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La comunicazione in sanità (old)

Leggi la prima edizione de Il linguaggio della salute
Leggi un assaggio della nuova edizione

SIGNORA Io ho un dolore qui e al mattino viene pian pano, al pomeriggio diventa forte forte, la sera ritorna piano, e la notte ridiventa forte forte. Che sarà dottore?
MARDOCHEO Un pianoforte.
SIGNORA Ma come? Ho un pianoforte in petto?
MARDOCHEO Noialtri medici sintetizziamo i termini. La vostra malattia noi la chiamiamo malattia del piano forte.
SIGNORA E che cosa sarebbe?
MARDOCHEO E` il cuore che trovasi a contatto col velopendolo asciatico, gonfia i variscecoli e la moscia.
SIGNORA Ma io non ho capito nulla.
MARDOCHEO Nemmeno io.
NIK Vede, Signora, è la vera scienza. Non bisogna mai capire nulla.
MARDOCHEO Guai se l`ammalato capisse qualcosa! Allora i medici che ci starebbero a fare?


Aprire con una citazione di Totò può generare un sorriso, la migliore delle smorfie per cominciare.
Può creare benevolenza verso un tema che presenta qualche occasione di ilarità, accanto ad altre di complessità e di dolore.

Può costruire una base di simpatia per un tema delicato come la comunicazione sanitaria. Un tema in cui è facile adagiarsi sulle critiche di autoreferenzialità e supponenza della classe medica, e poi sciorinare la lista delle conseguenze cliniche, psicologiche, giuridiche, economiche e sociali. Più utile è sforzarsi di trovare i punti d’incontro, per facilitare l’alleanza tra gli attori in gioco.
E poi Totò è bipartisan. Non in senso politico; nel senso dei due schieramenti che il luogo comune vorrebbe contrapposti: i professionisti della salute da un lato, i pazienti dall’altro.

Iniziare con un po’ di umorismo può aiutarci ad avviare un ragionamento che vuole avvicinare, anziché contrapporre. 

LA RICERCA– I LIBRI

La nostra ricerca sulla comunicazione in sanità, avviata nel 2008, prende le mosse da cinque ragioni principali.

1) Un interesse ampio e trasversale. Nessuna scienza come la medicina coinvolge specialisti e profani, istruiti e non istruiti, abbienti e non abbienti, giovani e anziani. È vero che la spinta alla divulgazione comporta rischi di banalizzazione e di alterazione delle verità scientifiche: ma è altrettanto vero che il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione (art. 32), e che il consenso informato è riconosciuto oggi come il punto di partenza di ogni terapia. Tra l’altro il consenso informato sembra essere in buona parte sottovalutato dagli stessi operatori sanitari, presentato ai pazienti come poco più che una formalità, un obbligo di legge cui assolvere alla svelta («Firmi qui, per favore»), ma è una grande opportunità per entrare in comunicazione con il paziente.

2) Il vuoto formativo. Gran parte dei corsi di laurea in medicina ignora – o ha finora sottovalutato – l’importanza della comunicazione. Ancora di più i percorsi formativi degli altri attori di questo mondo: infermieri, personale amministrativo degli ospedali e degli enti pubblici che si occupano di sanità. Pochi i momenti d’aula dedicati ad apprendere come instaurare una buona relazione con i pazienti, con le loro famiglie, con gli stessi colleghi. E il breve tempo trascorso nei reparti è rivolto essenzialmente alla patologia, non al malato.

3) Un orizzonte che va oltre il lessico. Gli studi sul linguaggio medico hanno fatto centro finora sul lessico, ossia lo studio delle parole di questa lingua settoriale. Una lingua che maneggia nomenclature complesse, che crea in continuazione nomi nuovi, che rispecchia l’individualismo dei suoi utenti, tanto da registrare moltissimi nomi di patologie “marcati” dagli scienziati che le hanno scoperte, non può che generare quegli oltre 5.555 tecnicismi specifici in uno dei principali dizionari italiani (5,45% del totale). E trascuriamo qui i tecnicismi collaterali, parole legate non a necessità di precisione scientifica, ma all’abitudine di usare un registro diverso da quello comune. Ma il lessico non esaurisce i tratti rilevanti di una lingua settoriale, specie di una così ricca di conseguenze sulla salute delle persone. Ancora meno da quando la conoscenza viaggia in rete, a disposizione di tutti, con i rischi di cattiva interpretazione, e quindi di allarmismo o al contrario di sottovalutazione. Altri fattori linguistici sono in gioco: la struttura del messaggio, la sua tridimensionalità (titoli, titoletti, evidenziature, note, link…), le scelte di stile, l’equilibrio tra sintesi e approfondimento, o tra convenzionalità e stravaganza.

