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Il coraggio della gentilezza

I contenuti e il tempo della relazione

di Gabriella Rinaldi

La gentilezza ha una sua schiettezza, la senti, non ha bisogno di essere proclamata.
Forse, oltre a festeggiarla il 13 novembre in occasione della giornata mondiale a lei dedicata, sarebbe bello provare a celebrarla più spesso.

Per gentilezza, dal latino gens, si intende letteralmente il “comportamento di chi appartiene a una nobile stirpe”. La gentilezza, però, non ha bisogno di presentazioni, la riconosci da uno sguardo o dal tono di voce. Basta un secondo, si fa notare schietta e senza troppi proclami e non è così sofisticata come suggerisce la sua etimologia: ti fa sentire bene e basta.

Ve la ricordate Amelie, che si sente in pace col mondo e aiuta il mendicante cieco a “vedere” attraverso i suoi occhi?

In tanti si vantano di avere la verità in tasca e di essere immuni alla gentilezza, con una certa dose di soddisfazione e anche di disprezzo. Credo sia perché la gentilezza ha il grande potere di disarmare persino quelle armature che paiono indistruttibili, fredde e luccicanti di cinismo e paura.

In più di un’occasione mi è stato fatto notare che la mia gentilezza, per dirne una, poteva essere interpretata come una strategia per avere qualcosa in cambio. Se non ci fidiamo di nessuno come possiamo pensare di avere una visione comune di futuro come collettività?

Sembra che sia diventato quasi fuori luogo usare modi gentili, perché pare sia vincente disarmare gli avversari a suon di aggressività, diffidenza e chiusura. Ci vantiamo di comunicare e di aggiungere valore. Siamo sicuri di riuscirci praticando l’arte della guerra?

Siamo tutti addestrati, soprattutto nel marketing, a parlare il linguaggio bellico e sappiamo bene come persuadere, catturare, pianificare strategie d’attacco, bombardare con campagne e mirare al nostro target.

Probabilmente il mio è solo il punto di vista di un’umanista trapiantata nel mondo del marketing digitale, ma ho la forte impressione che la gentilezza potrebbe determinare un cambio di paradigma interessante. Una riprova sociale arriva proprio dal mondo dei social.

Tempo fa, Twitter ha deciso di aumentare il numero massimo di caratteri consentiti da 180 a 260. Una banalità in apparenza, in realtà una grande possibilità per gli utenti di spiegarsi meglio, di esprimere un pensiero articolato e abbandonare il classico botta e risposta dai toni accesi. Il risultato? Un innalzamento del livello di “gentilezza” nelle conversazioni. L’incremento dei per favore ha toccato punte del 54%, il semplice (si fa per dire) grazie è cresciuto del 22%.

Dunque la gentilezza determina un maggiore grado di coinvolgimento. Non è forse questo un modo per uscirne tutti vincitori, utenti e professionisti del digitale?

Se poi rifletto sulle buone norme riguardo alla comunicazione dei social rimango perplessa. Che sia chiaro, io stessa sono figlia e madre di un certo stile di comunicazione, ma mi sorge qualche dubbio.

Perché se usiamo una comunicazione che dovrebbe avvicinare, le persone non arrivano, oppure arrivano agguerrite e diffidenti?

Perché la comunicazione schietta e informale, quella fatta di punti esclamativi alla disperata ricerca di attenzione, call to action urlate come un grido di aiuto e il pullulare di verbi imperativi e seconde persone singolari, non sortisce l’effetto sperato?

Probabilmente siamo saturi dell’algoritmo dell’attenzione che ci urla contro e al ritmo del quale viaggiano le nostre menti, le nostre vite. Quantità o qualità?

Scorriamo storie e caroselli senza cura, né dei contenuti né delle persone. Cerchiamo divertimento e intrattenimento perché vogliamo evadere e non vogliamo più sentirci ingranaggi di una gigantesca macchina.

Riusciamo ancora a vedere gli altri per ciò che sono, senza troppi filtri? Ne cogliamo i sogni, gli sguardi, le paure e i desideri? Sappiamo rispettare lo spazio degli altri con cortesia, invece di invaderlo a suon di bombardamenti?

Ecco, essere gentili forse vuol dire avere una visione d’insieme, educarsi all’empatia e trovare il coraggio di non essere invadenti con i propri interlocutori.

Se è una strategia che ci serve, allora che sia quella a lungo termine della gentilezza che innesca reazioni a catena positiva e promette accordo e sintonia.

Cerchiamo il tempo per pensare a quello che facciamo, poi troviamo il coraggio di tornare gentili.

Gentilezza è professionalità, benessere collettivo.

Se cerchi spunti per capire come accordare la comunicazione con gentilezza, puoi trovare informazioni utili su Il linguaggio dell’accordo, il libro della collana Centopagine.

Se poi ti interessa un approccio ancora più pratico per approfondire la conoscenza delle strategie e degli strumenti per una comunicazione efficace nelle relazioni interpersonali, ti consiglio di dare un’occhiata al Corso Open di Claudia Comaschi.

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