Dare cattive notizie (sulla salute): un decalogo
di Alessandro Lucchini
Chi vorrebbe essere nei panni di un medico che deve comunicare una cattiva notizia? È uno dei momenti più difficili di quella professione.
Cattiva notizia nel senso di diagnosi infausta, o anche nel senso di una distanza dall’aspettativa del paziente (es. un cambio di data per un intervento, o un chirurgo non disponibile per lungo tempo, o un trasferimento in altra struttura ecc.).
Ma questa difficoltà riguarda anche altri campi professionali: ahinoi, tutti dobbiamo dare bad news.
Forse questi 10 suggerimenti, nati per un contesto medico, possono tornare utili a chiunque debba affrontare situazioni simili.
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tratto da Dialogare bad news
Centopagine – Palestra della scrittura, Milano 2019
a cura di Chiara Lucchini, Alessandro Lucchini, Lorenzo Carpanè, Paolo Carmassi
già presentato agli Spedali Civili di Brescia
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1. Dire la verità
Senza ritardare inutilmente. Senza bugie pietose. Senza indorare qualcosa che non ha nulla di splendente. Certo, sempre modulando la comunicazione della verità secondo la capacità intellettiva ed emotiva del paziente. E se il medico non ha certezze, non trasferire al paziente la propria incertezza.
2. Conoscere e applicare il metodo S.P.I.K.E.S.
Setting. Per comunicare una cattiva notizia serve un ambiente adeguato: uno spazio quieto, che favorisca l’attenzione, e un tempo adeguati.
Perception. Non è facile entrare nel cuore e nella testa di un’altra persona. Ma bisogna sforzarsi.
Invitation. Informarsi su quanto un paziente vuole davvero sapere sulla propria situazione.
Knowledge. Condividere, allinearsi, informare, avendo chiaro l’obiettivo del colloquio.
Emotions. Capire le emozioni, e prima ancora essere nella disposizione d’animo di coglierle.
Strategy / Summary. Alla fine, sintetizzare tutto il percorso futuro, costruire una prospettiva.
Il metodo è stato messo a punto dal medico inglese Robert Buckman.
3. Superare l’idea di onnipotenza del terapeuta
L’impotenza è una condizione umana. Chi si sente onnipotente risulta rigido, sprezzante, autoriferito, arroccato nel “medichese” e nelle procedure. Chi è consapevole di essere impotente conosce il dubbio, l’imbarazzo, riacquista umiltà, senso del reale, capacità d’immedesimazione, sa entrare in comunicazione. In medicina non si fallisce se il paziente non guarisce, ma se lo si lascia solo nella malattia e nella morte, senza dargli il supporto necessario.
4. Preparare il colloquio
Oltre a trovare il tempo e il luogo adatti, è utile preparare un set di domande, più aperte le prime, magari ricche anche di dati soggettivi, non solo oggettivi (come si sente?), più chiuse man mano che si procede. E dotarsi di diversi registri linguistici, da quello più semplice, libero da tecnicismi inutili, adatto a persone poco istruite o bloccate nella capacità cognitiva, a quello più preciso, adatto a chi è più informato o a chi richiede un maggiore livello di dettaglio e di profondità.
Il diffondersi della cultura anglosassone in medicina, empirica, legata all’evidenza scientifica, e di un atteggiamento “autodifensivo”, spesso riduce a pochi freddi passaggi l’adempimento di un dovere. Ma poi c’è l’empatia: il medico dovrebbe allenarsi a capire la persona con cui parla, scegliere il linguaggio più adatto per spiegargli la situazione, sentire la sua reazione.
5. Strutturare il messaggio
Nella parte cruciale della comunicazione di una bad news è molto importante anche dove viene collocata la notizia vera e propria: la posizione più adatta, che aiuta ad attutirne l’impatto e a mantenere una relazione positiva, è nel mezzo.
Viene infatti definita sandwich structure: come nel panino imbottito, dove la parte gustosa sta nel mezzo, ma ciò che guida la percezione complessiva sta sopra e sotto. Un pane saporito, croccante, appetitoso, può far digerire anche un prosciutto non di primissima qualità (difficile il contrario). A volte il concetto viene espresso anche così: good news – bad news – good news, una notizia cattiva tra due buone. O kiss – kick – kiss, un calcio tra due baci. O anche B.L.I.M. – the Bottom Line In the Middle: l’argomento principale in mezzo.
Il senso è ben più raffinato del bieco indorare la pillola. Si tratta di scandire il messaggio in tre fasi, avvolgendo la bad news vera e propria tra un tono caldo e accogliente all’inizio, che instauri la relazione, e una riconciliazione finale, che orienti lo sguardo verso un futuro da costruire insieme, che sia una speranza possibile, una terapia pesante, o l’accettazione di uno stato immodificabile.
