L’umorismo come risposta creativa
L’inchiesta della Palestra sulla “humorterapia”, la terapia dell`umorismo
di Annamaria Anelli
Barbara De Meo vive e lavora a Torino. Psicoterapeuta e consulente psicologa presso un consultorio nell’ambito del privato sociale, ha avuto esperienze in neuropsichiatria infantile e in cooperative con pazienti psichiatrici e affetti da tossicodipendenze.
Che cosa si dice in psicologia dell’umorismo?
Partiamo da Freud. Il motto di spirito permette alle pulsioni represse di esprimersi in modo indiretto e socialmente accettabile. Dà una sorta di possibilità di espressione alle tensioni e riduce lo sforzo, l’energia che noi impieghiamo per reprimerle. Normalmente cerchiamo di contenere le tensioni – aggressive e sessuali – e attraverso la battuta possiamo dare uno sfogo a queste parti represse in modo che non siano pericolose per noi stessi e per le nostre relazioni. Siamo aggressivi senza colpire.
I diversi approcci successivi a Freud ampliano la prospettiva intra-psichica e indagano le funzioni sociali-relazionali dell’umorismo: pensiamo soprattutto alla psicologia sitemico-relazionale e in generale agli studi sulla comunicazione.
Queste teorie parlano dell’umorismo come:
- mezzo per alleviare il peso della realtà, come fuga temporanea dai confini di una realtà, spesso frustrante. La battuta e l’umorismo possono alleviare la tensione e rendere il tutto più leggero e sostenibile
- espediente per riparare alle situazioni di imbarazzo. L’umorismo può avere una funzione di controllo delle percezioni e delle impressioni. Se un evento – sono un professore e cado in classe – può avere creato negli altri una percezione negativa di me, la mia battuta – “quasi quasi cadevo!” – recupera una situazione sociale che potrebbe essere compromessa. Una battuta che mi fa apparire non come il povero imbecille che è caduto, ma come una persona autoironica e brillante
- strategia di influenza interpersonale. Nelle negoziazioni può servire per eludere le domande, cambiare discorso, distrarre l’interlocutore. Usato in maniera cosciente e calcolata può diventare il mezzo per assumere la padronanza della situazione comunicativa
- facilitatore sociale: cioè per alleviare la tensione in situazioni difficili. Scherzo all’esame con i compagni per alleviare lo stress. In una situazione di emergenza una battuta estemporanea crea alleanza e smorza la paura
- mezzo per sondare le reazioni dell’altro: provo a dire le cose per scherzo e così posso fare marcia indietro se capisco che l’altra persona non recepisce bene la mia battuta. È l’ambiguità dell’umorismo che mi permette di dire e non dire.
Quindi l’umorismo è sempre un qualcosa di positivo?
Naturalmente tutto dipende da come noi usiamo l’umorismo. A volte non è “lubrificante” della situazione, ma crea degli attriti. Può essere un “abrasivo” e il carattere dell’interazione si può modificare in maniera anche irreparabile. La battuta umoristica va a toccare delle questioni che sono spesso pregnanti. È espressione di impulsi veicolati sotto forma di battuta. L’altra persona può sentirsi toccata nell’intimo, con la mia battuta.
La battuta è anche un fatto cognitivo. Cognitivo e emotivo sono indissolubilmente legati.
Si può considerare l’espressione umoristica come un modo per riconsiderare la realtà: non sono un goffo che cade, ma qualcuno che sa ridere di sé. Sottolineo alcuni aspetti invece di altri di una realtà che comunque resta la stessa. Nella situazione di emergenza posso fare la battuta per sdrammatizzare e fino a un certo punto la persona può sentirsi sollevata: “allora la situazione non è così grave”. Il messaggio da parte del medico o dell’operatore sanitario è “state tranquilli, abbiamo la situazione in mano, possiamo risolverla”. In casi di suscettibilità, però, questo può suonare come “non ti stiamo prendendo abbastanza in carico”.
Allora quali sono i pericoli di un uso non appropriato dell’umorismo?
