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Il linguaggio della politica

di Chiara Caselli

Venerdì 27 marzo Alessandro Lucchini ha partecipato a “Linea d’ombra”, il talk show di approfondimento politico di Telenova, condotto da Adriana Santacroce.

Altri ospiti: Francesco Storace (La Destra), Dario Galli (Lega Nord, presidente Provincia di Varese), Filippo Penati (PD, presidente Provincia di Milano), Onorio Rosati (Cgil), Tiziana Maiolo (Forza Italia) e Vincenzo Chieppa (Pdci). 
È stato interessante vedere come i politici in studio hanno reagito alle provocazioni linguistiche generate dal dibattito.

“Un non politico che ci aiuterà a capire meglio la politica, ma anche come si esprimono i politici nella loro quotidianità, quanto mentono, quanto sono efficaci”: Adriana Santacroce presenta così Alessandro.

Nel giorno della nascita del Popolo della libertà, difficile non iniziare dal discorso di Berlusconi al congresso.

Berlusconi, il Pdl, la Lega, e quelle pause rivelatrici

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“Contravvenendo a tutte le regole della politica, mi sono permesso di insistere perché avessimo con noi qualcuno che non è con noi, ma che è il nostro più leale (pausa) e affettuoso (pausa) alleato (pausa), Umberto Bossi”.

Con lo stile della Palestra della scrittura, Alessandro commenta il discorso di Berlusconi e l’uso delle pause. Le pause sanno scandire ed evidenziare alcuni concetti, parole o frasi. L’aver marcato con lunghe pause “il nostro più leale e affettuoso alleato Umberto Bossi” fa riflettere, soprattutto per il contrasto con quanto dichiarato solo poche ore prima a una radio da Alessandra Mussolini: “Ora che ha avuto il federalismo, la Lega non ha più motivo di star fuori dal Pdl. Non è che noi possiamo sempre fargli la trasfusione di sangue, e poi loro fanno i duri e puri. Devono stare attenti: così come loro propongono la castrazione chimica noi faremo la castrazione parlamentare. Quello che andrà bene sarà approvato e quello che non andrà bene sarà bocciato”.
Castrazione parlamentare: il sublime della metafora…

Le parole come bucce di banana

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Segue una riflessione sull’uso delle negazioni, sull’abuso della parola “rispetto” e sul rapporto tra forma e contenuti nel marketing politico.

Si parte da due interventi: uno di La Russa al congresso del Pdl e uno di Fini a chiusura del congresso di Alleanza Nazionale.

La Russa: “Questo è un congresso che non è un congresso di chiusura”.
Berlusconi ha addirittura aperto con una negazione: “Inutile dirvi che sono emozionatissimo“.
La negazione ha un grande impatto linguistico: non si può negare un concetto senza averlo prima infilato nel pensiero dell’interlocutore. Alessandro propone un esperimento agli ospiti in studio: “Per favore non pensate a un elefante che vola”, e chi non pensa all’elefante? Anch’io, ora, mentre scrivo, lo vedo passare davanti allo schermo.

Il linguaggio ha un grande potere sulle nostre menti. Anziché affermare qualcosa, spesso e consapevolmente neghiamo il suo contrario: “spero tu non ti offenda se dico che…”, “non vorrei essere malizioso…”. Così facendo guidiamo il nostro interlocutore a soffermarsi proprio su ciò che neghiamo. A volte addirittura con doppie negazioni: “non posso esimermi dal”, “ non dimenticarti di”.

Ben più sagace l’intervento di Fini: “Non dobbiamo aver paura del futuro, dobbiamo avere coscienza della possibilità di costruirlo fin da oggi. Finisce Alleanza Nazionale, nasce il Popolo della libertà, continua il nostro amore per l’Italia”.

Pur dicendo che “non dobbiamo aver paura”, con le parole finisce, nasce e continua trasmette un senso di continuità, di sicurezza, di apertura proprio al futuro.

Senso di apertura che è spesso il valore centrale di un motto. È l’effetto delle generalizzazioni tipiche del marketing e della pubblicità: “lava più bianco”. Più bianco rispetto a che cosa? non importa, l’affermazione diventa assoluta, senza il secondo termine di paragone, valida di per sé. Come “il partito degli italiani”: “Cosa vuol dire? – insorge Rosati – gli altri partiti di chi sono? neozelandesi? che senso ha?” Certo, una sciocchezza, sul piano strettamente semantico.

Del resto, “Partito democratico” significa forse che gli altri non sono democratici? Sono espedienti propagandistici del tutto legittimi, efficaci proprio per la loro vaghezza, che allude a qualcosa senza dichiararla esplicitamente. Diceva Montesquieu: “Non bisogna mai esaurire un argomento, al punto che al lettore non resti più nulla da fare. Non si tratta di far leggere, ma di far pensare”.

