La semplificazione del linguaggio e l’inclusione
Con ABI per semplificare i pensieri e le parole
di Gabriella Rinaldi
Come cambia la comunicazione nelle banche e negli istituti pubblici a fronte dell’integrazione con persone, stili e culture diverse? Esistono forme di comunicazione semplice ed efficace per farsi capire senza mai rinunciare all’esattezza del contenuto?
In aula, sullo schermo del nostro computer e sulle nostre scrivanie abbiamo letto e studiato diversi contenuti complicati e prolissi di enti e istituti pubblici di vario tipo.
Lavorare sui casi reali ci consente di afferrare il significato profondo delle parole e capire quali sono le ricadute sui pensieri e sui comportamenti.
Ogni volta ci domandiamo come la semplificazione del linguaggio possa s-piegare i significati e mostrarli chiari, senza pieghe, al netto di quelle abitudini burocratiche che spesso nascondono ed escludono una parte di realtà.
Lo facciamo perché crediamo che progettare una comunicazione più semplice, inclusiva e gentile sia davvero possibile nelle piccole grandi scelte quotidiane.
Ne abbiamo parlato in occasione di uno degli incontri progettati da ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, che ci ha gentilmente ospitato per raccontare in cosa consiste il nostro contributo di formazione e ricerca nel campo della semplificazione del linguaggio e dell’inclusione.
Tra le pieghe della comunicazione
Proviamo a fare un gioco. Prendiamo un foglio di carta, un A4 andrà benissimo. Iniziamo a piegarlo prima in due, poi in tre, poi in quattro, e così via. Adesso apriamolo, e il risultato sarà un foglio marcato da un certo numero di pieghe.
Ecco una buona metafora della complicazione e della semplificazione: quando pieghiamo il foglio aggiungiamo delle pieghe, cum-plica; quando lo apriamo togliamo le pieghe, sine-plica.
Lo dice la sua etimologia, semplice vuol dire senza pieghe, cioè senza parole ampollose e complicate che nascondono i significati tra le pieghe della comunicazione.
“Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite:
proprio per questo, diceva un filosofo,
gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.
Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori.
È un maleducato, se parla in privato e da privato.
È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,
un dipendente pubblico, un eletto dal popolo.
Chi è al servizio di un pubblico
ha il dovere costituzionale di farsi capire.”Tullio De Mauro
Notiamo spesso, nella nostra attività di aula e di ricerca, che istituzioni e imprese hanno la tendenza a rendere esclusivi saperi e informazioni con la scelta di parole difficili da capire.
Pensiamo al linguaggio delle banche e delle assicurazioni. Pensiamo anche alle accezioni attribuite ad alcune parole che nell’uso comune hanno un significato e nei contesti istituzionali diventano quasi parafrasi nobilitanti.
Un esempio? I soldi sono chiamati liquidità e disponibilità, quasi mai soldi. Oppure il premio, che nel linguaggio comune è una ricompensa per la vincita e diventa, invece, una spesa assicurativa.
Semplicità come mezzo
Da un po’ di tempo, in inglese si usa l’espressione plain language per intendere una lingua piana, cioè chiara e comprensibile a quante più persone possibile. Per raggiungere questo obiettivo è nata anche un’associazione internazionale, di cui siamo membri, che si chiama proprio Plain e che si impegna a difendere la semplicità linguistica come valore e, addirittura, a certificarlo.
Anche in Italia molte banche e istituzioni si stanno impegnando in questo senso, per appianare e rendere più accessibile il proprio sapere, oltre che il proprio valore.
“Al rigore di chi scrive deve corrispondere la comprensione di chi legge.”, questo lo riconosce il Dipartimento della Funzione Pubblica nella Direttiva in materia di semplificazione del linguaggio per una comunicazione che metta al centro cittadine e cittadini.
Tutt’altro che facile. Iniziamo usando parole semplici, comuni, concrete e coerenti, e continuiamo a sciogliere il linguaggio troppo specialistico con qualche accortezza.
La semplicità è il mezzo per ridurre i disturbi della comprensione e parlare a quante più persone possibile. Alleniamola!
Inclusione come fine
Ogni giorno dobbiamo scegliere quali parole usare in base alle persone che ci leggono, a chi siamo, all’obiettivo, in base al contesto in cui lo facciamo. Ogni giorno dovremmo scegliere le parole anche in base alle ricadute sociali che possono avere su persone e identità.
Quante volte le parole (e le immagini) alzano o abbassano i muri della partecipazione a diritti, sistemi o attività sociali?
Pensiamo per esempio alle nominalizzazioni che stigmatizzano e chiudono il confronto: il cieco, il nero, la vecchia, la bionda, il giovane.
Convinzioni e schemi cognitivi inconsapevoli che a noi semplificano la vita, ma che potrebbero complicarla ad altre persone.
Non solo sessismo, quindi, ci sono anche l’abilismo e la disabilità, le discriminazioni legate all’età, il classismo e il razzismo.
“L’inclusione è una cosa semplice se ce lo poniamo come obiettivo attraverso un linguaggio semplice. […] Le parole semplici, il linguaggio semplice, i pensieri semplici sono una buona via per costruire l’inclusione.”, ha detto Alessandro Lucchini.
Se quindi la semplicità è il mezzo, l’inclusione è il fine da raggiungere per creare una società più democratica e partecipativa, fatta di accordo e relazione.
Gentilezza come scelta
E se la parola inclusione non fosse la più semplice per includere davvero?
Forse più che di comunicazione inclusiva sarebbe bello parlare di comunicazione gentile, cioè una comunicazione rispettosa e di buon senso che eviti le categorizzazioni nette. E forse, più che di diversità, che implica una di-vergenza dalla norma presunta, sarebbe bello parlare di integrazione e valorizzazione delle differenze. In altre parole, empatia.
L’anno scorso avevamo raccolto 10 buoni motivi per essere gentili con le persone che vivono con noi, ricordandoci che abbiamo modi diversi di comunicare e percepire il mondo.
Sempre l’anno scorso abbiamo colto con piacere l’invito di Mediobanca e StartupItalia a partecipare a “Dentro le parole”, otto video conversazioni con la giornalista Paola Centomo per riflettere ogni volta su una parola diversa e sul suo potere di includere o escludere persone ed esperienze.
Ed è stato bello poter rinnovare la nostra disponibilità a riflettere su altre parole, altrettanto importanti, per un’altra edizione: sessismo, femmina, potere, binario, età, violenza, differenze e cura.
Ogni momento di ricerca è un momento di incontro. Grazie di cuore ad ABI, in particolare a Chiara Mambelli e Daniela Vitolo, per averci dato la possibilità di raccontare cosa significa per noi semplificare il linguaggio e di ascoltare altre importanti testimonianze sul rispetto e sulla gioia di scegliere una comunicazione più responsabile.
Di inclusione, valorizzazione delle diversità, accessibilità ed equità in banca si parlerà anche il 15 e 16 dicembre all’evento gratuito “D&I in finance” organizzato da ABIEventi e Bancaforte. Un’occasione preziosa e aperta a chiunque voglia approfondire il tema partecipando online o in presenza presso il Centro Servizi Bezzi a Milano. Noi ci saremo!
- On 13 Dicembre 2022