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Memoria e scrittura: alternative o alleate?

di Paola Perna e Alessandro Lucchini

Per gli esperti di mnemotecnica, scrittura e memoria sono in contraddizione. Perciò trattiamo il tema con Sergio Borra attraverso questa intervista: contiamo di stimolarlo e “cavargli fuori” qualche riflessione in più sui punti di contatto.

Sergio, molti ritengono che la trascrizione sia un atto di sfiducia verso la propria memoria. Altri vivono la scrittura come un surrogato della memoria: “non me lo ricordo, me lo scrivo”. È davvero così? La scrittura non aiuta la memorizzazione?

Sì che l’aiuta. Pensiamo al formato del foglietto “pro memoria”, ai colori, alla posizione delle parole chiave nella pagina. Pensiamo all`atto fisico dello scrivere alcune parole, che crea una forte partecipazione emotiva tra il messaggio e il suo autore, che nella fattispecie è anche destinatario. Se il soggetto è cenestesico, compiere il movimento lo aiuta a ricordare. Nello stesso tempo, poiché la memoria è molto visiva, aiuta anche il fotografare mentalmente quella frase, o quella parola evidenziata in colore, o scritta a margine. Ci sarà capitato, in un libro, di ricordare una tabella, in alto a destra, sfondo grigio, o una parola chiave che abbiamo scritto accanto, che ci aiuta a ricordare il contenuto dell’intero capitolo.

Mappe mentali, problem solving, creatività: quanto possono aiutare in questo le mnemotecniche legate ai meccanismi neuro-linguistici?

Le mappe mentali sono utilissime per prendere appunti, per fissare dei concetti, per imparare e per ricordare. Stimolano la naturale capacità del nostro cervello di creare associazioni. Ancora più utili se le scrivo in modo creativo, usando vari colori, simbologie, forme geometriche che rappresentano concetti diversi e di diversa importanza.

La visualizzazione del pensiero, intesa non come uso di disegni, icone, simboli, ma come “scrittura visiva”. Pensiamo alla “visibilità” di Calvino, ma pensiamo anche al ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno. La capacità di creare immagini con le parole scritte è importante solo per i visivi o per tutti?

È importante soprattutto per i visivi, perché hanno una naturale predisposizione a pensare e capire per immagini. Efficacissimi, in proposito, gli esercizi che si fanno nei corsi di creatività, e che ricordano gli esperimenti dei futuristi: come scrivere la parola “cammello” in un modo che riproduca visivamente le forme di un cammello; la “c” è la testa, le due “m” sono le gobbe, ecc. O scrivere “ombrello” disegnando un ombrello. Nei libri su cui i bambini imparano a leggere, le parole non si fondono sempre così con le illustrazioni?
Nel momento in cui evochi delle immagini, però, quelle immagini sono collegate anche a suoni (lo sciacquio delle onde del lago), o a parole ascoltate in quel momento (le voci dei pescatori o dei turisti in barca), o a sensazioni (l’acqua o il calore del sole sulla pelle).
L’immagine è comunque un motore molto importante per le altre sensazioni. Forse soprattutto nella cultura occidentale, dove sembra ci sia una percentuale maggiore di visivi, date le continue sollecitazioni oculari del nostro mondo (computer, tv, cinema, manifesti, scritte che appaiono e scorrono nelle vetrine…). In Oriente, dove esiste una spiritualità più forte, sembrano esserci più cenestesici; in Africa, dove esistono meno immagini, e si comunica più con suoni e ritmi, sembrano esserci più auditivi. Dico “sembra” perché queste statistiche vanno sempre prese con cautela.

Scrivere i propri obiettivi è una pratica cui molti ricorrono. Alcuni solo a inizio anno, per poi dimenticarsene. Altri con regolarità. Perché aiuta a raggiungerli? Cos’è, autosuggestione? o qualcosa di più?

Scrivere i propri obiettivi significa prendere un impegno con se stessi. Ci sono persone che li scrivono e poi addirittura li firmano: un rituale d’impegno ancora più stringente. In molte aziende si fa all’interno di un gruppo, di una squadra, legando il gruppo in un contratto psicologico. Alcuni scrivono il proprio obiettivo, ne fanno un sacco di fotocopie e le appendono ovunque, sul computer, in macchina, sul letto, ci tappezzano la casa, facendone un richiamo continuo, per ritornare all’impegno preso anche in eventuali momenti di cedimento.
La stessa tecnica può funzionare anche in senso opposto: ci sono persone che svuotano il cervello dai pensieri negativi scrivendoli su un foglio e poi bruciando il foglio. Una forma di autosuggestione molto efficace.

Certi suoni, certi profumi, certi gesti funzionano come “ancore”, spingendo le persone a riattivare emozioni, pensieri, stati d’animo. Succede lo stesso nella scrittura? Certe parole essere come ancore verbali? E così certe figure, certi simboli?

Esattamente. Per esempio, in certi ambienti professionali o culturali esiste un linguaggio comune e un comune sentire. Pensiamo all’informatichese (backuppare, formattare, flaggare…), al marketinghese (target, customer orientation, sell-out/sell-in…), al burocratese o all’aziendalese, all’internetese, e così via. Molte di queste parole sono criticate dai loro stessi utenti, che tuttavia continuano a usarle: forse proprio perché funzionano come ancore; in senso semantico, perché evocano un significato preciso per quel gruppo; in senso psicologico-relazionale, perché fanno sentire le persone dentro o fuori da quel gruppo; e anche in senso mnemonico, e quindi economico, perché fanno risparmiare tempo riunendo diverse persone in un unico pensiero.
Spesso i formatori nei corsi, o i capi nelle riunioni, presentano alcune parole-simbolo, che poi le persone cominciano a ripetere, introducendole nella loro quotidianità. Ognuna di quelle parole richiama il concetto cui è collegata. Le parabole, le metafore, le storie simboliche, non fanno lo stesso? Il solo nominare una parola chiave di quella storia o metafora riesce poi a scatenare la situazione emotiva a cui è stata ancorata.

 

 

  • On 17 Ottobre 2012
Tags: filosofia
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