Brescia: un intervento per il benessere organizzativo
Dedicato a Bianca, Fabrizia, Flavia e Titti
di Lia Giovanelli
Scenario: Palestra di Palestra in azione. Lezione in ASL Brescia sul Linguaggio dell’accordo.
Grazie ragazze, siete brave, belle, allegre ed efficaci, e passare il pomeriggio con voi è stato un piacere.
In realtà io non ho passato il pomeriggio con voi, ma, come avrebbe fatto una zia, mi sono preoccupata di cosa avete mangiato, se nelle aule dove si lavora c’è sufficiente caldo, o fresco, o buona illuminazione. E poi bevete acqua ragazze, perché a parlare viene sete, e bere fa bene anche alla pelle… liscia o gasata? Benissimo, tutto a posto, i partecipanti sono arrivati puntuali e potete cominciare.
Vi lascio da sole a malincuore, un po’ perché sono curiosa di voi e di come vi ponete con le persone che avete di fronte e un po’ perché, ancora come una zia, mi sono già affezionata ai vostri sorrisi.
Ma parliamo del corso per cui siete qui.
Questa iniziativa di formazione mi è più cara di altre, perché nel tempo della crisi, che per ora non finisce (ma non disperiamo!), e dell’incertezza, ormai strutturale, delle organizzazioni, abbiamo pensato di affrontare un nodo critico, e provare ad aiutare, attraverso una formazione dedicata, gli operatori che si trovano ogni giorno, per tante ore, dietro a uno sportello, a contatto con i cittadini che hanno bisogno di tanto, e quindi chiedono tanto, e la necessità di chi deve rispondere è innanzitutto conciliare le disponibilità organizzative, i vincoli delle leggi e le esigenze che vengono rappresentate.
E poi c’è il resto: essere disposti ad ascoltare, saper gestire le lamentele e i racconti tristi, saper fronteggiare le offese personali, evitare gli attacchi di rabbia e non pensare al tempo perso, non recriminare decisioni e scelte, provare a stare, il più possibile, dalla parte del bene e dell’utile.
Questi mi sono sembrati i pensieri “di base” nell’immaginare questo corso.
Non ce li siamo direttamente scambiati questi pensieri, è vero, ma voi eravate qui per questo, e su questo avete lavorato.
Non c’è soddisfazione più grande, per chi si occupa di formazione, che sentire le aule vive e vitali, sentire non solo con le orecchie, ma vedere anche con gli occhi della mente la partecipazione, la condivisione, il fluire di commenti e contributi.
Dalla mia stanza sentivo, con le voci che si sovrapponevano e spesso si sono aperte in una risata, lo scorrere di un pomeriggio utile, un pomeriggio in cui l’organizzazione diventava una cosa rara, una risorsa per l’autorealizzazione delle persone presenti, perché a queste voi vi stavate dedicando, per recuperarne vitalità e gentilezza, per loro e per gli altri.
Un pomeriggio utile, ripeto, grazie alla vostra preparazione, alla qualità del confronto, alla leggerezza dei dubbi posti al momento giusto, e grazie alle nuove idee.
Bene bene, pensavo tra me, mentre il pomeriggio scorreva e sapevo che i partecipanti avrebbero aspettato i prossimi incontri come un appuntamento cui non mancare.
Ho cercato sul sito della Palestra della scrittura una cosa letta tempo fa (titolo significativo, Nothing is impossible) che mi avete fatto tornare in mente, con la vostra presenza:
“Credo che il formatore sia come la fragola in un frullato: delicata ma decisa, predominante, ma discreta (…) Essere formatore è un po’ questo: è essere la cornice di un attimo, di un pensiero. È lasciare il proprio “io” senza imporlo.
È pazienza e compagnia, è comprensione. È una mano sulla spalla, il rispetto per un’emozione, l’imposizione di un tempo, è dare delle regole ed essere pronto a ridefinirle. Essere un formatore è una magia…
Recentemente ho sentito un giornalista, lasciamo perdere il nome, che affermava: «Alle donne non viene perdonato l’essere belle e capaci allo stesso tempo». E quindi attenzione ragazze, perché siete indubbiamente brave e belle.
Con affetto, la zia.
* Lia Giovanelli è responsabile Formazione e sviluppo professionale di ASL Brescia
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Emozioni in accordo
di Fabrizia Ieluzzi, Titti Soncini, Bianca Borriello, Flavia Piantino Gazzano
Milano, stazione centrale. Il treno parte alle 11.35. Arrivo di corsa. Titti, Bianca e Flavia sono già li, il treno pure. Oggi NOI 4 portiamo il linguaggio dell’accordo alla Asl di Brescia. Saliamo a bordo, frecciaqualcosa; i trasporti non sono il mio forte.
Il briefing è veloce ed efficace. Tra racconti, dubbi amletici, passaggi di chiavette e accordi finali arriviamo a Brescia in un attimo. È una splendida giornata di sole, il paesaggio è innevato. Dobbiamo ancora pranzare ma siamo in perfetto orario.
La sede dell’Asl è davvero suggestiva, ha un cortile che a girarci dentro ti trasporta in epoche lontane, quelle che senza accorgerti sei seduto sulle panchine a raccontare di maghi, corti e reami.
Arriviamo in aula e veniamo accolte dalla responsabile, una donna elegante, dai modi gentili, che fa di tutto per farci sentire a nostro agio e ci avvisa che alle 4 arriva il vescovo, se per favore possiamo non fare troppo rumore. Pranzo veloce, caffè, 3-2-1-via!
Titti e io nell’aula dei girasoli e Bianca con Flavia nell’aula rossa. “Ci siamo”. Sguardi complici che parlano più di mille parole, mani che s’intrecciano e quel momento in cui sai con certezza che tutto andrà bene, che qualunque cosa accadrà saremo l’una il paracadute dell’altra, che metteremo passione in ogni parola e in ogni gesto, cercheremo di essere chiare e semplici e… «Ci vediamo al break? Sì, ci vediamo al break. In bocca al lupo!».
Si comincia, si comunica, si crea sintonia, si ascolta con tutto: orecchie, occhi, pancia. Stiamo costruendo relazioni, creando rapport, l’aula partecipa, è attenta, fa domande, interagisce. Bene, siamo sulla strada giusta, finché non si addormentano… «Tranquille, se dovesse capitare sarebbe perché ci avete fatto rilassare davvero!», ci dicono. E scatta l’applauso per la madre di tutte le ristrutturazioni! Con un’aula così c’è davvero di che sbizzarrirsi. Ognuno di loro porta qualcosa di speciale alla nostra giornata, esperienze di vita, di lavoro, difficoltà, traguardi, progetti, storie. È uno scambio costante, in cui non smettiamo mai di calibrare per poter cambiare ritmo quando occorre, per poter raccogliere e accogliere.
Sincronicità, scaletta rispettata, qualche improvvisazione. Ci si concentra, si spiega, si testano tutti gli strumenti. «È reale? Vi suona familiare? È mai successo?» Arrivano dei «sì!». Missione compiuta.
In un attimo è già ora di chiudere. In entrambe le aule si sceglie di farlo con video che scatenano risate liberatorie. E poi saluti, strette di mano, qualche domanda mentre ci si mette il cappotto, incoraggiamenti, soddisfazione, sollievo e… arrivederci al prossimo giovedì!
- On 7 Aprile 2015