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Cinema, social network e vite on line

di Chiara Lucchini

Come si arricchisce la nostra comunicazione?

Come s’impoverisce?

Il cinema parla della nostra vita on line.

SCHERMI NELLO SCHERMO

C’è posta per te (1998): l’email

Diretto da Nora Ephron, C’è posta per te è un remake del classico di Ernst Lubitsch Scrivimi fermo posta (1940). Con la variante che i protagonisti si innamorano scrivendosi via email anziché fermo posta, in un buon equilibrio di ironia e romanticismo. 

Nella realtà professionalmente rivali, Joe e Kathleen si incontrano sotto pseudonimo in una chat room e ne nasce un’amicizia, poi un amore. Tema centrale del film è l’opposizione tra vita reale e vita virtuale: «Accendo il mio computer, vado online, e trattengo il respiro finché non sento quelle paroline magiche: c’è posta per te. Non sento niente, non un suono per le strade di New York tranne il battito del mio cuore. Ho posta, da te», scrive Kathleen. La corrispondenza tra i due è nella sfera del sogno, e lì deve rimanere. Infatti, quando lui le chiede se pensa che dovrebbero incontrarsi, lei rimane spiazzata: «Ma scherzi? assolutamente no». Lei sa che la realtà non sarebbe romantica come il sogno. 

Un conflitto che si ripresenta quando decideranno invece di conoscersi. Seduta al tavolino di un caffè, quando vede arrivare Joe lei non pensa che il suo peggior nemico possa essere la stessa persona di cui si sta innamorando via email. E lui non le rivela la sua identità. «Ti aspettavi di incontrare qualcuno di cui ti fidavi, e invece hai incontrato un nemico», scriverà poi. 

Dopo la delusione, questo appuntamento mancato rassicura Kathleen: «Non fa niente. Faremo come George Bernard Shaw e Patricia Campbell: ci scriveremo lettere per tutta la vita». Un rapporto virtuale è più semplice, comporta meno sforzi. 

Ecco il rischio di relazioni di questo tipo, un rischio che C’è posta per non è tenuta ad affrontare, in quanto commedia: nascondersi dietro alle email per proteggersi e fuggire dalle difficoltà di un rapporto reale, faccia a faccia. Un rischio portato all’estremo nei social network.

 

The Social Network (2010): Facebook

In C’è posta per te, il nonno di Joe racconta al nipote di aver avuto, in passato, una corrispondenza con una donna: «Tu le scrivevi lettere?», chiede Joe. «Sì, per posta. Allora c’era la posta». Glielo dice quasi come se Joe fosse legittimato a non sapere che un tempo c’era la posta: carta, penna, buste e francobolli. 

Oggi la tecnologie e le mode si bruciano in fretta: se l’email rimane protagonista al lavoro, dove è richiesta una buona scrittura, i giovani le preferiscono strumenti più semplici e veloci, che richiedono meno sforzo. 

La nascita di Facebook è proprio il tema del film diretto da David Fincher, The Social Network.

Se nella prima parte ne racconta la rapida e capillare diffusione, la seconda parte si concentra sul protagonista, Mark Zuckerberg, il più giovane miliardario di sempre che ha avuto «l’idea più cazzuta della nostra epoca», come la definisce il personaggio di Sean Parker. 

Zuckerberg capisce subito la potenza di questa idea, e quando l’amico e socio Eduardo Saverin insiste per trovare pubblicità per il sito, pensando a quando il fenomeno si esaurirà, Zuckerberg risponde: «Non finirà mai. È come la moda. La moda non finisce mai.»

Oggi Facebook è il social network più usato e il secondo sito più frequentato (dopo Google), disponibile in più di 70 lingue e con più di 850 milioni di utenti. 