Si intrecciano poi in studio diversi battibecchi tra gli ospiti: tra Penati e Storace sull’incoerenza di Fini, tra Penati e Chieppa sull’incoerenza del Pd, tra Storace e Maiolo sul servilismo delle varie pedine del Pdl nei confronti del padrone, fino a quella tra Rosati, “Sono stato un giovane comunista”, e Storace, “Ognuno ha i suoi problemi”. Intrecci polemici tutti scanditi da un crescendo sarcastico, decisamente poco rispettoso dell’interlocutore. E naturalmente tutte invocanti proprio il rispetto per l’interlocutore.

Alessandro invita a osservare come spesso si abusi della parola “rispetto”. Cita come esempio proprio la battuta di Storace, “Ognuno ha i suoi problemi”: dal punto di vista linguistico, è una mancanza di rispetto. Storace ribatte che rispondeva a una provocazione: “Se un minuto prima Rosati non avesse detto ‘sarei stato contento se la fiamma si fosse spenta del tutto’, io sarei stato più rispettoso nei suoi confronti”.
Questo è lo standard: a mancanza di rispetto, in genere si risponde con mancanza di rispetto.
Ma rispetto significa “re-spicio”, osservo l’altro, lo ascolto con attenzione, senza parlargli sopra.

All’osservazione di Chieppa, infine, secondo il quale il congresso del Popolo della libertà (iniziato da poche ore) sarebbe solo una grande kermesse mediatica, Alessandro risponde “non c’è nulla di strano: in comunicazione la forma è contenuto. Non è un supplemento, non è solo il fumo sopra l’arrosto. È solo grazie all’apprezzamento della forma che poi si può cogliere la preziosità dei contenuti”.

Prodi, Veltroni, Franceschini: tre leader, tre linguaggi

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Seguono, consecutivi, tre brevi interventi di Prodi, Veltroni, Franceschini: tre leader del Pd, tre linguaggi e stili differenti.

In un’intervista di qualche anno fa, alla domanda: “Mi dice una cosa che le piace di Berlusconi?”, Prodi rispondeva: “…è una domanda strana”.

Alessandro commenta con una provocazione, riprendendo il significato di rispetto. Riporta una risposta che Gasparri ha dato oggi alla prima giornalista che gli ha chiesto se An non avesse perso la propria identità confluendo nel Pdl. Risposta: “È una domanda stupida, cui non rispondo più, perché ce la fanno sempre. Del resto la libertà di dire stupidaggini è una garanzia per la democrazia. Capisco che chi è di sinistra, anche giornalista, deluso dal fallimento del Pd, ci fa delle domande cretine; noi diamo delle risposte che potrebbero anche essere cretine, ma non abbastanza quanto la domanda”.
Quando si dice lo stile…

Nello spezzone scelto per Veltroni, l’ex segretario spiega perché dice sempre “ma anche”: “ma anche è la risorsa fondamentale di chi deve governare; l’alternativa è senza se e senza ma. Il senza se e il senza ma possono essere usati dall’uomo politico solo per i valori etici e morali. Il governo di una società è fatto di compromessi, di dialogo, della ricerca continua di soluzioni”.

È l’occasione per un pensiero sul valore linguistico delle congiunzioni.
La congiunzione avversativa – ma – porta il cervello a concentrarsi sulla seconda parte della frase: dicendo “Ha torto, ma anche ragione”, in genere le persone pensano che ha ragione. “Difficile, ma necessario”: passa soprattutto che è necessario. Se invece si vuole mettere due concetti sullo stesso piano, meglio usare la congiunzione copulativa “e”. “Difficile, e necessario”: i concetti prendono ciascuno il 50% del peso. “E anche”, conclude il linguista, sarebbe stato forse più utile a Veltroni per attutire le accuse di buonismo e per esprimere il senso del dialogo e della mediazione.

La comunicazione è uno strumento strategico: chi comunica ha l’obiettivo di raggiungere una meta usando in maniera consapevole gli strumenti a propria disposizione, così che il messaggio possa risultare efficace sia nel contenuto sia nella relazione. Per essere compreso, il messaggio dovrà usare codici comuni, diffusi e accettati.
È proprio ciò che ha fatto Franceschini nell’ultimo discorso mostrato in studio: “Si voti in giugno, non in due domeniche, ma solo il 7 per le amministrative, per le europee e per il referendum. Si utilizzino i 460 milioni di euro risparmiati con l’election day per le riparazioni delle volanti, per assumere 5 mila poliziotti, carabinieri e finanzieri”.

Linguaggio chiaro, concreto e accattivante. Parole che sono nel vocabolario fondamentale degli italiani. Dal punto di vista linguistico, voto 7 +.

  • On 17 Ottobre 2012
Tags: filosofia
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