6. Proporre un percorso, non solo un intervento
Spesso l’aspettativa della cattiva notizia c’è già nel cuore del paziente. È sempre utile proporgli un percorso: es. parliamo di questo, poi coinvolgiamo i chirurghi; ora facciamo questo, monitoriamo la situazione, poi vedremo se bisognerà fare quello o quell’altro. Questo comunica prospettiva e progettualità, quindi aiuta il paziente a circoscrivere l’ansia e la paura di ciò che accadrà, e a pensare in modo positivo a se stesso e ai terapeuti come alleati nel gestire la malattia.
7. Avere, non Essere: lei ha, non lei è
Una grande differenza, quando si deve accettare una patologia. Se noi “siamo”, non possiamo essere altro: siamo introversi, siamo svogliati, siamo malati. I pazienti che s’identificano con la propria patologia (diabetici, oncologici, psichiatrici, tossici…) tendono spesso a cronicizzare quella patologia, perché l’identità influenza le convinzioni e i comportamenti.
Se noi “abbiamo” qualcosa, possiamo essere anche qualcos’altro: abbiamo un atteggiamento introverso, ma in certi contesti e con determinate persone possiamo essere aperti e disinvolti; abbiamo momenti di svogliatezza, ma ciò che c’interessa ci coinvolge ancora; se abbiamo una certa malattia, possiamo essere sani per tutte le altre parti di noi.
La comunicazione che usa l’Essere porta a un’assolutezza, e spesso determina la profezia che si autoavvera. La modalità dell’Avere aumenta la probabilità di autocorrezione e di apprendimento e, comunque, di accettazione del messaggio.
8. Esprimere congruenza tra parole, voce e corpo
La comunicazione non si gioca solo con la parte verbale: sta molto nel calore della voce, nei gesti, nella distanza e nel contatto fisico, nei segni di condivisione o d’insofferenza, che magari rivelano l’incapacità del medico di affrontare lo stress, come pure il parlare in modo distratto, senza ascoltare alcuna reazione, senza guardare negli occhi. Importantissimo sostenere lo sguardo del paziente: gli dà fiducia, gli fa capire che il medico dice la verità, che è presente, e che lo sarà anche più avanti, quando sarà necessario. Quel momento resterà per sempre nella memoria di chi sta ricevendo la notizia: è responsabilità di chi la comunica, grazie alla massima congruenza tra tutti i canali espressivi, rendere questo momento, che è molto negativo nel contenuto, il più possibile positivo dal punto di vista relazionale.
9. Riconoscere e gestire le resistenze del paziente
Di fronte alla cattiva notizia, a volte i pazienti – a volte pure gli accompagnatori, famigliari e amici – fanno domande con la sincera intenzione di collaborare, ma a volte troppe domande, tanto da infastidire il medico (resistenza 1: collaborativa). Altre volte si lasciano disorientare, mostrano insicurezza, tentennano sul da farsi (resistenza 2: vorrei ma non posso). Altre volte cedono alla rabbia, squalificano, se la prendono con il medico o con chi hanno per le mani (resistenza 3: oppositiva). Altre ancora sfuggono, negano, sottovalutano la situazione (resistenza 4: né collaborativa né oppositiva). Riconoscere i comportamenti è il primo passo per poi decidere se e come intervenire per creare un clima collaborativo: ascoltare, rispondere, gestire le obiezioni con chiarezza (1), spostare l’attenzione, magari inserendo l’obiettivo in una cornice diversa o più ampia (2), gestire l’opposizione, la squalifica usando la stessa resistenza manifestata per neutralizzarla (3), oppure stanare la persona dalla sua rigidità e riportarla alla collaborazione (4).
10. Dialogare e creare sintonia: il metodo CRG
CRG = Calibrazione-ricalco-guida. Sono le tre fasi della relazione, necessarie per creare fiducia, disponibilità all’ascolto, quindi rendere efficace l’azione terapeutica.
La calibrazione è come l’anamnesi, ma fa centro sugli aspetti personali e non su quelli medici. È lo studio dell’essere umano, dei suoi modelli di conoscenza e di rappresentazione del mondo. Significa usare il calibro, prendere le misure. Senza giudicare. Osservare e ascoltare il paziente, informarsi sulle sue aspettative, sulle posizioni ideologiche ed emotive. E raccogliere di continuo il feedback. Il ricalco – o mirroring – è la chiave dell’empatia, è il somigliare almeno un po’ al paziente, vedere le cose dal suo punto di vista, assumere la sua postura, la respirazione, i movimenti di mani/testa/corpo, parlare la sua lingua, sentire con il suo tessuto emotivo. Passa da lì la fiducia: somiglianza e condivisione producono senso di appartenenza, sicurezza, disponibilità al confronto. La guida è il vero scopo della comunicazione: muoversi insieme verso l’obiettivo. Se si è instaurata una fiducia sufficiente, tutto avviene con dolcezza ed efficacia.
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Ecco. Tutto questo, intendiamoci, non garantisce che vada tutto liscio. Non assicura la piena comprensione del paziente e la leggerezza d’animo del medico, ma difende la relazione, tenendola su un tono di rispetto, attenuando le resistenze e favorendo l’empatia.
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Un documento speciale:
il video di Robert Buckman che comunica la bad news a una paziente oncologica
- On 5 Novembre 2019