Dove sei?
di Federica degli Ivanissevich
Quando la malattia crea un muro apparentemente insormontabile, sembra impossibile poter comunicare. Però ci sono molte strade per raggiungere l’anima delle persone.
Senza parole, con il corpo e con il cuore si possono creare, dare e ricevere emozioni meravigliose mai provare prima.
Basta ricominciare tutto dal principio, con semplicità.
Rosa, classe 1919. Una vita passata nel rispetto delle tradizioni, prima vittima del ‘cosa dirà la gente’, prigioniera di un bon ton troppo bigotto, così profondamente meridionale da farle dimenticare che la sua vita ora è qui nel nord est.
Due figlie, un marito affettuoso, premuroso, corretto, forse un po’ troppo austro-ungarico.
Forse troppo assente: il lavoro sulle onde del mare, la prigionia durante la guerra spesso l’hanno tenuto lontano a lungo. Lui ora non c’è più, ma ci sono 5 nipoti e 7 pronipoti, mogli, mariti. Tanti, troppi nomi da ricordare.
Quante scene hanno visto i suoi occhi, quante emozioni, spesso spinte a forza sotto il cuore, reingoiate perché non uscissero, quante gioie, quanti dolori.
Ora una malattia dal suono germanico le ha tolto i suoi ricordi. Tutti.
La sua vita non ha più un futuro e non ha più un passato. Il presente è l’unica cosa che conta.
Tra i suoi ricordi scomparsi c’è anche il saper parlare. Ora dalla sua bocca escono solo fonemi di una lingua sconosciuta, non più una frase di senso compiuto. Ogni tanto qualche intercalare mi fa capire che si tratta proprio di lei.
L’unica cosa che è rimasta non ha a che fare con la memoria, ma con l’abitudine.
Qualche modo di dire, vagamente rassomigliante ad antichi detti popolari, qualche smorfia del volto, e i gesti, si tutti i gesti sono rimasti straordinariamente identici, appiccicati a lei come una impronta digitale indelebile.
Durante la notte accanto a lei in ospedale, dopo un intervento chirurgico, tra un catetere, un drenaggio ed una flebo da cambiare, sapevo benissimo che lei non avesse la minima idea di chi io fossi.
Non ero turbata, ma serenamente consapevole che quella che avevo davanti non era più la mia nonna, con la quale spesso avevo condiviso il tempo e le tradizioni.
Ora è una persona nuova, che io voglio imparare a conoscere, con la quale desidero comunicare. Ma come? Le mie parole, il nostro linguaggio ora non ha più senso per lei, che nella sua memoria non ne conserva più il significato.
Durante la notte ascolto il mio i-pod, lambiccandomi la testa su come possa trovare un canale di comunicazione tra questi due mondi ormai così distanti.
Ad un tratto, tra una canzone e l’altra la mia play list mi propone un’intervista del mio ‘comunicatore di fiducia’ col quale avevo appena finito di fare una attività formativa. Ascoltando la sua voce mi ricordo della classificazione delle persone a seconda del senso che esse prediligono (vista, udito , tatto ed emozioni).
Ripasso mentalmente tutto il corso per cercare di rimettere in ordine le nozioni e decido di provare a mettere in pratica gli insegnamenti.
Se è vero che le persone reagiscono in maniera differente agli stimoli a seconda di ciò in cui si riconoscono o che più semplicemente conoscono, allora Rosa deve essere sensibile alla gestualità. Si, deve essere proprio così! Nessuna immagine la farà star bene, nessun discorso, ma se lei continua a compiere gli stessi gesti, le stesse azioni, è sicuramente la motricità, il contatto fisico, il canale di comunicazione che ci farà di nuovo sentire unite.
Aspetto, piuttosto impazientemente il giro di visite della mattina e finalmente, quando i medici se ne vanno ripetendo altre parole senza senso, io decido di agire.
Vado da un infermiere e mi faccio dare un olio per massaggio.
Propongo a Rosa carezze infinite, accompagnate da un profumo di olio per neonati, prima una gamba, poi lentamente l’altra, cercando di non essere invadente ma dolce ed appassionata. Passo poi alle braccia, alle spalle, alla parte superiore del torace e mi ricordo che quando i miei figli non riuscivano a dormire, solo massaggiandogli il petto con le mie mani calde ed avvolgenti si calmavano e si addormentavano dolcemente.
Per ultimo il viso, massaggiato con acqua fresca. Concludo con un bacio sulla fronte e uno sguardo intenso nei suoi occhi che guardano l’infinito.
Mi sto per allontanare quando mi sento trattenere per un braccio e poi con l’altro.
Rosa ha cercato di abbracciarmi con le sue mani ormai troppo deboli, poi mi ha guardato negli occhi e mi ha detto l’ultima frase di senso compiuto che ho sentito uscire dalla sua bocca. In maniera semplice nitida, quasi ritmica mi ha detto: Ti voglio bene.
- On 21 Settembre 2012