La nuova roba
di Silvia Sacchelli
immagine: Black mirror – Ep. Thronglets
Il peso della nuova roba
Un tempo la roba aveva l’odore della terra umida, di fumo di camino, il suono cigolio di carri. Si accumulava a poco a poco, mattone dopo mattone, e diventava misura di vita, eredità da difendere.
Era un accumulo concreto: la roba di Mazzarò poteva tranquillamente equivalere a centinaia di tonnellate di peso. Comprendeva terre, ettari ed ettari di campi, che in sé non si pesano ma che producono grano, olive, vino e poi bestie, cioè buoi, pecore, capre, animali da lavoro, e masserizie: granai pieni, attrezzi agricoli, carri, aratri.
Se immaginiamo solo il grano: un ettaro di terreno a Francofonte, in Sicilia, nell’Ottocento, poteva rendere 10-15 quintali di frumento. Se Mazzarò possedeva campagne a perdita d’occhio, diciamo decine di ettari, vuol dire centinaia di quintali di grano, cioè decine di migliaia di chili ogni anno. Eppure, più quella roba cresceva, più Mazzarò si rimpiccioliva, schiacciato da ciò che credeva di possedere.
“Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba”
Oggi la roba ha cambiato unità di misura. Non più chili ma byte; non più ettari, ma ore di connessione; non più granai ma archivi digitali. Invisibile, impalpabile, apparentemente leggera.
Non scricchiola, non pesa, scorre silenziosa negli schermi. Ma dietro quell’apparente leggerezza si nasconde un altro tipo di peso. Non in chilogrammi: esiste un peso fisico, certo, fatto di tonnellate di server, cavi, batterie nei data center che custodiscono i nostri dati, ma diventa irrisorio nella quota individuale.
Più rilevante è il peso in termini di consumo energetico, espresso in chilowattora (kWh): ogni foto caricata, ogni video guardato, ogni backup, ogni prompt consuma energia (che poi grava indirettamente sull’ambiente).
Esiste anche un peso cognitivo: le notifiche che interrompono, i feed che richiamano, le inbox che si gonfiano fino a diventare carico mentale, ansia di perdita, tempo sottratto ad altro.
Ed esiste infine un peso simbolico: like, titoli, reputazione, numeri che ci incatenano, come la roba con Mazzarò, ed infatti, il risultato è lo stesso: la roba ci vincola, ci definisce.
La nuova roba però non ci dà radici. Non è più un campo o una casa che restano nel tempo, è effimera: un profilo che cambia, un numero che sale e scende.
Non lascia traccia, non ti ancora, e proprio per questo ci si stringe addosso con più forza. Ci obbliga a esserci, a rispondere, a difendere l’immagine fragile della nostra identità digitale.
Come Mazzarò gridava: “roba mia, vientene con me”, così oggi temiamo di sparire se un server si spegne, se un account si cancella, se un cloud svanisce.
La sostanza è diversa, la dinamica identica: ciò che crediamo di possedere, finisce sempre per possederci.
Leggi la newsletter completa per scoprire una tecnica che ci consente di affrontare questa condizione in modo propositivo: parte 2 – Guardarci da estranei
- On 8 Ottobre 2025

