del silenzio era (e forse è) l’escamotage degli adulti per tenere buoni bambini e bambine. Come dimenticarlo: era un silenzio di timore che ti teneva incollato o incollata alla sedia, mentre tu avresti solo voluto correre fuori a giocare. Un silenzio reprimente, oltre che opprimente.
Ma c’è silenzio e silenzio, a qualunque età. Esiste anche il silenzio che ti accarezza e ti invita a restare nello spazio e nel tempo, con serenità e leggerezza. Questo tipo di silenzio coinvolge, crea sintonia e innesca il gioco dell’ascolto. Il contrario di re-primere: il pensiero si calma e trova spazio per esprimersi.
Ne parliamo con Carlo Rinaldi: Chief Marketing Officer Glickon, musicista e direttore di coro, nonché amico di Palestra della scrittura e co-autore del libro Due orecchie e una bocca.
– LISTEN è l’anagramma di SILENT. È più di un gioco linguistico, vero? Quale lezione possiamo trarne?
Non c’è ascolto senza pausa, silenzio, predisposizione e direzione verso l’altro. Ma è vero anche il contrario: ascoltare significa farsi specchio, assimilare quanto l’altro ha da dirci e restituirlo. La differenza la fa sempre la sensibilità, intesa proprio come capacità di sentire e di dare senso. La capacità di vestirci con i panni dell’altro o walk in their shoes, – come dicono gli inglesi – costruendo un ponte fatto di coinvolgimento tra ascolto e silenzio.
Nell’ascolto e nel silenzio si gioca a creare uno spazio. Non esiste suono senza uno spazio in cui questo possa essere sviluppato. Il suono è una vibrazione in un mezzo fisico, quindi nel vuoto non può propagarsi. Così come quando c’è un vuoto di ascolto: non c’è trasmissione. Come a dire che il vuoto è ben diverso dal silenzio.
– Qual è l’atteggiamento più proficuo per un ascolto davvero efficace? Ci sono accorgimenti pratici? La tua passione ed esperienza musicale che cosa ti ha insegnato su questo?
Proficuo è un termine che non mi piace, perché sottintende un guadagno e non dobbiamo porci in ascolto dell’altro con l’aspettativa o la speranza di ricavare un profitto. Pochi giorni fa parlando con una giornalista mi sono convinto del fatto che dobbiamo scegliere se essere roccia o essere fiume: se porci verso l’altro e verso il cambiamento con negatività, opponendo una strenua resistenza, come una roccia, oppure se scorrere come un fiume, accogliere le acque che si immettono in noi e cambiare, continuamente, come un flusso. Questo, credo, è l’atteggiamento migliore che possiamo avere quando vogliamo ascoltare: essere come un fiume.
Da musicista posso dire che si ascolta con tutto il corpo. Mi dirai, nulla di nuovo. Certo, ma quando si riesce a far sì che il corpo sia lo spazio, ospite, è lì che si libera il flusso (lo dico anche da meditatore). È lì che dietro ad ogni respiro c’è qualcosa che è pronto a generarsi e a generare.
– Si ascolta con le orecchie, ma anche con gli occhi, con le mani, con tutto il corpo. In presenza, e ancora di più a distanza. La postura abilita le domande. Consigli per questo?
Sì, la comunicazione non verbale è tanto importante quanto quella costruita sulle parole. È un piccolo gioco fatto di accorgimenti ed esperienza. Ciascuna persona dovrebbe capire per sé -vivendo e ascoltando la comunicazione non verbale degli altri – lo stile comunicativo da adottare.
In pandemia abbiamo imparato a guardare la webcam durante un meeting e questo equivale a rivolgere il nostro sguardo negli occhi dell’interlocutore. Ecco, partendo da questi piccoli accorgimenti possiamo costruire il nostro stile comunicativo non verbale. Non basta annuire, serve cercare l’intesa.
Quando pratico la tecnica vocale, parlo spesso di una postura specifica del canto: il twang. Nel canto moderno la bocca deve stare atteggiata a sorriso, i denti in evidenza, gli zigomi alti, gli angoli della bocca diretti verso l’esterno e verso l’alto, la lingua alta. Tutto questo crea presenza partecipata, oltre che condivisa. Si crea un ascolto che avviene attraverso tutto il corpo.
Perché “sento” di poter fare domande ad alcune persone e ad altre no? La mia risposta è nel twang! 😊
– Quando abbiamo ascoltato bene una domanda, possiamo rispondere bene. E se non abbiamo la risposta? Se non possiamo/vogliamo/rispondere, che fare?
Semplice: fare una domanda. Non ho capito è la frase più intelligente che potrete dire, sempre. Fate domande, chiedete, andate in fondo alle cose, start with why. Perché non sento di voler o poter rispondere? Questa cosa, la studiavo recentemente, si chiama psycological safety. La sicurezza psicologica è il grado di diffidenza o fiducia nei confronti delle altre persone del team di lavoro. Quanto più i rapporti interpersonali sono caratterizzati da supporto, chiarezza nella definizione dei ruoli e condivisione delle informazioni, tanto più sarà facile creare un ambiente lavorativo psicologicamente sicuro. È qualcosa che va creato, una postura.
– Da musicista, da ingegnere, da tecnologo, e da manager, un consiglio ai ragazzi per allenare questa risorsa fondamentale che è l’ascolto?
Non fermatevi alle apparenze, mettete sempre in dubbio, applicate senso critico e scardinate le vostre certezze. Una persona che lavorava da Google, in California, mi raccontava che avevano un budget per celebrare i rischi (e i fallimenti), quindi per allenare l’ascolto. Ma cosa c’entra l’ascolto col rischio o con il fallimento? Mi rifaccio al modello di Lencioni in cui personalmente credo tanto.
Secondo questo schema infatti è possibile allenare la cultura:
1. del rischio (che apre alle vulnerabilità)
2. del psychological safety (che permette di costruire fiducia)
3. del candid debate (che vince l’artificial harmony)
4. dell’healthy confilct (che porta ad avere one voice)
5. del 100% commitment (che porta a un completo buy-in)
6. dell’accountability (che porta a risultati come team)
Questo semplice modello aiuta a costruire una voce sola, una voce armonica, un codice ben scritto, una comunicazione efficace.
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Carlo Rinaldi è Chief Marketing Officer presso Glickon, musicista e direttore di coro. È laureato in Ingegneria informatica al Politecnico di Milano e ha maturato negli anni una grande esperienza in aziende tecnologiche come Microsoft. È specializzato in ad-technology data-driven e ha lavorato come direttore marketing e innovazione per società di media internazionali. Il suo racconto fa parte delle testimonianze raccolte nel libro Due orecchie e una bocca. In occasione della presentazione del libro ha condiviso col pubblico che quando ascolta le persone nella direzione d’orchestra, nella direzione corale e sul lavoro, si sofferma sulla partitura personale di ciascuna, alla ricerca del tempo armonico. Perché tutti noi siamo vibrazioni armoniche e tutti gli esseri umani sono votati all’armonia.
- On 4 Maggio 2022