Chi domanda comanda?
Ribaltare la punteggiatura e farsi buone domande
Il modo per far abboccare le risposte
di Gabriella Rinaldi
Quando chiedere non costa nulla
Da quando abbiamo circa due anni iniziamo a prendere confidenza con le parole. Così iniziamo a porre tutta una serie di interrogativi – anche piuttosto complessi – agli adulti, che sono il nostro mondo e che secondo noi hanno la risposta a tutte le nostre domande.
Secondo uno studio inglese del 2013, tra i due e i quattro anni di vita il numero di domande si intensifica fino a raggiungere una media di 300 domande al giorno, con picchi di 390 domande per le bambine. Circa una richiesta ogni due minuti nel tempo che intercorre tra la colazione e la cena!
Come fa a nascere la sorellina? Perché non posso avere un fratellino? Perché sei arrabbiato con me? Perché sei triste? Dove è andato il nonno? Perché la nonna è volata in cielo? Non mi vuole più bene? E così via.
Con le domande i bambini e le bambine continuano a costruire un’immagine sempre più dettagliata del mondo e instaurano una relazione con gli adulti. Le domande sono filosofiche ed esistenziali e, in tutta risposta, gli adulti tendono a liquidare le richieste senza fornire una vera spiegazione oppure con affermazioni vaghe e banali.
Poi inizia la scuola, le informazioni cambiano e gli scambi interpersonali aumentano: paradossalmente la propensione a domandare va scemando. La “fase dei perché” diventa un ricordo, con buona pace delle mamme e dei papà.
Quando chiedere costa (tanta) fatica
Un po’ per timore di sembrare banali, un po’ per pigrizia e un po’ per rassegnazione, col tempo rinunciamo al gusto della curiosità o alla soddisfazione di risolvere un dubbio in cambio di una certa stabilità emotiva e cognitiva.
Le domande da porre quindi non si esauriscono progressivamente, ma quello che già conosciamo diventa un porto sicuro, lontano dal rischio del giudizio e dalla possibilità del fallimento. E tanto ci basta.
Scusi mi sa dire come arrivare in piazza Duomo? Appena la domanda diventa più complessa di così, si attiva un meccanismo di chiusura che ci porta a considerare il nostro quesito di poco valore, una perdita di tempo per il nostro interlocutore oppure una candida ammissione della nostra ignoranza (nel senso di non essere a conoscenza).
Oggi che tutti abbiamo a disposizione molti mezzi per informarci e per formarci, fare una domanda è come dichiarare apertamente di essere incompetenti nonostante la possibilità di informarci (e formarci) da soli sul tema in questione. Con tutti i sensi di colpa che ne conseguono.
In ufficio, durante un convegno, in classe, nelle aule dell’università, anche in casa, fare domande è pratica poco diffusa. Complice Google e i social che sembrano avere già a disposizione tutte le risposte di cui abbiamo bisogno.
Il diritto di non sapere, il dovere di domandare
Fare e farsi buone domande è forse l’antidoto più potente alla complessità che viviamo quotidianamente, una possibile soluzione ai problemi ricorrenti nella vita privata e professionale.
Cosa hanno fatto – e fanno – gli innovatori se non risolvere problemi ponendosi le domande giuste? Ammettere di non sapere è fondamento del pensiero creativo, dell’invenzione.
“Giudica un uomo dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte” diceva Voltaire.
In spagnolo le domande iniziano con un punto interrogativo al contrario. Come se il pensiero gettasse la sua lenza ¿ per pescare nella corrente e cercare quel piccolo strappo all’estremità, quando la risposta abbocca. Prendo in prestito una bella immagine di Virginia Woolf che rende bene l’idea di quello che voglio dire:
Ma per quanto piccolo, possedeva tuttavia quella misteriosa qualità che hanno tutti i pensieri nella sua specie: non appena immerso nella mente, immediatamente diventava molto eccitante e importante; guizzando e sommergendosi come un dardo, scintillando qua e là, creava attorno a se un turbine tale di altre idee.
— Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé
Le domande sono così, ottime alleate che possono creare nuova conoscenza e buone occasioni di crescita, comprensione e relazione. Per questo motivo abbiamo il dovere di domandare per continuare a imparare e trovare nuove risposte, ribaltando la punteggiatura se necessario, dimenticando le risposte che presumiamo di conoscere già.
Chiedi pure consiglio alla bambina o al bambino che eri a quattro anni.
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- On 29 Settembre 2021