I shall have gone
di Alessandro Lucchini
Si sarà capito che il nostro pallino di questo momento è il futuro anteriore.
Perché è il tempo del verbo che aiuta a prefigurare e quindi a raccontare un cambiamento prima che accada.
Lo abbiamo studiato, sviscerato, sperimentato, ci abbiamo costruito su un corso, poi un libro. Magari un giorno, con il placet della Provvidenza, ci avremo fatto anche un film.
Per ora, una canzone 🙂
Buon ascolto.
One day – dice questa piccola canzone – I shall have gone. Un giorno sarò andata.
Eccolo, il paradosso del futuro anteriore.
Sì, perché tutta la nostra vita è un paradosso. Specie con riferimento al tempo. Il tempo non scorre come una linea fluida: passato-presente-futuro. Noi non ci spostiamo in modo lineare attraverso i tre tempi. Viviamo solo il presente. In vista degli obiettivi futuri, di quello che speriamo o che ci aspettiamo (futuro), e sulla base delle esperienze passate, di quello che abbiamo imparato o fallito (passato), noi compiamo scelte, prendiamo decisioni, viviamo la nostra vita oggi (presente).
Ecco allora che il futuro anteriore ci si offre come il tempo del verbo più benevolmente manipolativo: un futuro che sposta avanti il pensiero e gli fa vivere come già avvenuta tutta la fatica per ottenerlo.
Futuro anteriore è infatti un metodo di change management, ossia di sostegno al cambiamento, che prende spunto dalla storia, dalla politica, dall’arte militare, dalla vita di ospedali, aziende, scuole, famiglie, o dalla strada. Con la narrazione prefigurativa, c’impegniamo a dimostrare che il cambiamento è frutto di concretezza, sì, ma ancora più di racconto. E di un racconto che non guarda all’indietro, ma che guarda in avanti. E che quindi stimola, produce, accompagna il cambiamento.
Ok, raccontare un cambiamento da realizzare come fosse una storia già avvenuta può sembrare un po’ artificioso.
Nella realtà è la cosa più naturale del mondo. È quello che facciamo ogni giorno. È nella nostra natura voler sapere cosa accadrà domani, voler anticipare la storia, voler prefigurare il futuro: gli oroscopi, il meteo, l’andamento del traffico, i trend della borsa… Ogni giorno mi alzo con un “I have a dream”. E quel sogno diventa poi un desiderio (a volte un pallino, un chiodo fisso). Se poi me lo scrivo, quel sogno, e lo organizzo per bene, diventa un progetto, che mi guida nella sua realizzazione. E se poi lo racconto – a me stesso e agli altri – non come una fredda sequenza di fatti, ma come una storia, ricca di emozioni, di sorpresa, di ostacoli superati e da superare, quel cambiamento diventa più avvincente. E cosa fanno i grandi leader, se non raccontarci storie? E attraverso esse guidare, interpretare, ristrutturare. Gandhi, Martin Luther King, John Kennedy, Mandela, hanno fatto questo. E poi imprenditori, manager, sindaci, comunicatori pubblici, medici, insegnanti, allenatori, che citano condottieri, atleti, eroi, geni dell’arte, della scienza, dell’industria, della letteratura o dei fumetti, per dar forza a un esempio e accendere la volontà di un cambiamento. Funziona.
P.S. Ah, se dopo la canzone vuoi saperne di più sul futuro anteriore, qui trovi notizie sul libro, e sul corso.
- On 2 Maggio 2016