4) L’opportunità di coinvolgimento emotivo. Il linguaggio medico è per lo più freddo e spersonalizzato: sigle, tecnicismi, frasi senza verbo e quindi senza persona (e relativa assunzione di responsabilità), forme passive; oppure infiniti, gerundi e participi, che chiudono i significati anziché aprirli; al massimo, la foglia di fico di qualche velatura eufemistica, per attutire l’impatto di una cattiva notizia inaspettata. Tante sono le prove di questa volontaria neutralità emotiva, come se mantenersi asettici fosse la migliore garanzia di obiettività e di successo. È invece il contrario: la fiducia è un’emozione, si alimenta di fattori emotivi, come gli sforzi orientati alla reciproca comprensione, e genera altri fattori emotivi, come la credibilità, l’accettazione partecipe dell’autorevolezza, la lucida collaborazione e la costanza nel seguire la terapia, contro il disorientamento e le contraddizioni che accompagnano la sofferenza fisica. Guarire è più facile se il paziente sente emotivamente coinvolto chi si occupa della sua salute.

5) La terapia della scrittura. Un ruolo centrale nel nostro studio ha la scrittura. La scrittura può agevolare molto l’alleanza terapeutica, sia nella fase di anamnesi, sia nelle fasi di diagnosi, prognosi e terapia. Secondo uno studio inglese, in genere i medici interrompono l’esposizione dei sintomi da parte dei pazienti al 22° secondo; peccato, perché i pazienti, se possono parlare, concludono il racconto entro un minuto e mezzo, massimo due, menzionando spontaneamente il 75% dei sintomi: in genere, questi tre quarti di informazioni utili vanno persi. Secondo un altro studio il 36% dei pazienti non ricorda le indicazioni fornite dal medico a fine visita, e il 70% assume i farmaci in modo scorretto. Una visita che si concludesse con un breve report, sul modello delle riunioni aziendali, scritto in cooperazione da medico e paziente, moltiplicherebbe la propria efficacia.
Ancora: la scrittura è nostra alleata in questa ricerca perché la parola scritta è ferma, rimane, non vola, e quindi si può analizzare, sezionare, misurare e spostare con più facilità. Una frase scritta è come un pezzo meccanico sul banco di prova: puoi girarla per vedere come funziona meglio. E imparare quel che c’è da imparare.
Utile, qui, l’incoraggiamento da esempi vicini. Ogni settore ha infatti il proprio linguaggio: burocratese, banchese, scolastichese, informatichese. Ma in settori in cui il tecnicismo è stato per lungo tempo un ostacolo alla comunicazione tra i soggetti coinvolti, si sono registrati interessanti progressi negli ultimi anni. Nell’amministrazione pubblica, per esempio, è in atto uno sforzo di semplificazione non solo delle procedure, ma anche del linguaggio. Il Codice di stile del 1993, il Manuale di stile del ’97, la direttiva Frattini e il progetto Chiaro del 2002, il Manuale di scrittura amministrativa del 2003 sono esempi di un impegno di servizio alla cittadinanza, attraverso una comunicazione scritta comprensibile, lineare, non appesantita da sigle indecifrabili, frasi lunghe e tortuose, citazioni di norme (e con il paravento dell’esattezza formale spesso usato per non assumersi la responsabilità di una comunicazione trasparente, quindi impegnativa).
Analoghi sforzi, pur non risolutivi, si rilevano nella scrittura aziendale. Seguire quelle tracce, puntando al benessere collettivo, può essere ancora più utile in campo sanitario, dove il prezioso obiettivo comune è la salute. 


A chi è rivolta questa ricerca?

Questa ricerca è pensata per diversi destinatari:

  • Medici, psicoterapeuti, infermieri, professionisti sanitari e amministrativi operanti nel pubblico e nel privato: più di un milione di persone. Per loro potrà essere un aiuto a costruire relazioni più proficue con i loro interlocutori, non solo nei contesti critici (relazioni a congressi, pubblicazioni scientifiche, referti, lettere a colleghi), ma anche negli scambi quotidiani.
  • Studenti delle facoltà di medicina e delle scienze mediche in generale: circa 190mila persone. Per loro potrà essere un’occasione per coltivare, fin dall’inizio dei loro studi, un maggior interesse umano, oltre a quello clinico, verso i destinatari dei loro studi.
  • Professionisti che operano nell’industria farmaceutica e negli altri settori legati alla sanità: potranno trarne suggerimenti per salvaguardare le motivazioni etiche e “di servizio” della loro comunicazione, pur in una legittima visione “di profitto”.
  • Formatori, giornalisti e divulgatori di scienza, comunicatori e studiosi del linguaggio, che potranno apprezzare lo sforzo di concretezza nelle tecniche presentate come nelle esemplificazioni.