Si può trasmettere un’ostilità mascherata da battuta. “Stavo scherzando!”, ma in realtà stavo deliberatamente ferendo. Nell’ambito della consulenza psicologica e psicoterapeutica ci sono tipi di patologie con cui non ci si può permettere di usare una qualche forma di umorismo.
La patologia psicologica spesso comporta rigidità e la persona con queste patologie non è in grado di condividere il piacere che viene dall’umorismo, si sente ferita e attaccata. La persona con bassa autostima non è capace di autoironia o di ridere della situazione che sta vivendo e percepisce la battuta come un attacco.
Ci sono delle situazioni in cui occorre tenere presente la “predisposizione” che si ha davanti: il nevrotico ossessivo, ad esempio, difficilmente usa la battuta e difficilmente la comprende. Le persone paranoidi che hanno manie di persecuzione anche. Generalmente chi ha bassa autostima si sente offeso da qualunque tipo di commento, anche apparentemente innocuo.
Le persone che hanno una lesione al lobo frontale del cervello – che presiede ad alcune attività cognitive (ad esempio la memoria) – non riescono a comprendere certi collegamenti che stanno alla base della battuta, non colgono le incongruenze, non fanno determinati collegamenti.
Altro pericolo è confondere sulla serietà del setting: esempio il medico che fa il giullare. Il setting in psicologia è un insieme di condizioni che creano la situazione terapeutica: il luogo, la stanza, il titolo del terapeuta, come è vestito, il fatto di essere in un tempo prestabilito, al riparo da disturbi. È il contesto che crea il ruolo e la conseguente possibilità di entrare in un certo tipo si relazione.
Proviamo a traslare questo in un contesto di cura ospedaliera: il contesto che ho intorno definisce che io sono il paziente, che chi si prende cura di me è un medico competente e che quindi io mi posso fidare e affidare a lui. Il medico che fa il giullare confonde la situazione, mi toglie i miei punti di riferimento e io non penso più di potermi affidare.
Naturalmente tutto è soggettivo. Dipende anche dal paziente e da che cosa vuol dire per lui un “dottore serio”.
Tu ritieni che l’umorismo possa essere un meccanismo di difesa?
La funzione difensiva dell’umorismo è fondamentale.
Spesso fare una battuta serve per proteggersi dall’ansia. Gli operatori che si trovano costantemente a contatto con dolore e morte hanno bisogno di fare battute. Agli occhi dei parenti può sembrare cinismo, certo, ma è vero che tra colleghi succede.
A volte tra colleghi ci sforziamo di trovare un risvolto umoristico anche nei casi più gravi perché ci aiuta a tirare avanti, ma mai di fronte alla persona a cui va sempre il nostro rispetto più assoluto.
Spesso i medici vengono accusati di mettere troppa distanza tra sé e i pazienti: è di nuovo una questione di difesa. Se io mi coinvolgo troppo non riesco più a intervenire. Se io devo “tagliare una pancia”, ho bisogno di essere razionale e anche se so che quella pancia è di una persona giovane con una famiglia, io non ci posso, non ci devo pensare.
Nel tuo mestiere tu riesci a difenderti? O meglio, come fai a difenderti?
La difesa è necessaria, ma bisogna trovare il giusto limite per non trasformarla in eccessivo distacco e in un “respingente” nei confronti del paziente.
Nel mio mestiere, con l’empatia, io entro ed esco in continuazione dal problema. Io devo entrare e sentire il problema come lo sente il paziente – quindi mi coinvolgo lasciando un po’ da parte le mie difese razionali – ma poi devo essere in grado di tornare indietro. Noi psicoterapeuti siamo allenati a farci coinvolgere e a tornare indietro.
Forse i medici, in generale, cercano di non farsi mai coinvolgere dalle sofferenze dei malati e sono più allenati a vedere il male fisico e non la sofferenza che questo male produce.
I pazienti, secondo te, accettano volentieri da un medico un qualche atteggiamento di “vicinanza emotiva” basato sul sorriso?
