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Dario Fo, l’ultimo dei giullari

di Nicola Parzian

Dario Fo rappresenta senz’altro una delle figure più controverse del teatro italiano del secondo dopoguerra. Un autore-attore molto noto alle cronache che evoca commedie dai titoli paradossali, scandali televisivi, satira dura contro i politici, polemiche e arresti. Un comico che non ha mai fatto parte della cultura alta, ma che ha cavalcato fino all’ultimo l’agitazione degli anni Settanta continuando poi ad utilizzare questa sua comicità contro chi comanda.

In cinquant’anni di carriera ha pubblicato una cinquantina di farse e di commedie, ha diretto film, ha firmato più di ottanta regie teatrali e liriche sui palcoscenici di tutto il mondo, ha prodotto un numero imprecisato di quadri, disegni e testi di canzoni. E’ però anche finito decine di volte in tribunale, oggetto di almeno quaranta processi per diffamazione, per offesa a pubblico ufficiale, al governo e allo Stato italiano.

Dal momento della rottura, nel ’68, con il cosiddetto teatro borghese e poi con il PCI e le sue organizzazioni di base, il teatro di Fo fu messo a dura prova, destinato, secondo i più, a dover tornare nei ranghi in poco tempo. Invece la sua vena creativa fiorì e diede vita ad opere che lo resero uno dei grandi della scena mondiale.

Il primo capitolo riassume brevemente la vita di Dario Fo, mettendo in luce le opere più rappresentative della sua produzione, il rapporto altalenante con il mezzo televisivo, ma anche evidenziando le lotte delle quali si è reso protagonista, prima fra tutte la scelta di una progressiva autonomia dai circuiti teatrali convenzionali, sia quelli borghesi sia quelli affiliati all’ARCI. Questo lavoro si concentra, però, sulle due opere che mettono maggiormente in luce il suo estro attorico e la sua verve polemica: Mistero buffo e Morte accidentale di un anarchico.

Mistero buffo

Il secondo capitolo analizza Mistero buffo, che sviluppa e approfondisce la ricerca sulle origini della cultura popolare. Questo spettacolo vuole opporsi alla storiografia ufficiale, nella quale l’aristocrazia prima e la borghesia poi raccontano, dal proprio punto di vista, le imprese dei loro “eroi”. In Mistero buffosi pone concretamente la necessità insostituibile di conoscere «da dove veniamo» per sapere «dove andare», mettendo così in luce la dinamica della lotta di classe. Dario Fo mostra allora come nel passato della storia del popolo esistevano momenti estremamente avanzati di autorganizzazione sociale gestita secondo i principi di un comunismo primitivo. Egli vuole restituire al popolo la cultura che gli è stata sottratta, rifacendosi al principio gramsciano secondo il quale la cultura è il quinto dito della lotta operaia (1). Nel capitolo sono state analizzate le principali giullarate che compongono Mistero buffo, sia dal punto di vista della loro messa in scena, sia dal punto di vista della portata ideologica che vogliono trasmettere al pubblico.

Una posizione di rilievo è riservata alla rilettura di Rosa fresca aulentissima. InMistero buffo Dario Fo dedica la sua attenzione anche a questo classico della letteratura italiana mostrandone l’estrazione prettamente popolare. Servendosi delle ricerche svolte da Paolo Toschi e Vincenzo De Bartholomaeis l’attore tiene una vera e propria lezione costituita da una confutazione globale delle abituali letture del “Contrasto” di Cielo d’Alcamo. Il pezzo si interroga su chi parla e su chi riceve le battute per mettere a fuoco mittente e destinatario, un gabelliere e una sguattera. La rilettura di Dario Fo, pur non innalzandosi al livello della critica letteraria, fornisce senza dubbio degli affascinanti spunti di riflessione.

Morte accidentale di un anarchico

Il terzo capitolo si occupa di Morte accidentale di un anarchico, spettacolo che ripercorre i fatti relativi alla misteriosa morte del ferroviere anarchico Pinelli. Spinto dalla necessità di colmare il vuoto d’informazione che nei primi anni ’70 si era venuto a creare intorno a questo caso, Fo scrisse questo testo che rifletteva le proteste e la rabbia del momento diffuse negli ambienti della sinistra extra-parlamentare. L’Anarchico rappresentò immediatamente un violento “pugno allo stomaco del potere”, soprattutto perché venne messo in scena in un periodo nel quale chiunque osasse insinuare che Pinelli “era stato suicidato”, veniva immediatamente denunciato. In questo spettacolo Fo impersona un matto che, vestendo i panni di un giudice, interroga gli autori del “defenestramento” mettendo così in luce tutte le contraddizioni nelle quali le forze di polizia erano cadute durante gli interrogatori e i processi ufficiali. Nell’analisi prenderò principalmente in considerazione i collegamenti tra la messa in scena e i fatti di cronaca, basandomi in primo luogo sul volume La strage di stato. Controinchiesta (2), principale fonte della farsa.

Così come il giullare ricopriva nel passato un’importante ruolo culturale, in questi due spettacoli si nota l’aspirazione di Fo a ricalcare la medesima funzione nel contesto sociale e politico degli anni Settanta.

26 maggio 2007

Leggi la tesi


Note

(1) Questo concetto viene ripetuto molto spesso, soprattutto nel periodo ’68 – ’70. Fo espone chiaramente il suo pensiero durante il dibattito dopo una rappresentazione di Mistero buffo: «Per uno sfruttato, conoscere la propria storia, come è arrivato ad essere sfruttato, quali sono le ragioni, i perché, i metodi che il padrone ha imposto per lo sfruttamento, è determinante a una lotta di classe. È un momento della cultura. Cultura – dice Gramsci – è il quinto dito per la lotta operaia.» cfr. L. Binni, Attento te…! Il teatro politico di Dario Fo, Verona, Bertani, 1975, pp. 240 – 243.

(2) E. M. Di Giovanni M. Ligini e tanti altri compagni e compagne, La strage di Stato. Controinchiesta, Cles, Libera informazione editrice, 1993.

  • On 19 Settembre 2012
Tags: Comunicazione, dario fo, scrittura professionale, umorismo
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