Diritto e fiducia
di Chiara Lucchini
Le parole lasciano tracce. Anche delle cancellazioni delle tracce.
Più che identità, il vocabolario giuridico racconta separazioni e distanze.
E i significati, lungi dall’essere univoci, non raccontano delle cose come sono, ma piuttosto di come non sono più, di come sarebbero potute essere.
La fiducia, per esempio, tradotta nel linguaggio giuridico in termini di calcolabilità e prevedibilità dei rischi, smette di essere fiducia, in movimento oscillatorio con la diffidenza.
Il diritto non incorpora la fiducia, ma soltanto la sua delusione, e se interviene è perché non ci si può affidare, perché si diffida, perché si ha bisogno di proteggersi dai rischi, di munirsi di rimedi contro l’insuccesso.
Fides: percorsi semantici né univoci né lineari
Ne Il vocabolario delle istituzioni europee, il linguista francese Émile Benveniste afferma che «l’espressione per eccellenza della nozione di “fedeltà”, la più generale e nello stesso tempo la meglio caratterizzata in indoeuropeo occidentale, è quella del latino fides»: un’unica struttura che, proiettandosi in campi di azione e sistemi linguistici diversi, piega l’orizzonte di senso.
Né univoci né lineari, ma sempre destinati a scivolare da un piano all’altro, i percorsi semantici della fiducia passano dal diritto alla filosofia, dalla politica alla religione, conservando tutto e niente dell’originario strato di senso.
Espressioni come fidem est mihi apud aliquem (qualcuno ha, ripone, fiducia in me) caratterizzano la fides come una forma di credito di cui si gode presso qualcuno. Mediante la sua giuridificazione, questa relazione continua a essere fiducia, ma allo stesso tempo smette di esserlo, riproducendo lo schema giuridico del contratto.
Fides è, inoltre, il sostantivo corrispondente al verbo credo. Pur presentandosi come meccanismo razionale basato sull’attribuzione di un potere in cambio di garanzia e di appoggio, la fiducia ha quindi natura fideistica, più che strategica. Su questo punto, Benveniste ricostruisce la radice kred, che indica la “forza magica” capace di generare l’investimento fiduciario. Il credo è la fiducia che si ripone negli dei e nella loro forza, e lo si fa perché ci si aspetta una restituzione: lo scambio fiducia/protezione è quindi un rapporto mistico fondato sulla reciprocità.
Anche i Parlamenti moderni quando chiedono la fiducia si sottraggono al dibattito razionale e alla discussione, invitando a riaffermare l’identità di un capo e dei suoi fedeli. C’è anche chi ha ipotizzato che alle origini di kred vi siano strutture che richiamano cord, cuore. Ipotesi non condivisa da molti, ma che comunque sottolinea quanto sia in gioco anche il sentimento.
Quando invece subentra l’infedeltà, sarà compito delle varie forme di contratto tenere a bada la diffidenza. Il nuovo volto del mistico, allora, può essere solo la gratitudine. Si può essere grati per quello che non verrà mai restituito: liberi da aspettative future, si prova solo ri-conoscenza per il presente e per il passato. Nello spostamento verso la gratitudine, si spezza quel circuito di reciprocità basato sulla fiducia di cui il diritto si fa garante, introducendo tra le parti una differenza irriducibile e incolmabile.
Creare mondi con le parole
Nel De Officiis Cicerone riconosce, come base della giustizia, le parole e i patti che da esse nascono, e che consistono nella fiducia. Sono le parole che realizzano le cose: il performativo è quel meccanismo nel quale si creano mondi attraverso il dire. Possiamo anche affermare che il linguaggio del diritto, nei suoi codici, traduca costantemente la vita quotidiana. Thomas Hobbes descrive il giurista come l’intellettuale che, più degli altri, fa cose con le parole, il giudice come colui che dice “l’ultima parola” e il diritto come sistema grammaticale che regola i controversi significati usati dai contendenti.
Il linguaggio giuridico, quindi, come sistema costitutivo per la sua “differenza”. Gioco di misure, codice binario diviso tra normatività (prospettiva di generalizzazione delle aspettative) e cognitività (casi, imprevedibilità, decisioni contingenti). L’autonomia del diritto si basa sulle distinzioni, per evitare il rischio di credere che la realtà sia specchio della norma, oppure che la norma sia specchio della realtà. Legandosi alla cognitività, alla contingenza, il diritto incorpora in sé il suo contrario, il non-diritto.
La legge: ricordo di un’assenza
Gioco di differenze. Gioco doppio, ambivalente, quello della legge. Valore comune dell’esperienza giuridica, la giustificazione della fiducia ricorda la buona fede perché l’abbiamo dimenticata. La legge, quindi, come ricordo di un’assenza. Altrimenti perché, nelle Costituzioni moderne, ci sarebbe bisogno di richiamare solennemente a diritti e valori fondamentali? Non sarebbe necessario prescrivere la dignità e sancire la solidarietà, se non avessimo dimenticato l’una e l’altra.
Sempre più post-virtuoso, il diritto vede la propria competenza linguistica allontanarsi dal mondo performativo delle virtù. Se giuridificazione della fiducia significa regola della delusione, allora il diritto – attraverso la forma del contratto – si caratterizza come meccanismo di contenimento dei rischi, più che come racconto di virtù morali.
Se la società fosse costruita e concretamente vissuta sulla fiducia, non ci sarebbe bisogno di ricordarla. E non ci sarebbe bisogno del diritto.
Per approfondire: Eligio Resta, Le regole della fiducia, Laterza 2009
- On 8 Aprile 2013