Una buona relazione medico-paziente è fondamentale per ottenere la “compliance” della persona a seguire le cure. Il medico dà la terapia, ma tanto dipende da come il paziente la segue. Quindi è importante che il medico ottenga la sua fiducia e che il paziente collabori. È chiaro che il farmaco è importante, ma è il modo in cui il paziente si prende in carico sé stesso che fa la differenza.
L’atteggiamento del medico è fondamentale, ma lo è anche quello del paziente. La sua disposizione personale ad affrontare la malattia o a negarla, per difesa, è qualcosa che incide molto sul rapporto col medico.
A volte, nel paziente, l’umorismo diventa un espediente per non prendersi seriamente in carico il proprio disagio.
Ho seguito una coppia. Il marito proveniva da una famiglia in cui c’erano stati tanti problemi, anche per fatalità della vita. Suicidi, tossicodipendenze e morti per incidenti. Il motto della famiglia era “ridiamoci sopra”. Nell’ambito della famiglia veniva premiato chi riusciva a essere sempre allegro e positivo. Questa era anche l’aspirazione del marito: usciva con gli amici, si divertiva, cercava di prendere la vita in maniera scherzosa… in realtà questo signore aveva un problema.
Attraverso il gioco e lo scherzo allontanava i suoi problemi che così non prendeva mai in carico. Se una persona con queste caratteristiche si racconta che va sempre tutto bene rischia di minimizzare le cose. Deve scaricare la tensione, giusto, ma se minimizza non è più motivata ad agire. Il riso può essere una risposta adattiva – e quindi essere molto utile – o disfunzionale, come nel caso di questo marito che si difende mettendo la testa sotto la sabbia. Ha sfiducia nella sua possibilità di affrontare le cose e si disimpegna da esse.
Una reazione adattiva sarebbe stata quella di ammettere che la propria sorella era tossicodipendente, che questo era un problema e che occorreva affrontarlo.
Per te l’uso l’umorismo è una strategia cosciente o una risposta al contesto?
Ci sono tutti e due gli aspetti. Io uso la battuta quando si inizia a stare bene, quando nella mia terapia con il paziente si esce dalla drammaticità e si inizia a poter vedere il lato alternativo della realtà. Insomma, quando ho ottenuto la fiducia del paziente.
Nell’emergenza ciò che accade è sempre molto spontaneo, ma spontaneo e razionale non si escludono necessariamente e non si possono distinguere con nettezza. Tu ti puoi allenare per capire come fai a usare l’umorismo, dove e come. Ma queste elaborazioni puoi farle solo a posteriori e interiorizzarle in modo che certe tue reazioni diventino spontanee, in modo che ogni volta che ti trovi in una particolare situazione si inneschino certe tue risposte.
Esiste una “regola” che ti permette di applicare l’umorismo in maniera adeguata?
Quando si può valutarne i pro e contro e decidere come e quando usarlo.
Si può usare l’umorismo per:
- alleviare la tensione
- sdrammatizzare
- creare un clima di collaborazione col paziente
- evitare la mitizzazione del terapeuta
- far sentire il problema come serio e non serio: per coloro che prendono tutto troppo sul serio
- trasferire dei concetti altrimenti difficili da comunicare
- far riflettere il paziente sui suoi problemi in modo diverso e creativo.
Non si deve MAI usare l’umorismo ai danni del paziente.
Definisci in due parole quale può essere il contributo “alternativo” dell’umorismo?
C’è un aspetto fortemente creativo nell’umorismo: aprirsi al nuovo, all’imprevisto, giocare con le idee, mettere in relazione aspetti che normalmente sono disgiunti, non scartare nessuna combinazione dei propri pensieri a priori e non fissarsi su qualcuno di essi.
L’umorismo – nei suoi diversi aspetti e gradi – ti apre tutta una serie di possibilità. In psicoterapia la creatività è fondamentale perché noi cerchiamo soluzioni e adattamenti nuovi e non sperimentati in precedenza. La patologia si caratterizza per la rigidità, la capacità di ridere dà una percezione di sé e della vita più flessibile.
- On 6 Settembre 2012