La recitazione di Jesse Eisenberg si basa tutta sull’inespressività, comunicando il carattere di Zuckerberg, un tardo adolescente geniale ma analfabeta di sentimenti e incapace di uscire da se stesso, che dà alla parola amico un nuovo significato, più allargato e più lieve. Ma, al culmine del successo, quando il team di Facebook festeggia il milione di iscritti, Mark è solo. Solo e triste. «Ero il tuo solo amico. Avevi un amico», gli rinfaccia Saverin quando scopre che Zuckerberg l’ha truffato, riducendo la sua quota allo 0,3 %. 

ComeC’è posta per te, anche The Social Network mostra lo scontro tra virtuale e reale: la tecnologia entra nella vita delle persone, un social network può diventare una droga, facendoti sentire parte di una rete sempre più ampia, in dialogo con un numero sempre maggiore di amici dei quali puoi controllare le informazioni.

Sappiamo che i social network possono essere usati in diversi modi: visitando il profilo degli amici, commentandone foto o messaggi di stato, chattando ecc. Sappiamo anche che possono essere potenti motori di cultura, partecipazione e democrazia. Ma, se usati male, rischiano di monopolizzare l’intero campo di relazioni di una persona. 

E qui passiamo al prossimo film. Ma non spaventiamoci troppo: è solo fantascienza.

 

Thomas in Love (2000): fantascienza?

Diretto da Pierre Paul Renders, Thomas in love racconta la storia di Thomas che, affetto da agorafobia, non esce di casa da otto anni. L’unico contatto con l’esterno avviene attraverso un video-telefono, vero protagonista del film, “protesi del suo corpo che vela e rivela” (Morandini). Thomas, infatti, non si vede mai. Tutto è in soggettiva: sullo schermo compaiono solo i primi piani dei suoi interlocutori, senza alcun movimento della macchina da presa. Che hanno segni e tatuaggi sui corpi, come se avessero bisogno di riti di appartenenza e tradizioni tribali per ritrovare una propria identità, immersi in una dimensione claustrofobica in cui il video raggela i sentimenti.

Il film analizza la paura del mondo e allo stesso tempo la paura della solitudine, il conflitto tra la separazione dalla realtà e il bisogno d’amore. Grande sviluppo dei mezzi di comunicazione, da un alto, e dall’altro l’impoverimento delle capacità di comunicare con gli altri. Una contraddizione che Thomas in Love porta all’estremo, raccontando una totale chiusura psicologica per poi giungere all’apertura ai sentimenti.

Il film è un avvertimento su come le nuove tecnologie siano invadenti e pericolose e possano diventare «uno strumento per chiudersi in se stessi; credo che siano mezzi pieni di potenzialità positiva, ma per ora utilizzate in modo poco umano», come spiega il regista. 

Thomas in Love presenta quello che il filosofo Pierre Levy definisce orizzonte unimedia multimodale, ovvero “il progressivo costituirsi di un’infrastruttura comunicativa integrata, digitale e interattiva”. Thomas comunica con l’esterno mediante collegamenti che si aprono e si chiudono di continuo, in un caotico accumulo d’immagini in cui anche gli altri personaggi sembrano immersi: mentre parlano con lui, ricevono altri messaggi o controllano altri video. Per quanto estrema e inquietante, la condizione di Thomas sembra essere la normalità, perché anche gli altri personaggi sono ritratti in interni angusti, dai quali vedono l’esterno solo attraverso una telecamera.

In questo mondo fantascientifico, le assicurazioni e gli enti di assistenza che controllano le vite delle persone, più che offrire aiuto, sono il grande fratello che alimenta le nostre paure, armandoci di telecomando, videocamera e mouse, chiusi nelle nostre case. 

Se all’inizio del film Thomas fa sesso virtuale con un’immagine di donna che compare sul suo computer, alla fine uscirà di casa per raggiungere Eva, donna reale. Renders sembra voler dimostrare l’impossibilità di un rapporto tutto virtuale: anche in un mondo fantascientifico, sterile e disumano, alla fine il desiderio di comunicare con gli altri è più forte. 

Così il futuro recupera Aristotele: O anthropos zoon politikòn estì. L’uomo è un animale sociale.

  • On 25 Ottobre 2012
Tags: filosofia
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