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Ascoltare la scrittura

di Lia Giovanelli

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.
(Chuck Palahniuk)
Sono sicura che questa frase piace molto ai miei amici della Palestra della Scrittura che tanto si dedicano, in pensieri parole ed opere, all’ascolto.

Palahniuk, per esempio, che non è tra i miei scrittori preferiti anche se apprezzo i “minimalisti” americani, è uno scrittore che non deve essere solo letto: deve essere anche ascoltato. Per lui, come per tanti altri autori classici e moderni, non basta far scorrere gli occhi da sinistra a destra sulla pagina di un libro, cosa purtroppo vera per la maggior parte di quello che leggiamo, ma anche gli altri sensi vengono coinvolti, in particolare l’udito.

Innanzitutto Palahniuk inserisce spesso, nei suoi romanzi e racconti, la voce del narratore, che entra nei dialoghi tra i vari personaggi offrendo altri e diversi punti di vista (a volte sinceramente molto particolari e strani, quelle frasi che fanno girare la testa verso chi le sta pronunciando, per capirci). Nella sua scrittura sono presenti interruzioni improvvise, ripetizioni ad effetto come petardi… odia gli avverbi e altre particelle che possono rallentare il ritmo del periodo… e poi enfatizza le parole, facendo risuonare le frasi, come campane, come echi lontani, o come fucilate!!
Il risultato, che rasenta a volte il grottesco, è efficace, asciutto, diverso, sicuramente sonoro.
Fine del momento Palahniuk, che ho preso solo ad esempio per entrare in argomento “ascoltare la scrittura”.

Fateci caso e provate a pensare alle vostre letture.
Se amate leggere racconti e romanzi, poesie, diari, lettere e biglietti, e da qualche anno anche messaggini e mail, quello che vi verrà in mente ora non è solo quello che avete visto con gli occhi scorrendo le frasi, ma il ricordo è un po’ più profondo, tipo “occhi della mente”, e quindi associamo alla lettura profondità, pause, respiri e sospiri, incertezze e sorrisi e risate, smorfie di dolore e attese e promesse (più o meno realizzate o infrante!).
E poi fruscii, passi familiari, vicini e lontani, rumori improvvisi come porte che sbattono e cuori che battono… insomma un orizzonte di suoni che abbiamo ascoltato leggendo.

Qualunque cosa leggete e apprezzate ha sicuramente una componente di ascolto.
Due esempi, anzi tre, per tutti i gusti e le età.
Quando da piccoli eravate immersi nei duelli de I tre moschettieri sentivate con chiarezza il rumore delle spade che si incrociavano. E leggendo Moby Dick come non sentire tutta la forza del mare sbattere contro i fianchi della baleniera Pequod e la voce tonante del capitano Achab sul cassero della nave.
E quando, con le lacrime agli occhi abbiamo capito che per Anna Karenina non c’era altra possibilità che la morte, la confusione della stazione, l’arrivo e lo sferragliare del treno, gli sbuffi della locomotiva… suoni e rumori così presenti!

In tempi recenti Alessandro D’Avenia (grande rispetto per i suoi due milioni di copie vendute per tre romanzi, e un quarto libro in classifica da ottobre, L’arte di essere fragili, Mondadori) ci insegna come ascoltare Leopardi e provare a maneggiare i sentimenti che le parole ci provocano.
Facile – stiamo pensando tutti – ascoltare Leopardi … la ginestra… ma è D’Avenia che ha messo in fila i pensieri sull’ascolto della poesia del “Giovane favoloso”.
«Mi faccio guidare dai classici. Dalla grande letteratura, che ha saputo dare nome alla vita.
E dalla grande poesia che non copre le contraddizioni ma cresce con esse.»

