Gli sdraiati, di Francesca Archibugi
di Chiara Lucchini
Quando un titolo generalizza che più non si potrebbe, e invece il racconto è una storia individuale, che sa mettere in luce i punti di vista diversi, e i linguaggi diversi, astenendosi da giudizi frettolosi e inutili. Un modello utile anche per la narrazione d’impresa.
Dal romanzo al film
Francesca Archibugi e Francesco Piccolo adattano per il grande schermo il romanzo di Michele Serra Gli sdraiati (2013), ispirandosi solo in parte all’opera letteraria. Chi sono gli “sdraiati” del titolo? Gli adolescenti di oggi, che i genitori osservano mentre, stesi sul divano o sul letto, sembrano interessati solo allo smartphone. Il romanzo di Serra era quasi una riflessione interiore: un padre racconta il suo rapporto con il figlio ed esprime il suo giudizio su un’intera generazione, che definisce, appunto, “sdraiata”. Romanzo ironico, storia di rabbia, amore e malinconia.
Il film della Archibugi parte da questo ma allarga il racconto, mostrando anche il punto di vista del figlio adolescente e dei suoi amici: il film si arricchisce di storie, personaggi, situazioni.
Un padre e un figlio
Giorgio Selva (Claudio Bisio), famoso giornalista televisivo, è separato dalla moglie Livia da sette anni, e da sette anni non le parla. Hanno un figlio diciassettenne, Tito (Gaddo Bacchini), che trascorre metà del tempo a casa dell’uno e metà a casa dell’altro.
Tito ciondola tra casa e scuola in compagnia di un gruppo di amici, tutti maschi, fino a quando nella sua vita non irrompe Alice, che gli fa scoprire l’amore. Alice è la figlia di Rosalba, che in passato ha fatto la cameriera a casa di Giorgio e Livia, e con la quale Giorgio ha avuto una relazione. Giorgio nutre il dubbio che Alice possa essere sua figlia.
Il rapporto tra padre e figlio è complicato, la comunicazione difficile. Tito si sente oppresso dal padre che lo marca stretto e che gli chiede di rispettare le basilari regole della convivenza, come ritirare lo yogurt iniziato, spegnere la luce, chiudere i cassetti, chiudere il dentifricio altrimenti si secca.
Giorgio cerca intimità con il figlio, da tempo lo invita a fare una passeggiata con lui in montagna, ma il figlio non ci vuole andare. Solo alla fine, dopo aver perso una scommessa con gli amici, Tito dovrà accompagnare il padre in quella passeggiata: in quel paesaggio montano si chiude il film, con padre e figlio che si parlano, si cercano, si perdono e si ritrovano.
Accanto ai due protagonisti, Giorgio e Tito, ci sono la ex moglie Livia, la ex amante Rosalba, una possibile e futura amante (la barista della Rai), un ex suocero che per Giorgio è diventato un amico e per Tito è un nonno comprensivo e complice.
Ci sono poi gli amici di Tito, una comitiva molto legata e rumorosa, che irrompe in casa di Giorgio, aprendo con un mazzo di chiavi proprie, e che rischia di disgregarsi quando Tito frequenta Alice.
Due mondi distinti
Quando il protagonista è Giorgio, i temi sono quelli dei padri che non sanno come comportarsi, sospesi tra sensi di colpa e scatti d’ira; quando al centro c’è Tito, emerge da un lato il menefreghismo, dall’altro una grande fragilità e un grande bisogno di affetto, e forse anche di regole, e poi i primi amori, le gelosie tra amici, gli equilibri di gruppo difficili da rispettare.
È una commedia dalle sfumature drammatiche che racconta le difficoltà di comunicazione tra adolescenti e adulti, in cui i primi trovano consolazione negli amici e nei primi amori, mentre i secondi si rendono conto che i loro bambini stanno diventando grandi e che è ora di lasciarli andare.
Nel ruolo del protagonista Giorgio Selva, Claudio Bisio – che già aveva interpretato il personaggio a teatro, dove però veniva proposta una trasposizione più fedele al testo di Serra – si spoglia della sua tipica comicità, per impregnarla di un velo di ironia e malinconia. Giorgio è un uomo che cerca amore e comprensione, è un genitore sommerso dai sensi di colpa, dalla volontà di fare meglio, un marito che vorrebbe tornare indietro per non sbagliare e un amante che vorrebbe innamorarsi ancora.
Gaddo Bacchini, che interpreta Tito, e gli altri ragazzi del cast, sono bravi: riemerge in questo film la capacità di Francesca Archibugi di lavorare con gli adolescenti, come era accaduto già in Mignon è partita e più di recente in Lezioni di volo.
Una storia intima e individuale
Afferma la regista: «Il film non è generazionale. Non raccontiamo sensi unici, non generalizziamo mai quando raccontiamo una storia. È più il titolo di Michele Serra che rende il film generazionale, Gli sdraiati, ma io l’ho interpretato come un racconto individuale. (…) La mia è una storia intima e individuale dove però spero si senta il rombo della storia che passa. Certo sono le vicende di ragazzi viziati, ma non è colpa loro né colpa dei padri».
Il co-sceneggiatore Francesco Piccolo: «Volevamo raccontare i modi fragili dell’essere padri. Nel caso di Giorgio, lui è un padre in cerca di un’intimità senza rendersi conto che l’intimità con il figlio in realtà c’è, ma lui non la vede. È vero, il libro di Serra racconta il solo punto di vista di un padre su un figlio assente, io e Francesca abbiamo ribaltato tutto questo con un doppio giudizio, ovvero abbiamo aggiunto il punto di vista del figlio».
E Bisio: «Tutti abbiamo figli e siamo stati figli. Io ero un figlio degli anni Settanta e devo dire che mio padre non era uno stronzo, un fascista, ma solo un uomo tranquillo che fumava sempre la sua pipa in salotto. Quando dovevo chiedergli qualcosa entravo nella sua stanza e lui mi diceva solo sì o no. E questo senza dare spiegazioni. Esattamente il contrario del mio personaggio di Selva che sa di sbagliare, ma non ne può fare a meno».
Un racconto individuale, quindi. Una storia intima che si rivolge non solo ai padri, ma anche ai figli, protagonisti assoluti di questo racconto.
- On 20 Dicembre 2017