La presa della pastiglia
Bruno lo Zozzo e i diritti dei bambini in ospedale
di Barbara Todisco
Ho ancora in mente la faccia del piccolo Tommaso, poco più di tre anni, che in ospedale si oppone al digiuno imposto cantando a squarciagola sulle note di Fra Martino: «un panino, un panino… din don dan… datemi un panino, solo un panino din don dan».
E a ogni camice bianco che passa chiede: «Dottore almeno un panino me lo deve dare!».
Il dottore lo guarda. Si legge sul suo viso che non sa come spiegare. Così si rivolge alla mamma: «Signora non possiamo dare niente fino a questa sera, mi dispiace».
E lì, da quel deve, ho iniziato a pensare e a guardarmi intorno: le culle fredde e opprimenti con quelle sponde di alluminio, un Bamby ormai azzoppato degli anni settanta sulla parete, piccole stanze con 4 lettini dove convivono 4 bambini e 8 apprensivi genitori, una ludoteca grande quanto uno francobollo con 100 colori di cui 99 senza punta e nemmeno un temperamatite, e 6 nani di plastica orfani di Cucciolo.
A tre anni, anche se non ne è consapevole, Tommaso usa un deve che dà voce ai suoi diritti, e ci fa comprendere l’importanza di dargliene conto.
Il ricovero di un bambino in ospedale è sempre un momento delicato per la famiglia, che vive nell’ansia, ma soprattutto è una difficile, dolorosa e spesso inaspettata esperienza per il bambino che viene strappato dalla vita serena di tutti i giorni. In questo contesto è fondamentale comunicare direttamente con lui, spiegargli le motivazioni e renderlo conscio dei suoi diritti, affinché possa collaborare alle cure e al processo di guarigione.
Una risposta concreta a questa esigenza la dà il Meyer, l’ospedale pediatrico di Firenze, che fin dal sito web dimostra un’attenzione rara alla comunicazione con i bambini.
- On 21 Settembre 2012