10 giugno: un giorno per riflettere sulla democrazia
di Lia Giovanelli
Il 10 giugno del 1924 un gruppo di fascisti, ben noti al partito e a Mussolini, rapivano e ammazzavano Giacomo Matteotti mentre si recava alla Camera dei Deputati.
Matteotti nel suo intervento, come sempre pieno di passione civile, elencò tutti i misfatti e le nefandezze delle quali si erano rese protagoniste le camicie nere di Mussolini.
Al termine, più volte interrotto dagli schiamazzi e dalle volgarità dei fascisti, il deputato socialista concluse: “Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni”.
Si riferiva alle elezioni politiche vinte da Mussolini e dai suoi alleati.
L’elenco dei misfatti era talmente dettagliato e documentato da suscitare l’attenzione della stampa estera, in particolare di quella inglese.
Sempre quel giorno annunciò un secondo intervento, che avrebbe dovuto pronunciare l’11 giugno, e nel quale, oltre ai brogli, avrebbe denunciato la maxi tangente che il gruppo americano Sinclair Oil aveva probabilmente versato ai fascisti in cambio della concessione per la ricerca e lo sfruttamento di eventuali giacimenti petroliferi.
Nei giorni successivi si dedicò alla stesura di quella denuncia e raccolse la documentazione che ripose nella sua borsa.
Il 10 giugno del 1924, mentre si recava alla Camera dei Deputati, un gruppo di fascisti, ben noti al partito e a Mussolini, rapivano e ammazzavano Matteotti.
Li guidava Amerigo Dumini, a cui Emilio Lusso dedica un “ritratto” che ci aiuta a inquadrare il periodo storico di quegli anni:
«La squadra fascista che aveva compiuto l’impresa era comandata da Amerigo Dumini.
Io lo conoscevo di fama. Sei mesi prima si era battuto in duello con il giornalista Giannini, socialista, che egli aveva fatto aggredire in un teatro di Roma. Giannini era uno schermidore abilissimo, e Dumini, durante lo scontro, preso dal panico, era fuggito. Negli ambienti fascisti passava per intrepido. Era molto celebre e, fra gli assassini politici, teneva il primato assoluto. Amava presentarsi dicendo: “Dumini, nove omicidi!”. La sua azione più brillante l’aveva compiuta in pubblico, a Carrara. A causa di un garofano rosso, egli aveva schiaffeggiato una ragazza. La madre e il fratello, presenti, avevano fatto delle rimostranze. Egli aveva risposto freddando entrambi a colpi di pistola. Ora viveva a Roma, al servizio dell’Ufficio Stampa del presidente del Consiglio. Per quanto sapesse appena leggere e scrivere, era considerato una buona penna. Aveva stipendio lauto e regolare e viaggiava in prima classe, attorniato da segretari particolari, fissi e avventizi.»
Giusto per la cronaca, la vicenda giudiziaria si chiuse con tre assoluzioni e tre condanne, tra cui lo stesso Dumini, per omicidio preterintenzionale tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni, di cui quattro condonati in seguito all’amnistia generale del 1926.
La storia ci racconta che la borsa di Matteotti non fu mai ritrovata, così come non saranno più ritrovate negli anni a seguire, anche altre borse scottanti o agende compromettenti.
Che dire? Una riflessione, un ricordo, un’emozione, un pensiero bello e che sappia imporsi a chi ha pagato e paga con la vita lo scotto di avere idee, di far funzionare il cuore e il cervello, di non cedere all’ignoranza, all’intolleranza, alla violenza.
- On 10 Giugno 2018