E questo invito alla grande letteratura che ha saputo dare nome alla vita mi porta direttamente al cuore dell’ascoltare la scrittura.
Un grande, tra i più grandi e amati scrittori del ’900, Italo Calvino, ci esorta a leggere i classici.
In un articolo scritto per L’Espresso, pubblicato il 28 giugno 1981 e intitolato: Italiani, vi esorto ai classici Calvino illustra la sua concezione di “classico” che ripropone poi nel libro “Perché leggere i classici”, (Mondadori, 1995).
Per rispondere a questa domanda usa uno schema, una serie didascalica di 14 definizioni. La prima dice I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”, mentre per l’ultima “Un classico relega l’attualità al rango di rumore di fondo, ma di questo rumore di fondo non può fare a meno, ed è classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona”.
Leggiamo i classici dunque, con l’orecchio teso ai rumori di fondo.

Calvino scrive anche in proposito uno strano racconto dal titolo Il re in ascolto.
Questo è l’incipit:

“Lo scettro va tenuto con la destra, diritto, guai se lo metti giù, e del resto non avresti dove posarlo, accanto al trono non ci sono tavolini o mensole o trespoli dove tenere, che so, un bicchiere, un posacenere, un telefono; il trono è isolato, alto su gradini stretti e ripidi, tutto quello che fai cascare rotola e non si trova più.”

Come spesso nei racconti di Calvino l’atmosfera è surreale, ma non estranea, e la straordinaria capacità di questo scrittore è proprio farci sempre partecipare, anche all’assurdo.
Questo povero re (l’immagine del trono è davvero efficace), vive in un castello che è la metafora di un grande orecchio, con padiglioni e labirinti, timpani e chiocciole. Seduto sul trono solitario, sorveglia e controlla i suoni e i rumori che appartengono al suo mondo, il mondo del suo potere.
Ma i suoni, i rumori e le voci che ascolta non hanno vita, non hanno niente a che vedere con la voce che “mette in gioco l’ugola, la saliva, l’infanzia, la patina della vita vissuta, le intenzioni della mente, il piacere di dare una propria forma alle onde sonore”.

Ma poi capita… capita… per forza capita che una notte di insonnia (il potere non dà mai tregua!!), arrivi anche al povero re una vera voce di donna, una voce di donna che canta, una voce unica… e proprio questa voce, finalmente, lo distoglie dalla sua ossessione e inizia ad ascoltare la vita.

“Quella voce viene certamente da una persona, unica, irripetibile come ogni persona”, ci dice infatti diligentemente Calvino, che è proprio lì che ci voleva condurre.

Quante voci abbiamo nella nostra memoria, le più care, le più dolci… le voci che ci parlano per arrivare al cuore, per arrivare alla mente, per colpirci nell’anima.
Riconosciamo al primo respiro, al primo suono quelle che davvero vanno ascoltate, quelle che vogliono “comunicare” e lasciare una traccia, e sempre ne siamo affascinati.
E quante invece non riescono ad emergere dal frastuono indistinto, dal chiacchiericcio superficiale e inutile, oppure emergono solo per cercare di prevalere su altre voci.

Il nostro povero re, ormai meno povero perché finalmente, con l’ascolto di una voce vera, il suo cuore si è aperto al mondo, ci propone però un grande incoraggiamento.
Solo mettendoci in ascolto, in ascolto vero e fuori dalle logiche del potere e della prevaricazione, possiamo cogliere il piacere e il gusto di sentire le nostre parole che dialogano con le parole degli altri, il piacere di dare una propria forma alle onde sonore.

Calvino si era molto affezionato al tema dell’ascolto, tanto che questo racconto è stato poi, dallo stesso scrittore, riadattato in libretto d’opera e musicato dal compositore moderno Luciano Berio. Rappresentato prima a Salisburgo e poi a Londra, è stato anche poi rappresentato al Teatro alla Scala di Milano.

 

Quante volte, per cambiare vita, abbiamo bisogno della vita intera,
pensiamo lungamente, prendiamo la rincorsa e poi esitiamo, poi ricominciamo da capo, pensiamo e ripensiamo, ci spostiamo nei solchi del tempo con un movimento circolare, come quei mulinelli di vento che sui campi sollevano polvere, foglie secche, quisquilie,
che per molto di più non gli bastano le forze,
sarebbe meglio se vivessimo in un paese di tifoni.
Ma certe volte una parola basta.

José Saramago, La zattera di pietra

  • On 10 Giugno 2020
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