E sono altre centinaia di migliaia di persone.

E poi, tantissimi altri esseri umani che stanno attraversando periodi di malattia o che sono interessati a come possono superare quei periodi, anche con il supporto di una comunicazione più efficace. Persone che, sempre più critiche ed esigenti, vogliono partecipare attivamente alle decisioni sulla propria salute, vogliono essere informate, consultano internet, cominciano a scegliere gli ospedali in base alle specializzazioni. E sono davvero tante: negli ospedali italiani transitano ogni anno 21 milioni di persone – di cui 10 milioni malati lievi, 2 milioni malati gravi e 9 milioni visitatori e accompagnatori – tutte più o meno esposte a discorsi, avvisi, manifesti, referti, moduli e testi vari di difficile comprensione. Si considerino poi gli studi medici privati, le farmacie e gli altri luoghi in cui si concentrano le persone alle prese con disturbi di varia natura. Se sommiamo queste cifre abbiamo un’idea della portata sociale della comunicazione legata alla salute, e quindi della rilevanza di una riflessione sulle sue opportunità di miglioramento.

LA RICERCA – I LIBRI

Questa nostra ricerca è sfociata, nel 2009, nel primo libro Il linguaggio della salute e, a breve, avrà la sua evoluzione in una riedizione, integrata con tutte le esperienze che in questi 3 anni abbiamo maturato. 

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La parte A – Vox populi – presenta alcune indagini compiute tra pazienti e cittadini, per rilevare la percezione dei problemi di comunicazione esistenti.

La parte B – L’inchiesta – analizza i principali problemi emersi da quell’indagine. Passa in rassegna gli strumenti della relazione tra i vari attori del “teatro della salute”: bugiardini, consensi informati, cartelle cliniche, referti, screening, articoli giornalistici, pubblicità, siti web. Individua in questi strumenti gli aspetti che influiscono sul rapporto di fiducia in gioco, sia con i pazienti sia con le famiglie, tanto più oggi nella frizione tra un’aspettativa alimentata dai medici-eroi delle fiction televisive e il riscontro con una realtà non sempre corrispondente.

La parte C – Scenari – è il cuore del libro: situazioni di comunicazione legate alla salute in cui il linguaggio è determinante. Si tratta di racconti didattici: dopo l`analisi dei problemi, per proporre alcune soluzioni partiamo da casi, “scenari” appunto, in cui i lettori possano identificarsi. Come in un film, o in un racconto. Presentiamo un metodo, senza fare il bigino delle regole, ma partendo da situazioni reali (o realistiche), nelle quali poi inseriamo, nelle note, riflessioni e suggerimenti sul linguaggio.

La parte D ­– Funziona! – illustra 20 casi di uso efficace della comunicazione, in particolare scritta.

Una nota sullo stile: poiché molti fra gli autori sono giornalisti, il libro ha un taglio d’inchiesta; oltre alle elaborazioni degli autori, contiene interviste, dichiarazioni e testimonianze di molte persone. Pur nella complessità della materia, e nei labirinti di una lingua così complessa, lo sforzo degli autori è stato quello di usare strategie espositive e uno stile comprensibili a tutti. L’ambizione è di aver fornito non certo un quadro esaustivo della materia, ma spunti ed esempi che migliorino la qualità della comunicazione nel settore. 

Leggi l’intervista a Luca Serianni

Leggi l’intervista a Gino Strada

Leggi la prima edizione de Il linguaggio della salute

 

nuovo lds

Nel secondo libro, oltre a riprendere i temi appena esposti, abbiamo inserito dei focus specifici sul linguaggio del Pronto Soccorso e sull’uso dell’umorismo come leva per sdrammatizzare e creare vicinanza.

Nell’attesa della sua uscita, ecco qualche assaggio:

Leggi l’intervista a Walter Bergamaschi “Relazioni, linguaggio e salute”

Leggi “Con la salute non si scherza. Ma chi l’ha detto? Il convegno itinerante sulla comunicazione negli ospedali italiani”

 

 

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