L`ospedale del futuro si progetta con pazienti e familiari
Il centro di ematologia del Policlinico Umberto I prossimo ai lavori di restauro apre alla progettazione partecipata
di Giovanni Buy
Spazi fisici, la nuova sala d’attesa, la luce e il colore, ma anche le attività andranno definite insieme, clinici e familiari: con quale ritmo scandire i pasti, le visite dei familiari, quelle degli amici. I risultati di uno studio condotto dall`Associazione italiana contro le leucemie (Ail).
Un tavolino per mangiare a letto, ma anche per giocare a carte. Spazi fisici e mentali per accogliere i familiari, non solo per i malati. Un collegamento internet per lavorare ed essere uniti a quanto accade fuori dall’ospedale.
Idee che vengono solo a quelli che vivono la malattia “lunga”, quella cronica, quella che rischia di esaurire non solo le energie dei pazienti ma anche delle loro famiglie e dei professionisti sanitari dedicati a curare.
Sono emerse dalla ricerca Costellazione paziente, famiglia e professionista sanitario: spazi, regole e modi di convivenza assistenziale, svolta dalla Fondazione Istud nel dipartimento di oncoematologia del Policlinico Umberto I di Roma.
È un caso di buona governance sanitaria, centrato sul metodo della progettazione partecipata in ambito ospedaliero, nato da un’idea di Franco Mandelli, presidente dell’Associazione italiana contro le leucemie (Ail). È un’esperienza nuova, che va oltre il semplice questionario di qualità percepita del servizio: è soprattutto ascolto delle idee dei pazienti-familiari e progettazione sulla base degli input provenienti da loro.
La ricerca ha analizzato vari aspetti del ricovero ospedaliero:
- qualità della vita del paziente e del caregiver (in gergo, il familiare che assiste il paziente) in ospedale; cambiamento delle abitudini, adattamento agli orari, stato emotivo, ripercussioni sulla salute fisica e psicologica;
- costi dell’ospedalizzazione: spostamenti, alloggio per chi si è trasferito, farmaci, mancato guadagno per assenza dal lavoro;
- aspetti relazionali: come i professionisti sanitari si rapportano con paziente e familiari;
- variabili organizzativo-gestionali che si ripercuotono sulla qualità della cura (momenti di condivisione della terapia con il paziente e i familiari, possibilità di accesso a farmaci o dispositivi innovativi, rudimenti di assistenza insegnati a pazienti e caregiver…);
- spazi, arredi e servizi del centro; e qui è stato effettuato un test di progettazione partecipata con il paziente e il caregiver sulla stanza di ricovero e sugli spazi per i familiari.
Per progettazione partecipata si intende oggi il coinvolgimento attivo di chi usufruisce di un’area nella sua progettazione. Nel mondo sanitario, non basta più limitarsi a seguire le direttive della normativa o del mondo tecnico, occorre coinvolgere coloro che useranno questi spazi e percorsi: pazienti e famiglie, appunto. Non si tratta di progettare solo gli spazi fisici, la nuova sala d’attesa, la luce e il colore, ma anche le attività, definire assieme ai clinici con quale ritmo scandire i pasti, le visite dei familiari, quelle degli amici…
Il centro di ematologia del Policlinico Umberto I sarà ristrutturato nei prossimi anni, anche in considerazione del contributo raccolto da pazienti e famiglie in questo studio, ma fin da subito Ail si è impegnata per favorire l’accoglienza di un ospite non sufficientemente valorizzato all’interno dell’ospedale, il familiare.
Infatti dal punto di vista sociale sono problematiche le situazioni di molti familiari che si occupano dei pazienti. Se da un lato il rapporto può addirittura migliorare, diventare più profondo, di comprensione e di sostegno, dall’altro implica forti cambiamenti nella vita di relazione (altri parenti, amici…). Più di un familiare su tre ha avuto ripercussioni pesanti sul lavoro: il 22% lo lascia, il 13% va in aspettativa. Per il 72% la malattia del familiare costituisce una forte perdita economica (la patologia oncoematologica perdura negli anni), che va anche oltre i 1200 euro mensili. Un collegamento internet nelle stanze di ricovero può consentire al paziente e al caregiver di continuare il proprio lavoro, per quanto possibile, rimanendo in ospedale. Si allevierebbe così, dicono i caregiver, il senso di colpa dovuto al mancato svolgimento del lavoro, e si eviterebbe poi, una volta rientrati, un nuovo senso di colpa per la lontananza dal proprio caro.
Idee semplici, forse possibili. Com’è che non erano venute ai tecnici della sanità? Forse che mettersi in ascolto, e in relazione – insomma, la grammatica – faccia davvero bene alla salute?
- On 21 Settembre 2012